Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator
Preferenze sui cookie
Giornale di Taranto - Economia, Lavoro & Industria
Economia, Lavoro & Industria

Economia, Lavoro & Industria (1911)

Acciaierie d’Italia (ex Ilva) ha contestato con una lettera la prestazione di lavoro offerta dalle imprese appaltatrici del siderurgico di Taranto nella giornata (ieri) in cui i dipendenti delle stesse, su iniziativa del sindacato Usb, hanno scioperato perché in questo mese i datori di lavoro erogheranno solo lo stipendio e non la tredicesima. Ad assumere la decisione del pagamento parziale é stata Aigi, associazione che raggruppa le aziende dell’indotto, le quali attendono i pagamenti da Acciaierie per i lavori eseguiti in fabbrica, fatturati e scaduti, e lamentano il mancato arrivo di nuovi ordini per i prossimi mesi. Nella lettera di Acciaierie, firmata dai dirigenti Domenico Ponzio e Vincenzo Dimastromatteo (quest’ultimo direttore dello stabilimento di Taranto), si afferma tra l’altro che “il grave danno alla nostra produzione cagionato dalla scarsa o, comunque, incompleta presenza dei vostri addetti allo svolgimento delle prestazioni dei servizi appaltati”. Si tratta, recita la contestazione di Acciaierie, di “grave inadempimento della prestazione dovuta, direttamente imputabile alla vostra società” che “ha compromesso irrimediabilmente la produzione odierna del nostro stabilimenti”. L’inadempimento “ha cagionato alla nostra società una rilevante perdita economica. Non esiteremo - dice Acciaierie - ad addebitarvi tutti i costi e le perdite, dirette e indirette conseguenziali alla ridotta prestazione e riserviamo ogni decisione sulla risoluzione dei contratti o sul riaffidamento dei servizi alla relativa scadenza”. Fonti vicine ad Aigi affermano che nelle ultime ore Acciaierie ha comunicato a poco più di una ventina di aziende gli avvisi di bonifico, ma si tratterebbe di una somma pari al 20 per cento dello scaduto maturato (le aziende hanno detto in Prefettura che vantano crediti per una settantina di milioni) e in ogni caso resta per il momento la decisione delle imprese di erogare solo lo stipendio e non la tredicesima.

Questa mattina i lavoratori dell’indotto di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, hanno occupato temporaneamente la Concattedrale di Taranto. Sono stati nella parte inferiore del tempio progettato da Giò Ponti. L’iniziativa è stata presa dal sindacato Usb. In segno di protesta per il fatto che le aziende dell’indotto rappresentate da Aigi pagheranno solo lo stipendio e non anche la tredicesima, l’Usb ha indetto nelle imprese appaltatrici uno sciopero di 24 ore che si concluderà alle 23 di questa sera. Questa mattina, molto presto, c’è stato un presidio di protesta davanti alla portinerie imprese del siderurgico. Poi il sit in si è spostato in città, alla Concattedrale. “Chiediamo il pagamento puntuale dei nostri stipendi e delle nostre tredicesime e invitiamo le istituzioni tutte a lavorare per il superamento di questa situazione insostenibile e arbitraria - rileva Usb -. Rivendichiamo un sacrosanto diritto dei lavoratori. La tredicesima non può essere oggetto di ricatto. L\'assurda pretesa di poter non pagare in tempo utile le tredicesime prima delle festività natalizie da parte di alcune aziende d\'appalto è un chiaro tentativo di sfruttare come arma di ricatto i lavoratori dell\'appalto Acciaierie d\'Italia”. 

“Da giorni ormai gli spogliatoi della portineria operai all’interno dello stabilimento, sono senza  acqua calda. Questo significa che i dipendenti non hanno la possibilità di fare la doccia prima di finire il turno e tornare a casa. Ne deriva un serio problema di igiene e sicurezza, dal momento che i lavoratori portano su di sé, e quindi all’esterno, anche negli ambienti domestici, le polveri inquinanti”. Lo afferma il sindacato Usb a proposito dell’ex Ilva, Acciaierie d’Italia, a Taranto. “Si tratta di una questione atavica che non si risolve - rileva il sindacato -, anzi peggiora a causa della mancanza di corretta manutenzione e, nel caso specifico della caldaia, dell’assenza dei pezzi di ricambio. Moltissime, a più riprese, le denunce dell\'Unione Sindacale di Base. Recente anche un intervento dello Spesal, le cui prescrizioni però sono cadute nel vuoto. L’Usb, nel caso in cui non ci dovesse essere un celere intervento mirato a risolvere in maniera definitiva questa grave mancanza, sarà costretta a chiedere l’intervento degli enti esterni competenti”, conclude il sindacato. 

\"Ci vediamo costretti, nostro malgrado, a comunicare l’impossibilità per le nostre imprese metalmeccaniche di far fronte nel mese corrente al pagamento degli oneri fiscali e previdenziali e, purtroppo, alla erogazione di stipendi e della tredicesima mensilità ai nostri collaboratori. Nonostante gli appelli lanciati più volte, le numerose richieste di incontro inviate al management della società, al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri Urso e Fitto, al fine di addivenire ad una soluzione ai fini di una ripresa della produzione in chiave ecocompatibile, sono rimaste lettera morta”. È il passaggio cruciale della lettera che oggi l’Aigi (l’associazione delle imprese dell’indotto ex Ilva e metalmeccanico) ha inviato ai vertici nazionali (Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella) e tarantini (Biagio Prisciano, Francesco Brigati e Davide Sperti) dei sindacati Fim, Fiom e Uilm. Stessa lettera anche a Franco Rizzo di Usb nazionale. Non pagate, o pagate con molto ritardo, da Acciaierie d’Italia per i lavori eseguiti nella fabbrica e fatturati, le imprese lanciano l’allarme. Un primo segnale Aigi lo aveva manifestato già nei giorni scorsi, in altre lettere ad Acciaierie e al prefetto di Taranto, evidenziando che l’esposizione delle imprese associate era intorno ai 90 milioni e che questo, in mancanza di soluzioni, rischiava di provocare altre conseguenze a breve, a partire da stipendi e tredicesime ai dipendenti. E così ora rischia di essere. É un effetto della crisi di liquidità che assedia da mesi Acciaierie. Che, non avendo soldi in cassa, circolante, credito dalle banche e sostegno dall’azionista di maggioranza Mittal, cerca di stringere ovunque possibile: dall’acquisto delle materie prime per la produzione al pagamento dei fornitori. “Chiediamo da mesi di poter rientrare dello scaduto alla luce dello stallo decisionale a cui si è giunti da parte degli attori interessati - Governo e parte privata - con conseguente riduzione totale delle commesse ed addirittura il blocco di quelle che avevamo acquisito sulle quali abbiamo anche investito ingenti risorse economico-finanziarie” evidenzia l’Aigi.  Si registrano reazioni del sindacato e della politica. Per Davide Sperti, della Uilm, “non vorremmo che si trattasse di un modo per esercitare pressioni sul Governo affinchè eroghi altri soldi ad Acciaierie dopo i tanti già dati senza costrutto, visto che questi stessi imprenditori hanno sempre plaudito al management di Acciaierie e accettato tempi di pagamento lunghissimi”. Per Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in commissione Bilancio alla Camera, “il Governo deve intervenire immediatamente per ricomporre la crisi. Se lo Stato non si attiva subito per assumere il controllo dell’ex Ilva, a morire definitivamente non sarà solo uno dei più grandi poli siderurgici d’Europa, ma anche tutta l’economia del territorio ad esso legata, con conseguenze sociali catastrofiche. Il ministro Fitto, che ha gravissime responsabilità, riuscirà a mettere l’orgoglio da parte e fare marcia indietro prima che tutto ciò accada?” 

Nessuno spiraglio si è aperto questa sera nella riunione della task force lavoro della Regione Puglia per la crisi Albini, l’azienda tessile di Bergamo che ha dismesso da tempo lo stabilimento tessile a Mottola (Taranto), i cui lavoratori, 91, saranno licenziati a giorni e finiranno in Naspi, il trattamento di disoccupazione, perchè la cassa integrazione di cui hanno sinora beneficiato non può più essere prorogata. All’orizzonte c’è una nuova azienda che si è fatta avanti per rilevare il sito Albini e riassumere la manodopera dalla Naspi, e ieri  se ne è avuta conferma al tavolo regionale, ma non ci sono ancora impegni precisi e inoltre le due aziende - la cedente e la subentrante - non hanno nemmeno partecipato al tavolo. Con due comunicazioni scritte distinte, le aziende hanno spiegato la loro posizione. Albini ritiene di non dover partecipare al tavolo perchè è in atto da settimane un presidio di protesta degli operai davanti allo stabilimento che impedisce lo smontaggio e l’uscita dei macchinari tessili. Albini ha detto che proseguirà la trattativa di vendita dello stabilimento con Ekasa. Ekasa, che vuole riconvertire lo stabilimento in specializzato in progettazione, produzione, vendita e posa in opera di porte per interni, serramenti per esterni e portoncini di sicurezza, ha invece confermato l’investimento a Mottola, ribadito che assumerà il personale dalla Naspi dopo averlo riqualificato, ma non ha specificato né i tempi, né quante persone assumerà. Ekasa ha anche dichiarato che non si sente vincolata dal partecipare al tavolo regionale. I sindacati hanno invitato la task force a riconvocare le parti e a cercare una mediazione, anche se le posizioni al momento sono molto distanti. Rimane il presidio di protesta a Mottola davanti allo stabilimento e sono in arrivo nuove iniziative di sindacati e lavoratori. 

A rischio licenziamento o di perdere ogni sostegno economico tra Natale e Capodanno 429 lavoratori a Taranto. Sono, rispettivamente, i 91 lavoratori di Albini, l’azienda di Bergamo che da anni ha dismesso per crisi la Tessitura di Mottola, per i quali la cassa integrazione, dopo alcune proroghe, si conclude definitivamente il 22 dicembre e i 338 in carica all’Agenzia del lavoro portuale (TPWA) per i quali la copertura economica legata alla corresponsione dell’ima, l’indennità di mancato avviamento, la cassa integrazione dei portuali, termina a fine anno per esaurimento dei fondi. Per Albini, da mesi è in pista una nuova azienda che dovrebbe succedergli e rilevare sia lo stabilimento di Mottola (è stato già firmato un preliminare di acquisto che dovrebbe trasformarsi in contratto entro fine anno), che il personale. Si tratta dell’Ekasa che riconvertirà il complesso nella progettazione, produzione, vendita e posa in opera di porte per interni, serramenti per esterni e portoncini di sicurezza. Solo che il progetto Ekasa per dispiegarsi ha bisogno di tempo, almeno un anno, mentre i licenziamenti sono imminenti per fine cassa integrazione. Il 12 dicembre è già convocata alle 14.30 una riunione alla task force lavoro della Regione Puglia. Poichè non ci sono possibilità di prorogare la cassa (Albini ha già fatto partire le lettere di licenziamento, impugnate legalmente dai lavoratori) e quindi lo sbocco è la Naspi con risoluzione del rapporto col datore di lavoro, sindacati e task force regionale stanno costruendo una soluzione, da formalizzare in un accordo, che prevede l’impegno di Ekasa ad assumere il personale di Albini man mano che entrerà in produzione, nonché un intervento finanziario di Albini per aumentare economicamente il trattamento Naspi, che é inferiore a quello della cassa ed è anche in decalage dopo i primi tre mesi. 

Per i lavoratori in carico all’Agenzia del lavoro portuale, che provengono tutti dal bacino Taranto Container Terminal-Evergreen, precedente concessionario del terminal ora affidato al gruppo Yilport, nel decreto legge Anticipi, approvato dal Senato ed ora alla Camera, non é entrato l’emendamento che, come richiesto dai sindacati e dall’Autorità portuale di Taranto, prevedeva la proroga dell’Agenzia e del relativo trattamento economico per altri due anni (sarebbero necessari 8 milioni per il 2024 e altrettanti per il 2025). L’emendamento presentato da senatori FdI è stato cassato in commissione Bilancio al Senato ed è diventato un ordine del giorno col voto favorevole del Governo. Adesso, la via d’uscita individuata è quella di provare a reinserire la proroga dell’Agenzia nel maxi emendamento alla legge di Bilancio 2024. I sindacati sostengono che due anni di proroga dell’Agenzia consentono, nel frattempo, di far partire operativamente i progetti delle nuove imprese che investiranno nel porto grazie alla Zona economica speciale e alla Zona franca doganale. Si tratta di 6 imprese già autorizzate dalla Zes, cui si aggiunge l’investimento in area portuale del gruppo Ferretti per la costruzione di strutture di yacht. Per le 6 aziende, il fabbisogno di manodopera stimato é di 403 unità mentre per Ferretti di altre 200. A giudizio dei sindacati ci sono quindi i margini, oltrechè gli strumenti normativi con la proroga dell’Agenzia e della relativa clausola sociale, per impiegare nell’arco di un biennio i 338 portuali disoccupati in forza all’Agenzia e da questo punto di vista la continuità dell’Agenzia rappresenta una soluzione ponte verso la nuova occupazione. Per giovedì prossimo, infine, i sindacati hanno indetto un presidio di protesta del personale dell’Agenzia sotto la Prefettura.

Acciaierie d’Italia, ex Ilva, non ferma più nel siderurgico di Taranto l’altoforno 2. Doveva restare fermo sino all’11 dicembre. Almeno così aveva detto venerdì sera Acciaierie d’Italia, precisando che si trattava di una fermata temporanea che doveva servire ad effettuare delle manutenzioni su questo ed altri impianti. Lunedì mattina era quindi cominciata la pre fermata, con la manovra di abbassamento della carica (più coke, meno ferro), per il 6 e il 7 i sindacati Fim, Fiom e Uilm avevano indetto 48 ore di sciopero nella sola area altiforni diffidando l’azienda a fermare l’altoforno 2, ma nelle scorse ore, quando la fermata doveva realizzarsi, è arrivato lo stop. Eppure l’azienda poche ore prima aveva detto, rispondendo ai sindacati, che “le attuali condizioni di marcia degli impianti non possono consentire, per ragioni di sicurezza, il differimento della sospensione della produzione di ghisa dell’altoforno 2”. Secondo Biagio Prisciano, segretario Fim Cisl, “l’interruzione dell’operazione dell’abbassamento di carica dell’altoforno 2” e la sosta, nella rada di Mar Grande, di “un numero imprecisato di navi cariche di materie prime propedeutiche alla marcia degli impianti, ma che non vengono ormeggiate e scaricate, è l’ennesima dimostrazione della gestione fallimentare dell’amministratore delegato che sta portando alla chiusura, lo stabilimento di Taranto. Diciamo basta, si decida in fretta in quanto è in ballo il destino di migliaia di lavoratori. Lo Stato, per tramite di Invitalia, assuma una volta per tutte la maggioranza all’interno della compagine pubblico-privata, il Governo assuma il controllo”. 

Dai sindacati alle imprese appaltatrici, monta la protesta per l’ennesimo nulla di fatto dell’assemblea di Acciaierie d’Italia (ex Ilva) che ieri avrebbe dovuto decidere in merito al sostegno finanziario urgente dell’azienda. Da ArcelorMittal, socio di maggioranza, è peró venuto un nuovo segnale di indisponibilità, mentre Invitalia ha dichiarato di essere pronta a fare pro quota la sua parte finanziaria (Mittal ha il 62 per cento di Acciaierie, Invitalia, invece, il 38). Secondo quanto si apprende, Mittal ha portato in assemblea una memoria di una dozzina di pagine evidenziando quanto il Governo aveva promesso nel tempo alla società e non erogato. Si tratta di finanziamenti e garanzie di vario tipo. Secondo Sasha Colautti e Francesco Rizzo, dell’Usb nazionale, “dopo l\'ennesima presa in giro nei confronti dei lavoratori e di questo Paese, è sancito a chiare lettere che il Governo si fa ricattare dalla multinazionale. A noi sembra che stiamo consegnando le politiche industriali del Paese nelle mani di aziende prive di alcun scrupolo verso i territori in cui operano, sprezzanti delle istituzioni fino all’ultimo, irrispettosi di chi i lavoratori li rappresenta”. E con Aigi arriva anche la voce delle imprese dell’indotto metalmeccanico. “Restiamo sconcertati di fronte all’ennesimo nulla di fatto e all’ennesimo rinvio della trattativa tra soci cui è legato il destino della grande fabbrica, delle imprese e dei lavoratori - commenta il presidente Fabio Greco, soprattutto preoccupato dell’ipotesi di un ulteriore commissariamento -. Un nuovo rinvio che lascia prefigurare scenari allarmanti rispetto all’immediato futuro dello stabilimento siderurgico. La situazione è insostenibile. La soluzione tarda ad arrivare e rischia di far sprofondare nel baratro l\'indotto e con esso tutto il circuito economico locale”. 

“Le notizie che trapelano dall’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, in merito all’ennesimo rinvio, sono inaccettabili. E’ chiaro ormai l’intento di Arcelor Mittal di minare l’ex Ilva non dando avvio alla ricapitalizzazione ed impedendo gli investimenti necessari per garantire il presente ed il futuro del gruppo siderurgico”. Lo dichiara Michele De Palma, segretario generale della Fiom Cgil. “Il Governo italiano - prosegua - difenda la dignità del Paese, dignità che i lavoratori difendono scioperando per salvare gli impianti, evitando lo spegnimento di altoforno 2, e per garantire la transizione ecologica della produzione di acciaio. Il Governo - conclude la Fiom - non si faccia più tenere in ostaggio da Arcelor Mittal e nelle prossime ore intervenga per prendere il controllo e la gestione dell’azienda”. 

L’azienda intanto comunica che ieri nel siderurgico di Taranto, nella prima delle due giornate di sciopero indette da Fim, Fiom e Uilm contro la fermata dell’altoforno 2 già avviata da lunedì, “tutti i 70 lavoratori previsti nei primi due turni hanno regolarmente prestato servizio”. L’azienda ricorda infine “come siano previste comandate specifiche nell’area a caldo al fine di salvaguardare gli impianti e proteggere l’incolumità delle persone”. 

 

<Siamo e resteremo tarantini e vogliamo uno scambio continuo per lo sviluppo di questo territorio>

 

In 102 anni di storia è la prima donna a guidare la family company targata Ninfole.

Prima di lei, il padre Renato e prima ancora il nonno Ciro, che nel 1921 nella sua drogheria nel cuore di via Cava in città vecchia a Taranto, comprò la prima partita di caffè dal Brasile e coltivò il sogno di far diventare quello con il suo nome il caffè dei tarantini.

Lei è Rossella Ninfole, classe 1968, laureata in lingue e letterature straniere e una vita passata tra i sacchi del caffè, le miscele e le mura di quello stabilimento che rappresenta a tutti gli effetti il Caffè di Taranto, ma anche la storia di una imprenditoria sana che vince la sfida della crisi e la tentazione della delocalizzazione e rimane fedelmente legata alla città della sua origine.

Rossella Ninfole è la nuova presidente della Caffè Ninfole Spa.

Si tratta di un impegno e un onore insito nel mio nome che però intendo ottemperare a mio modo creando attorno alla rete dell’impresa saldamente tarantina una stretta connessione con il territorio che la ospita ormai da più di 100 anni” – dice Rossella Ninfole.

 

L’idea del nuovo corso si chiama azienda-comunità ed accentua il profilo partecipativo e un modello di impresa che dal rapporto con i fornitori, passando per il mercato e la relazione con collettività è destinato a caratterizzare la conduzione al femminile dell’azienda tarantina.

E’ chiaro che si tratta di uno schema che avrà bisogno dei suoi tempi – sottolinea ancora la nuova Presidente del Gruppo Ninfole - ma credo che anche le aziende, in special modo in realtà come quella di Taranto, debbano cominciare a sostenere il cambiamento, a consolidare e promuovere l’etica dei valori, facendosi promotrici di azioni che abbiamo un impatto sociale, economico, culturale e ambientale in grado di accompagnare le nuove generazioni verso un nuovo modello di sviluppo”.

 

Un modello di localizzazione radicata, quello di Ninfole, in risposta al trasferimento massiccio dei processi produttivi all’estero, che per la nuova Presidente dell’importante marchio del caffè è destinato a diventare anche un capitale di fiducia e di scambio continuo con il territorio, a cominciare dal sostegno a progetti di sviluppo sociale e culturale.

Siamo tarantini - conclude Rossella Ninfole - e resteremo a Taranto. Sembra una banalità, ma in realtà è la cifra di un legame che crediamo non sia ininfluente per noi, per i consumatori, ma anche per il futuro di questa città”.

 

“Fermiamoli finché siamo in tempo, mancano poche ore”. È l’appello lanciato oggi al Governo per l’ex Ilva dai sindacati nazionali Fim, Fiom e Uilm con riferimento a socio di maggioranza di Acciaierie d’Italia (ex Ilva), cioè la multinazionale Arcelor Mittal. “Il Governo - dicono le sigle - non ha altra scelta: deve estromettere questo gruppo industriale per inadempienza contrattuale e deve fare una richiesta di risarcimento per gli ingenti danni subìti, reinvestendoli in azienda. Il Governo, con un provvedimento d’urgenza, deve acquisire la maggioranza e quindi individuare soluzioni industriali, precettando produttori nazionali, affidandogli, transitoriamente, la gestione di Acciaierie d’Italia e il salvataggio dei 20 mila lavoratori di tutti gli stabilimenti. In base alle conclusioni dell’assemblea dei soci di domani, siamo pronti - è la conclusione - a realizzare un presidio permanente al fine di essere ricevuti a Palazzo Chigi, a partire dal prossimo 11 dicembre”.

Intanto le tre sigle  hanno indetto oggi 48 ore di sciopero a partire da domani dei lavoratori di esercizio dell’area altiforni del siderurgico ex Ilva diffidando Acciaierie d’Italia dalla fermata dell’altoforno 2. Operazione, questa, le cui prime manovre sono scattate ieri. L’altoforno 2 resterà fermo, ha comunicato l’azienda, sino all’11 dicembre e lo stop temporaneo rientra in un piano di interventi di manutenzione che riguarda varie aree del siderurgico. Questa modalità di sciopero - dicono i sindacati - è “per impedire che Arcelor Mittal continui nel suo ricatto utilizzando i lavoratori e la fabbrica come scudo per ricevere ulteriori risorse pubbliche da sperperare sino alla chiusura dello stabilimento”. I sindacati non credono alle affermazioni dell’azienda circa uno stop momentaneo e citano al riguardo l’altoforno 1. “Questa - dicono le sigle - ormai è diventata una consuetudine” tant’è che “non vi è stata la ripartenza dell’altoforno 1”. Quest’ultimo è infatti fermo da agosto e sarebbe dovuto restare fermo solo un mese. Domani alle 15 torna a riunirsi di nuovo - dopo le sedute del 23 e 28 novembre - l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia e il privato Mittal, che ha la maggioranza del 62 per cento, e la società pubblica Invitalia (Mef) che ha il 38 per cento, sono chiamati a trovare un accordo per un intervento finanziario urgente che assicuri la sopravvivenza dell’azienda. 

 

 

Pagina 5 di 137