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Giornale di Taranto - Economia, Lavoro & Industria
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Economia, Lavoro & Industria

Economia, Lavoro & Industria (1912)

 

Una delle questioni su cui i tarantini vorrebbe delle risposte è perche il Porto del capoluogo ionico ha chiuso i battenti, perchè dopo tanti anni di attività si è ritornati all'anno zero, lasciando "per strada" oltre 500 lavoratori e famiglie. Abbiamo letto un interessante articolo del periodico specializzato Euromerci che riporta una intervista a Giancarlo Russo, Vice Presidente di Assologistica ed ex Manager della TCT, la società che gestiva le attività portuali, da cui sicuramente possiamo ricavare delle risposte.  

Una delle domenade poste al Capitano Russo è stata infatti la seguente e che, per la sua importanza, riprendiamo integralmente:

"COME VALUTA QUANTO È ACCADUTO E IL “RITIRO” DALLA SCENA TARANTINA DELLE DUE TRA LE PIÙ GRANDI COMPAGNIE ARMATORIALI MONDIALI?

II nostro paese e,specialmente,il Mezzogiorno devono sempre più essere in grado di attrarre capitali  e investimenti stranieri.Su questo siamo tuttid’accor- do,allora come si può valutare una situazione che ha portato all’esatto contrario, alla perdita di due presenze estere così rilevanti? Prima di sottoscrivere a Roma l’accordo dell’aprile 2012,Evergreen aveva già annunciato l’incremento della portata delle sue navi,necessario per essere in grado di fronteggiare la sfida dei grandi armatori del trasporto marittimo. Non solo, ma da tempo aveva anche denunciato le forti difficoltà a lavorare sul terminal per una carente protezione offerta dalla diga foranea, per I’inadeguatezza dei fondali e delle banchine, per gli ineffcienti collegamenti infrastrutturali, per l'esclusione dall'utilizzo di banchina e piazzali, già assegnati con l'atto concessorio, causa il permanere in loco di un terminal rinfuse. Nell'accordo romano, le istituzioni presero l'impegno di ammodernare la banchina di ormeggio, di fare i necessari dragaggi e la vasca di colmata, di adeguare l'area del terminal rinfuse, di realizzare la diga foranea. Impegni non mantenuti. Se a Taranto purtroppo non siamo stati in grado di soddisfare, nei tempi concordati, la domanda di un mercato già presente nel nostro territorio, non si possono demonizzare aziende che hanno portato in Italia e nel sud del paese capitali esteri per creare sviluppo e che negli ultimi anni hanno ripianato perdite per 150 milioni di euro.

Un'altra domanda che ha attirato la nostra attenzione, soprattutto per capire quale potrebbe essere il futuro del Porto di Taranto e dei sui lavoratori attualmente in Cassa Integrazione che non sanno cosa gli attende domani. è la seguente:

COSA SERVE AL PORTO DI TARANTO?

Un sistema di governance che,da un lato,sia in grado di portare avanti con fermezza le opere previste dal Piano regolatore portuale,assumendosi la piena responsabilità sui tempi di realizzazione,e che, dall'altro, sappia dialogare con le multinazionali e con quegli operatori esteri che controllano le merci e che possano essere interessati al nostro porto, considerandolo competitivo per il loro business. Lo scalo deve anche allargare i suoi obiettivi,andando oltre la sua funzione di trans shipment,che ovviamente va salvaguardata:una volta che sarà dotato di un'infrastruttura adeguata alle esigenze del mercato e le navi torneranno a scalarlo,si dovrà puntare alla manipolazione delle merci, grazie ad attività retroportuali che diano valore aggiunto e che generino Pil per il territorio.Infatti, sono convinto che il porto di Taranto,rendendo più effcace e razionalizzandol a sua corografa,si possa offrire al mercato non solo come hub di transshipment,ma anche come gateway per ulteriori commodity e servizi logistici.

Il testo integrale dell'intervista la potete leggere sul periodico Euromerci.



Nel pomeriggio di martedì, dopo quasi tre ore di confronto tra i segretari generali di FIM FIOM UILM E USB , in cui si è analizzata la sempre più drammatica situazione del gruppo Ilva, le organizzazioni sindacali hanno convenuto di provare ad affrontare unitariamente alcuni dei temi più delicati della vicenda Ilva. "Pur con tutte le difficoltà e le diversità di vedute - spiega Francesco Rizzo del'Usb - si è deciso di avviare a partire dal 4 febbraio le assemblee unitarie, così come richiesto dai lavoratori , nelle quali verrà illustrato sia l'ultimo decreto, che nei fatti non garantisce né la salute e tanto meno l' occupazione, sia la situazione della trattativa sul rinnovo dei contratti di solidarietà". Per questo motivo il 9 febbraio al tavolo col governatore della Puglia siederà anche USB per discutere degli ammortizzatori sociali in scadenza per i lavoratori appalto Ilva (a partire dal mese di aprile centinaia di lavoratori rischiano di non avere nessuna copertura economica). Il 10 di febbraio inoltre ci sarà sciopero Ilva e Appalto Ilva indetto da Fim Fiom Uilm con un Sit in davanti la prefettura di Taranto con i lavoratori. "La partecipazione allo sciopero del 10 di febbraio di USB - spiega Rizzo - sarà legata al consiglio di fabbrica unitario previsto per venerdì 5 febbraio e alle indicazioni che riceveremo dai lavoratori nelle assemblee che partiranno domani. Valutiamo positivamente - conclude Rizzo - il tentativo di affrontare unitariamente alcune delle spinose questioni della vicenda Ilva coinvolgendo tramite le assemblee tutti i lavoratori che devono essere i protagonisti delle decisioni che riguardano il loro futuro".

 

Unitamente alle proprie Federazioni di categoria Fim, Filca, Fisascat, Fit, Flaei.

 

Il Coordinamento territoriale Ilva, Appalto, Indotto é finalizzato a monitorare gli sviluppi concernenti la vendita e la presa in carico o, in subordine, l’affitto dello stabilimento Ilva di Taranto, che si concluderanno entro il 30 giugno p.v.Il primo incontro di insediamento ha fatto il punto sullo stato attuale delle vertenze che coinvolgono sia i lavoratori diretti che quelli dell’appalto, dell’indotto e dei servizi e sulle specificità settoriali che spesso si intersecano. Presieduto da Antonio Castellucci, Segretario generale Cisl Taranto Brindisi, il Coordinamento ha preso anche in esame alcuni recenti, positivi sviluppi riguardanti il presente ed il futuro produttivo ed occupazionale del siderurgico ionico nel contesto più generale del Gruppo Ilva, a cominciare dalla recente conversione in legge al Senato dell’ultimo, specifico Decreto e dal via libera concesso dalla Commissione Concorrenza europea a proseguire i lavori di ambientalizzazione del processo produttivo e in quelli di aggiornamento della dotazione impiantistica dello stabilimento ionico. Il Coordinamento, altresì, ha confermato l’auspicio che il Governo sappia, in tempi brevi, individuare soggetti realmente interessati ai destini del Gruppo Ilva onde favorire le migliori soluzioni di conferma della produzione siderurgica e industriale nel Paese e, in particolare, a Taranto.Il Coordinamento, infine, ha deciso di convocarsi con ricorrente periodicità, per fare il punto sulle vertenze in essere e sulle loro evoluzioni.


Gruppo Ilva: l'Executive torinese Maurizio Munari lascia l'incarico
di Direttore Vendite, Marketing e Business Development
 
Seconda dimissione eccellente in  casa Ilva, specchio del clima di tensione e insicurezza che si respira all'interno di un'azienda ormai al collasso.
«A quattro mesi dalla mia nomina alla direzione
della divisione Vendite, Marketing e Business Development del Gruppo Ilva ho
deciso di lasciare l'incarico. Alla luce delle recenti evoluzioni che hanno riguardato il
Gruppo Ilva, ritengo che non vi siano più le condizioni per poter portare a termine il
mandato che sono stato chiamato a svolgere». Questo è quanto ha dichiarato Maurizio Munari.
L'Executive torinese Maurizio Munari aveva assunto l'incarico di Direttore Vendite,
Marketing e Business Development del Gruppo Ilva il 1 ottobre 2015, dopo aver
ricoperto ruoli di primo livello nel gruppo FCA.
Prima di lui si era dimesso Pucci,direttore generale appena nominato. Ma lasua decisione era legata alle polemiche suscitate dalla condanna per la tragedia Thyssen.

La CISL TARANTO BRINDISI apre il suo comunicato ricordando al GOVERNO di realizzare le migliori condizioni per un futuro positivo dell'ILVA.                    

Continua sottolineando che sebbene in un contesto generale del Paese alquanto incerto e critico, incoraggiano gli ultimi sviluppi concernenti il presente ed il futuro produttivo ed occupazionale del siderurgico di Taranto, con esso i destini dell’Ilva e di tutti gli altri stabilimenti del Gruppo. A cominciare dalla conversione in legge al Senato dell’ultimo, specifico Decreto e dagli esiti della riunione tecnica tenutasi di recente a Bruxelles e conclusasi con l’incoraggiamento della Commissione Concorrenza europea all'Italia a proseguire con celerità nei lavori di ambientalizzazione del processo produttivo e in quelli di aggiornamento della dotazione impiantistica del sito ionico, ponendo in essere ogni misura prescritta dall’Aia per le bonifiche ambientali, la sicurezza dei lavoratori e la tutela della salute pubblica.Sono stati passaggi indubbiamente impegnativi e dall’esito non scontato, per cui sarà fondamentale, come sempre ha sostenuto la nostra Organizzazione, che vengano rispettati i tempi stabiliti  e, soprattutto, che siano considerati i temi della sostenibilità della produzione di acciaio come connaturati al piano industriale di cui dovrà farsi carico chi, entro il prossimo 30 giugno, ne acquisirà la nuova proprietà o, in subordine, la prenderà in affitto.  Neppure scontata, a nostro avviso, era la disponibilità manifestata dall’Amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti ad essere parte attiva del progetto di rilancio dell’Ilva, ancorché in ruolo di minoranza, anticipata in un’audizione alla Commissione Attività produttive della Camera dove ha dichiarato il proprio impegno ad avviare, a breve, la richiesta di dati sensibili per interagire, appunto, nel processo di acquisizione. Per tutto questo riteniamo importante che la suddetta serie di segnali positivi debbano essere colti indistintamente da tutti, perché tutti concorrano alla ricerca di soluzioni condivise agendo con piena responsabilità, senza prevaricazioni e intolleranze che tradirebbero le aspettative dei lavoratori e rischierebbero seriamente di ipotecare il futuro industriale e produttivo di un Gruppo leader in Europa che molti Paesi concorrenti invidiano all’Italia.La Cisl continuerà a fare come sempre la propria parte, responsabilmente, nell’esclusivo interesse dei lavoratori diretti e dell’indotto siderurgico e di quest’area territoriale che grazie anche al Contratto Istituzionale di Sviluppo sottoscritto con il Governo intende riemergere con forza e rilanciarsi in termini produttivi, sociali ed occupazionali.Auspichiamo, pertanto, che i prossimi passi del Governo si rivelino utili a trovare  soggetti industriali realmente interessati ai destini del Gruppo Ilva e che favoriscano le migliori soluzioni possibili, per la conferma della produzione siderurgica nel nostro Paese e, in particolare, a Taranto.

Di diverso tenore la nota dell' USB - Unione Sindacale di Base di Taranto che apre con un titolo abbastanza chiaro: A GENOVA SI LOTTA……..A TARANTO SI PRODUCE!!! Tre giorni di dura lotta a Genova, tre giorni con produzioni record a Taranto!! A Genova si lotta per il futuro, da noi a Taranto si aspetta l’esecuzione di massa…………

Solidarietà, stima e rispetto per chi a Genova protesta contro le scellerate decisioni del governo che con l’ultimo decreto si è letteralmente deresponsabilizzato sulla questione Ilva, scaricando sui lavoratori gli errori commessi da una classe politica nazionale inetta, incapace e ridicola.L’ultimo decreto che contiene il bando di vendita, in realtà sarà un regalo a qualche multinazionale estera o qualche gruppo di “prenditori amici” nostrani che non metterà un euro nel piatto, chiederà mano libera “per salvare il salvabile” e attuerà la macelleria sociale, con l’ambientalizzazione che non avverrà mai!!Piombino né è la prova, regalata letteralmente agli algerini di CEVITAL che hanno sottoscritto un impegno in cui dichiarano 700 MLN di investimento totale  per “ambientalizzare” e mantenere i livelli occupazionali, riconvertire le produzioni a caldo con i forni elettrici.Risultato? L’area a caldo è ferma, la bonifica mai partita , i lavoratori in cassa senza nessuna certezza e con una perdita di 5.000,00 € annue sul proprio reddito , ambientalizzazione  non pervenuta, dei 700 mln neanche l’ombra e CEVITAL è introvabile…… Anzi no è in Brasile a firmare accordi dichiarando che trasferirà le produzioni di Piombino in lì !!In compenso con la promessa dell’impegno sul siderurgico, il gruppo algerino  ha ottenuto il controllo del porto di Piombino che era il vero obbiettivo!!Il gruppo Ilva? Tranquilli faremo la stessa fine……… Diffidate da chi sostiene che a Genova si sciopera solo per il rispetto  dell’accordo di programma o per ottenere il famoso 10% integrazione , i lavoratori scioperano per la difesa del loro futuro che è identico a quello dei lavoratori di Taranto e di tutto il gruppo, compresi i lavoratori dell’appalto!!Diffidate da chi vi dice che i privati sono la salvezza, i soldi ce li metterà comunque lo stato, nessun privato investirà mai un euro dei propri soldi nella condizione in cui versa Ilva!!Il meccanismo è semplice, DIVISIONE, vogliono farci credere che a Genova a Novi a Taranto, che nei vari siti le problematiche sono diverse, vogliono farci credere che i lavoratori sono diversi,  lavoratori dell’area a caldo con quelli dell’area a freddo,  quelli iscritti a un  sindacato piuttosto che all’altro , quelli del sud e quelli del nord, chi vive in città piuttosto che nei paesi, quelli diretti con i lavoratori dell’appalto!! La verità è che siamo tutti uguali, da nord a sud passando per Genova , Piombino, Taranto ecc…. Questo è solo un trucco per dividere  e rendere deboli . Il compito dei commissari ufficialmente era quello di risollevare le sorti del gruppo, in realtà bisognava affossare il mondo Ilva per avere la giusta condizione per regalarlo!! Prova né è Mittal  che ha subito detto che un eventuale proposta di acquisto dovrebbe contenere impunità sui reati ambientali e di sicurezza del lavoro!!Cari colleghi come ci hanno detto alcuni lavoratori di Genova che in questi giorni protestano, le soluzioni sono solo due: aspettare una morte certa oppure reagire e tentare di salvarsi!!


 

 

Io sono qui a rappresentare, anche come pugliese, le grida di una città che vuole smettere di soffrire, le grida di un territorio che non vuole essere costretto a mortificare altre sue potenzialità espresse da agroalimentare, cultura e da un mondo produttivo che chiede il rispetto di un'identità territoriale.

 

Si riporta di seguito l'intervento integrale di questa mattina in Aula al Senato di Dario Stefàno (Misto) in dichiarazione di voto su decreto Ilva in esame.

Signor Presidente, onorevoli colleghi,
oggi siamo chiamati ad esprimerci su un nuovo decreto-legge salva ILVA, un ulteriore nuovo decreto: il nono. Ma, come per i precedenti, credo che anche questo non risolverà i nodi della siderurgia italiana, men che meno affronterà e cercherà di dare soluzione ai drammi - perché così vanno definiti - legati al sito siderurgico del polo di Taranto. Ciò perché strutturalmente non mette mano alle gravi criticità di questa complessa realtà; criticità ormai note a tutti, non solo ai pugliesi come me, ma che ancora una volta non vengono affrontate di petto. Questo decreto evidenzia nuovamente e in tutta la sua potenza la crisi dell'ILVA e la scelta di fondo sempre più criticabile di ricorrere a continue soluzioni tampone: un approccio sbagliato nella sua essenza, perché segnato da quello che potrei definire un peccato originale, ossia l'assenza di una visione strategica.

Siamo chiamati, quindi, nuovamente ad affrontare questo intervento normativo in ragione di una scelta sbagliata, operata dall'Esecutivo e difesa anche in Aula alla Camera, sulla quale sono stati più volte posti i nostri rilievi. Uno su tutti: la sopraggiunta indisponibilità di risorse su cui si era fatto affidamento precedentemente, con i decreti precedenti, e che sono poi venute a mancare. Non sono un gufo nel dire questo, però ho la necessità di mettere in evidenza come precedentemente queste stesse criticità erano state sollevate. In questa occasione, invece, credo sarebbe stato sufficiente dare spazio, riconoscere l'importanza e il valore del dialogo e anche dell'ascolto, perché proprio su questi rilievi erano state espresse sollecitazioni e considerazioni utili ad una soluzione.

Molte delle criticità che si sono presentate le avevamo poste in risalto, specie con riferimento all'utilizzazione dei famosi 1.200 milioni di euro. Ricordo - lo feci io personalmente - che avevamo evidenziato che tali risorse sarebbero state bloccate, che avrebbero potuto essere bloccate, ovvero che non sarebbero state comunque disponibili in quanto derivanti da un'attività di sequestro di fondi, azioni presenti sul mercato estero e che si sarebbero dovute recuperare, con tutte le difficoltà conseguenti. E allora, come poteva farsi affidamento - dicevamo allora - su risorse che da più parti venivano evidenziate come indisponibili nella realtà? Ma tanto è. Abbiamo proceduto e con questo nono decreto l'Esecutivo intende tracciare un percorso per il futuro industriale dell'ILVA, cercando, ancora una volta, di dare garanzie massime per potere rendere possibile l'intervento dei privati. Credo però che, ancora una volta, tale intento sia perseguito in modo completamente sbilanciato.

Mi limito a riferire alcune delle criticità più evidenti, per ovvie ragioni di tempo, che avevamo sublimato, come da prassi, in proposte emendative: tutte bocciate, ovviamente. Faccio riferimento, ad esempio, alla scelta di disporre lo slittamento del termine per la realizzazione degli interventi previsti nell'AIA, senza tenere conto della sofferenza di una città aggredita sotto il profilo ambientale; ma mi riferisco anche all'offerta della possibilità che il futuro piano industriale proponga modifiche al piano delle attività di tutela ambientale e sanitaria, e sicuramente ciò avverrà per contenere i costi, rendendo di fatto possibile una modifica dell'AIA. Poi, il sostegno futuro al piano del privato, individuando il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri come strumento di autorizzazione che tiene luogo, ove necessario, della valutazione di impatto ambientale, bypassando completamente con ciò le future possibili interpretazioni e prescrizioni imposte dagli enti che si esprimerebbero in merito alle criticità ambientali del nuovo piano e degli interventi che potrebbe prevedere. A ciò si associa, poi, il più grave silenzio che questo nuovo decreto porta con sé sul futuro di Taranto e sulla sua ricostruzione.

È un provvedimento, quello che oggi ci accingiamo a votare, che né si collega né tantomeno fa richiamo ad una visione. È un provvedimento che sembra prendere atto solo della mancanza di 1.200 milioni di euro su cui si sarebbe dovuto fare affidamento rinviando quindi sine die la questione Taranto.

Credo sarebbe stato di buonsenso prevedere lo slittamento dell'orizzonte di vendita di un anno, al 30 giugno 2017, così come avevamo peraltro suggerito, perché ciò avrebbe consentito tempi maggiori per la manifestazione di interesse da parte di un maggior numero di soggetti industriali, potenzialmente idonei, individuando poi quelli in grado di proporre strategie e piani industriali competitivi e maggiormente rispettosi dei processi di ricostruzione ambientale della città, non solo dell'ILVA.

Ciò avrebbe anche consentito di non spostare ulteriormente la scadenza dell'attuazione delle prescrizioni AIA, che sono fondamentali per ridurre il sacrificio ambientale, che ancora oggi si continua a chiedere a Taranto e ai pugliesi, su cui si stanno riversando inquinanti pericolosi, come dimostrano i dati dell'ARPA, ma anche quelli associazioni ambientaliste, come PeaceLink, e come dimostra anche la continua ed estesa protesta dalla gente, per un'aggressione ambientale che ormai non ha più limitazioni. Con i nostri emendamenti volevamo blindare anche il mantenimento dei livelli occupazionali, le garanzie contrattuali e la protezione sociale dei lavoratori, in modo che il processo di trasferimento fosse indolore, almeno per i lavoratori. Avevamo richiesto di non estendere lo scudo giudiziario anche nell'ambito civile, per l'organo commissariale e i suoi delegati, per non limitare la responsabilità di chi, comunque, è chiamato alla responsabilità di decidere. Allo stesso tempo, ritenevamo necessario il coinvolgimento dell'ARPA Puglia e della commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata nell'eventuale modifica del piano ambientale, per non rinunciare all'apporto scientifico e tecnico di organismi di alta qualificazione, tra l'altro con profonde conoscenze delle realtà territoriali interessate. Parimenti, avevamo sostenuto la proposta dell'ISPRA di richiedere che l'eventuale modifica del piano fosse supportata da un documento di non aggravio sanitario, secondo le linee guida per la valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (VIIAS), approvate dall'ISPRA.

Cari colleghi, su Taranto e sui suoi cittadini pesa l'aggravio delle condizioni ambientali e i rischi associati ai continui rinvii del termine di scadenza per gli adeguamenti, previsto dall'AIA, che è il nodo principale che si continua a non affrontare. Per questo non siamo d'accordo sul nuovo slittamento per l'adeguamento ambientale, come non siamo d'accordo sulla possibilità che il nuovo acquirente possa proporre modifiche allo stesse piano, che possano far persistere lo stato di aggravio ambientale, o addirittura esporci al rischio di accrescerlo. Il rispetto delle scadenze fissate è un punto di partenza non negoziabile e possono proporsi soluzioni differenti, unicamente per esaltare e premiare nuovi e più attenti profili di rispetto ambientale delle proposte di acquisto. Lo sappiamo che è difficile, ma ciò è proponibile nell'ottica di non considerare negoziabile la salute dei cittadini, come anche di non volerla mettere in ultimo piano rispetto ad obbiettivi di compatibilità industriale, anch'essi importanti, ma che non possono passare sulla testa dei cittadini. Ecco perché avremmo dovuto garantire tempi più celeri e procedure speditive per l'espletamento della valutazione di impatto ambientale, ma non certo di considerare un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) come direttamente sostitutivo della proposta stessa. Si tratta di un grave attacco a procedure tecniche irrinunciabili e all'apporto di soggetti con competenze integrate, la cui espressione migliorerebbe qualsiasi modifica al piano ambientale e industriale.

Siamo coscienti - le chiedo un ulteriore minuto di tempo, signor Presidente - che i processi di ambientalizzazione possono attuarsi migliorando anche gli strumenti di controllo e monitoraggio ambientale. Anche l'ARPA va potenziata e dunque uno degli emendamenti da approvare - ancora oggi, ancora una volta, ancora in questo decreto-legge - sarebbe stato quello volto non a chiedere risorse, ma a consentire alla Regione Puglia la possibilità di assicurare, con risorse proprie, con nuove assunzioni, un aumento del personale disponibile di ARPA, per aumentare la possibilità di effettuare i monitoraggi e i controlli necessari, perché il personale dell'ARPA, che è chiamato ai monitoraggi e ai controlli ed è in numero assolutamente insufficiente, è sottoposto, contrariamente ai commissari, alla responsabilità penale e civile per i mancati monitoraggi e controlli. In tutto questo, però, non è stato possibile interloquire, né in Commissione né in Assemblea, stante un approccio di censura ad ogni proposta emendativa.

Nell'annunciare, dunque, il voto contrario alla conversione del decreto in esame, da parte del Gruppo Misto, voglio dire che questo nono decreto non chiuderà una pagina drammatica. Probabilmente esso darà soltanto delle considerazioni che rinviano il problema sine die, non so fino a quando.

Io sono qui a rappresentare, anche come pugliese, le grida di una città che vuole smettere di soffrire, le grida di un territorio che non vuole essere costretto, da dinamiche estranee a quel territorio, a mortificare altre sue potenzialità espresse dall'agroalimentare, dalla cultura e da un mondo produttivo che chiede il rispetto di un'identità territoriale, ma anche di una linea industriale nazionale che tarda a farsi definire e che continua ad essere interpretata con iniziative tampone che non risolveranno il problema, ma aggraveranno le difficoltà di rimettere mano ad una situazione tarantina che è ormai divenuta veramente insostenibile.



ILVA stima perdite per circa 2 milioni di euro al giorno.

A rischio gli investimenti sulla linea 4 di zincatura se la fabbrica di Genova non riprenderà a funzionare regolarmente.

L'Ilva messa in ginocchio dagli operai, che con il blocco dello stabilimento di Cornigliano stanno creando danni elevatissimi. Il bollettino dell'azienda è nero. Intanto sindacati e lavoratori aspettanosegnali sul Governo ripetendo a gran voce che "l'accordo di programma non si tocca"

Di segiito il comunicato diffuso dall'azienda

Lo sciopero e le manifestazioni organizzate dalla Fiom presso lo stabilimento ILVA di Genova negli ultimi tre giorni stanno generando danni reputazionali oltre che di fatturato per il Gruppo.

La temporanea interruzione delle attività della fabbrica, infatti, oltre a compromettere la reputazione di ILVA, in particolare verso i clienti internazionali con cui negli ultimi mesi sono stati siglati importanti contratti di fornitura, sta causando perdite finanziarie, stimate in circa 6 milioni di euro per le tre giornate di fermo della fabbrica.

Queste perdite di fatturato ad oggi corrispondono all'ammontare delle risorse finanziarie necessarie per gli investimenti sulla linea 4 di zincatura del sito industriale di Genova, sui quali, alla luce dei fatti accaduti in queste ore, l'Azienda valuterà come procedere.

L'eventuale protrarsi del fermo anche nella giornata di domani potrebbe, inoltre, compromettere il funzionamento della fabbrica di Novi Ligure, e in particolare del decatreno, causando, di conseguenza, ulteriori danni al Gruppo, già sotto pressione a causa delle difficoltà interne e della debolezza del settore.

ILVA segnala, infine, che le manifestazioni in corso stanno impedendo alle chiatte, da giorni in stato di attesa presso le banchine del porto, di procedere con l’attività di scarico e carico di ingenti quantità di prodotti destinati alla lavorazione e all’esportazione.

Per queste ragioni, pur nel rispetto del diritto di sciopero dei lavoratori e delle scelte delle diverse sigle sindacali, la Società auspica che non venga ulteriormente ostacolato il normale svolgimento delle attività industriali dello stabilimento.

 

 

"L'accordo di programma non si tocca e i patti vanno rispettati". E' questo il senso della protesta scoppiata all'Ilva di Cornigliano dove i lavoratori hanno occupato la fabbrica e bloccato il Casello della A10. La manifestazione, indetta da Fiom e Failms nasce dalla necessità di mettere il Governo di fronte alle proprie responsabilità e di ottenere garanzie chiare e certe sul processo di vendita che, secondo i sindacati, non deve mettere in discussione l'accordo di programma. Insomma, è in atto un vero e proprio braccio di ferro. Attualmente impianti fermi, lavoratori per strada e una chiara ed esplicità richiesta: aprire una trattativa vera con il Governo, una trattativa politica. "Basta parlare con i tecnici, basta essere presi in giro!" Hanno ripetuto all'unisono sindacati e lavoratori. Insomma, Genova non ci sta a subìre i "capricci" di un Governo poco chiaro. E Taranto che fa, visto che il Governo ha parlato più volte di una sorta di vendita "in blocco" ritenendo le sorti dei stabilimenti Ilva legati tra loro?

 

Per discutere le problematiche dell'Azienda Siderurgica. CalendarizzatI incontri per programmare azioni, anche clamorose, di protesta e mobilitazione.

 

 

L’Ilva: attualmente, una situazione drammatica che rischia di esplodere se non si adotteranno, a breve, azioni anche di carattere straordinario per scongiurare il tracollo: della fabbrica, dei lavoratori, dell’indotto, della città.

E’ questa, in breve, la valutazione emersa dall’incontro tenuto in Confindustria, alla presenza del Presidente Vincenzo Cesareo, fra i componenti il consiglio direttivo della sezione metalmeccanica- presente il Presidente Pietro Lacaita- ed i segretari generali di Fim Fiom e Uilm di Taranto Valerio D’Alò, Giuseppe Romano e Antonio Talò.

La situazione è tale da far temere il cosiddetto collo dell’imbuto, che una volta imboccato non può più consentire alcun margine di manovra: la cessione dei complessi aziendali dell’Ilva e l’avvio delle procedure per il trasferimento delle aziende che fanno capo alle società del gruppo, ora in amministrazione straordinaria, si stanno infatti velocemente concretizzando: dal 10 gennaio scorso, si sono aperti i trenta giorni  concessi dall'avviso internazionale per la presentazione delle manifestazioni di interesse dei gruppi e delle società interessate all’acquisizione.

Cosa sta succedendo nel frattempo? Confindustria e sindacati si sono interrogati brevemente e la situazione è apparsa subito, da entrambe le parti, particolarmente critica.

I numeri sono, più di ogni altro aspetto, a parlare chiaro: ad oggi sono 1021 i dipendenti dell’appalto in cassa integrazione, ordinaria e straordinaria; 136 le procedure di licenziamento già concluse e 3.510 i dipendenti diretti con contratto di solidarietà.

Le aziende dell’appalto, già penalizzate fortemente dai crediti pregressi e mai ottenuti, si trovano in una situazione di stand by dovuta al fermo pressoché totale della produzione. I dipendenti della fabbrica, dal canto loro, guardano al futuro imminente senza alcuna garanzia e oramai pochissime certezze. I processi di ambientalizzazione sono al palo, in vista probabilmente  degli scenari che si delineeranno da qui a breve con l’ingresso dei privati.

La città, manco a dirlo,  risente pesantemente della fase di stasi – oramai molto lunga –che la vicenda ha inevitabilmente provocato, e gli ultimi provvedimenti del Governo, fra cui le risorse rivenienti dalla legge di stabilità, appaiono insufficienti e comunque non di immediata fruizione.

Il sistema Taranto, insomma, rischia un tracollo senza ritorno.

Confindustria – è stato ribadito nel corso dell’incontro - non può rimanere inerme davanti ad una crisi di queste proporzioni; i sindacati, dal canto loro, hanno nei giorni scorsi inscenato una protesta in consiglio comunale coinvolgendo anche i sindaci degli altri comuni per fronteggiare una situazione che inevitabilmente coinvolge tutta la provincia; contestualmente, hanno programmato una serie di incontri con le rappresentanze sindacali dell’indotto per stabilire i provvedimenti da intraprendere. Successivamente al 10 febbraio, data in cui si concluderà il primo step di cessione ai privati dell’Ilva, sono in calendario incontri serrati con i consigli di fabbrica per adottare tutte le azioni che si riterranno opportune.

Da qui la decisione dei presenti di continuare a vedersi per delineare strategie comuni e coinvolgere le istituzioni del territorio ed altre organizzazioni datoriali (commercianti, artigiani ecc.) al fine di sensibilizzare il governo sulla drammatica situazione in atto.

Confindustria e sindacati, intanto, hanno calendarizzato una serie di incontri per fare il punto sui passaggi da concretizzare dopo il 10 febbraio prossimo, non escludendo - per i rispettivi ambiti di competenza-  azioni, anche clamorose, di protesta e mobilitazione.


 

 

E scrivono una lettera ai Commissari e alla Regione Puglia che riportiamo integralmente.

Alla Cortese Attenzione

Commissari Ilva Spa in A.S.

Presidente della Regione Puglia

E p.c. Presidenza del Consiglio dei Ministri

Oggetto: Integrazione salariale lavoratori Ilva.

Ill.mi Sig.ri,

viste le criticità connesse allo stabilimento Ilva di Taranto, con particolare riferimento ai risvolti ambientali, al mantenimento dei livelli occupazionali e degli assetti produttivi;

considerato il perdurare dell’incertezza sui passaggi futuri;

è inaccettabile scaricare sulle maestranze che dal primo giorno pagano, pur senza colpe, un prezzo già alto il peso della crisi.

Per questi motivi è da respingere la posizione aziendale alla non disponibilità ad integrare il salario dei lavoratori Ilva che dovranno accedere agli ammortizzatori sociali.

Le scriventi OO.SS., ritengono che ai lavoratori non si possano chiedere altri sacrifici (ulteriori decurtazioni del salario), per cui

CHIEDONO risposte certe sulla possibilità di integrazione da parte delle istituzioni, Regione Puglia compresa.

Non da meno si richiedono risposte certe sulla situazione dei lavoratori dell'indotto a cui, oltre i noti problemi legati al salario, si aggiunge un futuro non chiaro sui programmi occupazionali futuri.

In assenza di garanzie avvieremo a partire dal 10 febbraio p.v. iniziative di sciopero a sostegno di questa richiesta, con modalità da definire, presso le sedi istituzionali in indirizzo.

Taranto, 22 gennaio 2016

I Segretari Generali Fim-Fiom-Uilm

Valerio D’Alò – Giuseppe Romano – Antonio Talò


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