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Giornale di Taranto - Economia, Lavoro & Industria
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Economia, Lavoro & Industria

Economia, Lavoro & Industria (1908)

 

 
 

VERTENZA NATUZZI, USB: ACCORDO DISCUTIBILE

 

Felice Dileo, Coordinamento USB-LP Natuzzi Spa, interviene sull'epilogo della vertenza Natuzzi SPA. "Vorrei rivolgere 7 domande a coloro che giudicano positivamente l'epilogo della vertenza Natuzzi SPA -afferma Dileo-. Innanzitutto, Scusandomi per lsolita irriverenza verso illustri esponenti politici e sindacali, ma apprendendo la soddisfazione con cui è stato accolto l’Accordo sottoscritto il 15 novembre scorso al MiSE in merito alla vertenza Natuzzi Spaviene subito spontanea una domanda. Ma coloro i quali giudicano positivamente l’intesa raggiunta, il testo dell’accordo lo hanno letto? In secondo luogo, Dal primo comma delle premesse emerge che in Natuzzi Spa ci sono 1918 lavoratori in Contratto di Solidarietà. Da qui verrebbe subito da chiedersi come è possibile che un’azienda ricorra al Contratto di Solidarietà e allo stesso tempo licenzi 355 dipendenti. Che solidarietà è quindi? Pertanto, i “positivisti” dell’Accordo si sono accorti che i soggetti che hanno sottoscritto il Verbale del 15 novembre 2016 sono gli stessi che il 5 marzo 2015 discriminarono volutamente questi 355 lavoratori, disponendo che non meritassero il Contratto di Solidarietà e fossero invece collocati in Cigs per cessazione attività? Se, viceversa, si fosse sottoscritto il Contratto di Solidarietà secondo i suoi fini e principi, i 355 licenziati adesso sarebbero in produzione in Natuzzi Spa. 3) Al punto a) delle premesse si legge che sarà costituita una New co. Qual è l’esigenza di costituire una New co per riaprire lo stabilimento di Ginosa. Per caso è vietato riaprire Ginosa come Natuzzi Spa? Vi siete chiesti che forse questo espediente serva ad attingere ai finanziamenti pubblici previsti per le nuove assunzioni(una bella somma di questi sono già impegnati dallo stesso Accordo) quando queste, di fatto, non sono nuove assunzioni?4) Successivamente al punto b) si specifica che la New co svolgerà attività di lavorazione e trasformazione del Poliuretano. Ma attualmente i divani che produce la Natuzzi Spa non sono privi di poliuretano, tutt’altro, la lavorazione e trasformazione del poliuretano è commissionata ad altre aziende dell’indotto. La domanda è allora vi è sorto il dubbio che probabilmente le 215 nuove assunzioni presso la New co provocherà 215 licenziamenti da parte delle imprese contoterziste di Natuzzi Spa?5) Adesso si arriva alla perla dell’Accordo Quadro del 15 novembre 2016. Alla lettera e) si concorda che le assunzioni avverranno entro il 31 dicembre 2016. Fino qua ci siamo, ma leggendo un po’ più attentamente si evince che per assumere entro tale data la New co necessita della Cassa integrazione in deroga, in quanto non è ancora pronto l’impianto produttivo. Dunque, perché si ha l’impellenza di assumere entro il 31 dicembre se la produzione non può essere avviata e si collocheranno i lavoratori dal primo giorno di assunzione in Cigd? Non sarebbe più logico procedere alle assunzioni quando l’impianto sarà attivabile? Non mi si venga a dire che è per garantire un sussidio ai lavoratori perché già ce l’hanno ed è l’indennità di mobilità, che copre tutti perlomeno sino a novembre 2017. Questa è però una domanda puramente retorica, giacché la risposta è contenuta al punto f) ove è scritto che potranno essere assunti dalla New co solo coloro che avranno risolto ogni contenzioso con Natuzzi Spa. In pratica si è disposto questo vero e proprio pastrocchio per costringere le diverse centinaia di maestranze che avevano contenziosi legali con Natuzzi Spa a ritirarle prima che si giunga a sentenza.6) I “positivisti” dell’accordo sanno che il livello d’inquadramento con cui saranno assunti i lavoratori è l’AE1, ossia il meno retributivo del CCNL Legno Industria, annullando così in un sol colpo tutti gli avanzamenti professionali che negli anni si sono guadagnati in Natuzzi Spa?7) In ultimo una domanda che deriva dai 6 interrogativi aperti sopra. I “positivisti” si sono chiesti se non sia un chiaro sovvertimento del fenomeno causa-effetto? Mi spiego meglio, è peregrino credere che probabilmente non si tratta di aver fatto un cattivo accordo per salvare 215 posti di lavoro, ma è più verosimile che si è volutamente licenziato (perché il Contratto di Solidarietà non ha coinvolto tutti i dipendenti Natuzzi Spa è ancora un autentico mistero) per poi sfruttare tutti i vantaggi derivanti dalla successiva riassunzione dei licenziati?"

 

Per l’Unione Sindacale di Base, ovviamente, la vertenza Natuzzi Spa non è ancora chiusa e continuerà a lottare affinché si adotti l’unica soluzione possibile per tutelare i lavoratori licenziati, senza recare danni ad altri lavoratori non ancora licenziati. Ossia: il reintegro dei lavoratori espulsi in Natuzzi Spa, attraverso l’estensione del Contratto di Solidarietà a tutti i dipendenti, dato che le vigenti disposizioni di Legge in materia lo consentono. Poi l’USB è disposta a valutare tutte le possibili soluzioni per il rilancio della produzione in Natuzzi Spa. "Nella consapevolezza che non si è mai creato neanche un posto di lavoro reale con gli stratagemmi dei finanziamenti statali a pioggia o altre furberie del genere - prosegue Dileo-. Dispiace constatare che una volta questi espedienti erano i Governi democristiani a farne largo uso, adesso invece sono fatti propri dalle Giunte della Sinistra gattopardesca del tutto deve cambiare per far restare tutto com’era e a quanto pare sono spalleggiati anche dalle Amministrazioni comunali rivoluzionar-grilline. In ultimo, faccio un appello a tutti i mass media, affinché assicurino agli utenti una corretta informazione, in modo che possano apprendere, anchele ragioni di chi esprime un giudizio fermamente negativo del Verbale di accordo quadro del 15 novembre 2016, riguardante la vertenza Natuzzi Spa". 

 

 

Dal prof. Giorgio Assennato, già direttore generale di Arpa Puglia, riceviamo e pubblichiamo. 

 

La nota del Presidente Emiliano in riferimento al cosiddetto studio di MoschettiMatacchiera e Marescotti sull’esposizione al piombo nei bambini di Taranto mi obbliga come medico di sanità pubblica a una riflessione.

Innanzitutto il primo studio di monitoraggio biologico dei metalli sui bambini di Taranto fu effettuato nel 2010 con finanziamento della provincia di Taranto e coinvolse Asl. Arpa e sezione di Medicina del lavoro “Ramazzini” della facoltà di Medicina dell’Università di Bari (la mia storica struttura di appartenenza accademica). I risultati furono portati all’attenzione della comunità scientifica nazionale (36esimo congresso dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, 2011) e internazionale (Congresso di EPICOH, la sezione di epidemiologia dell’ICOH, la società internazionale di Medicina del lavoro, Oxford,2011).
I risultati, pur non essendo affatto catastrofici, sottolineavano l’opportunità di ridurre le emissioni di metalli da parte di ILVA e di effettuare ulteriori approfondimenti. E’ attualmente in corso di stampa la relativa pubblicazione scientifica.

A seguito proprio delle richieste congiunte di Asl, Ares e Arpa, l’Istituto Superiore di Sanità predispose un dettagliato protocollo di ricerca, finanziato dal Centro per il Controllo delle Malattie del Ministero della Salute, i cui risultati saranno presentati a Taranto il prossimo 7 dicembre.

Successivamente, fu data larga enfasi mediatica ad un cosiddetto studio progettato dalla dr.ssa Moschetti, dal prof. Matacchiera e dal prof. Marescotti. Lo studio consisteva nell’analisi delle concentrazioni ematiche di Piombo in 9 bambini di Taranto presso un laboratorio privato non accreditato (a differenza del laboratorio Arpa di Taranto, specificamente accreditato per tali analisi). Quando fui informato dei valori osservati nei 9 bambini, rimasi scioccato. Si raggiungevano valori pari a 40 mcg% di piombemia, valori che raramente riscontravo negli anni ’90 nei lavoratori professionalmente esposti a piombo, come gli operai addetti alla produzione di accumulatori elettrici. Pensai a un errore tipografico, allo spostamento di una virgola, ma invece il risultato fu confermato (con notevoli perplessità da parte mia).

Segnalai al dr. Michele Conversano (il direttore del dipartimento di prevenzione dell’ASL di Taranto) che le linee-guida del CDC di Atlante (l’autorevole Center for Disease Control) prescrivono in caso di valori alti di piombemia nei bambini la ripetizione dell’analisi entro sei mesi in laboratori accreditati. Il dr.Conversano chiese e ottenne dall’Istituto Superiore di Sanità provette e altro materiale lead-free per poter effettuare il campionamento in qualità e la disponibilità ad effettuare l’analisi delle piombemie (per le quali l’ISS è il centro di riferimento in Italia). Ma purtroppo il dr. Conversano mi disse che non riuscì ad ottenere i nominativi dei bambini da richiamare per il prelievo, per cui la prescrizione del CDC rimase inattuata. Ed invero, delle due l’una: o i risultati non erano accurati ed erano di gran lunga sovrastimati, ovvero occorreva (certamente nel caso del bambino coi valori più alti di piombermia) non soltanto ripetere l’analisi, ma approfondire la valutazione con visite ed accertamenti ematologici e neurologici e con la misura del possibile impatto sul metabolismo dell’eme ( uno dei due costituenti dell’emoglobina).

Mi risulta altresì che lo stesso prof. Matacchiera abbia poi inviato ulteriori venti campioni ematici di bambini di Taranto alla sezione di medicina del lavoro “Ramazzini” di Bari e abbia anche ricevuto i risultati. Come mai il prof. Matacchiera, di solito così solerte nel diffondere dati ambientali e sanitari, stavolta non ha ritenuto opportuno renderne pubblici i risultati (oso sperare che almeno ai diretti interessati, i genitori dei bambini e i loro pediatri di base i risultati siano stati forniti)? Sono tempi bui quelli nei quali i politici danno patenti di scientificità a persone non qualificate (si consulti il sito Pubmed e si scrivano nella stringa di ricerca i nomi dei tre “autori”) e si debba necessariamente ipotizzare situazioni catastrofiche per ottenere miglioramenti ambientali che si dovrebbero comunque poter ottenere, senza gridare “Al lupo, al lupo!”. Ma con un sereno approccio basato sull’evidenza“.

Si sono concluse nei giorni le operazioni di spoglio per il rinnovo delle cariche direttive dell'Ordine dei dottori commercialisti ed Esperti Contabili di Taranto e Provincia. Due le liste presentate e che sono date battaglia in una campagna elettorale che ha visto la partecipazione oltre 900 dei poco più dei 1.000 commercialisti che lavorano ed operano sul territorio, quiandi circa il 90% a conferma che si è trattato di un rinnovo particolarmente sentito. Una lista era capeggiata dal Presidente uscente Latorre e l'atra invece da Vinciguerra. Alla fine del conteggio delle schede ha fatto registrare la vittoria della lista di Cosimo Damiano Latorre che quindi è stato riconfermato nella carica di presidente per il prossimo quadrienni 2017-2020 e che pertanto proseguirà il percorso avviato già quattro anni fa. Oltre il 55% delle preferenze per la lista Latorre rispetto al 45% della lista Vinciguerra. Riconfermati anche i consiglieri Fabrizio Cavallo, Lara lippolis e Gregorio Pecoraro, mentre entrano in Consiglio Nicola de Florio, Gaetano Ricci, Giulio Rossetti, Angela Cafaro e Massimo Caffio. Di diritto fa parte del Consiglio, come opposizione, anche l'altro candidato presidente Luca Vinciguerra. Daniela Gaita entra invece in Consiglio come candidata più suffragata. Il nuovo Consiglio ssarà operativo a partire dal prossimo 1 gennaio 2017.

 

Il 2016, per l’olio d’oliva extravergine, sarà un’annata molto difficile. Produzione prevista in calo del 37% a livello nazionale: 298mila tonnellate contro le 475mila dello scorso anno; peggio ancora in Puglia dove si toccherà il meno 40 per cento (242mila tonnellate stimate); prezzi in risalita ma non quanto sarebbe auspicabile. Con la conseguenza che è destinata ad aumentare ancora la quota d’importazione e, va da sé, anche la possibilità di contraffazioni e truffe. 

«Uno scenario non incoraggiante – spiega Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto – dopo l’ottimo 2015 che ci aveva fatto dimenticare il disastroso 2014, forse la peggiore annata negli ultimi 80 anni. Era però prevedibile – aggiunge Lazzàro – che l’annata 2016 sarebbe stata fisiologicamente di scarica in molte aree produttive, quindi il calo era atteso. Tuttavia, solo a consuntivo si potrà valutare anche l’impatto, in positivo o ulteriormente in negativo, delle piccole realtà produttive che sono sotto la soglia di rilevazione». 

Stando ai dati forniti da Ismea, il calo produttivo in Puglia (-40%) è condizionato soprattutto dalle scarse produzioni attese nelle province di Taranto, Brindisi e  Lecce. Anche la qualità attesa subirà un calo imputabile a problemi parassitari, più per i ripetuti attacchi di mosca che per la temuta Xylella, il cui impatto sulla produzione è nel breve termine abbastanza ridotto. «Tuttavia bisogna fare attenzione – avverte Lazzàro – a non innescare falsi allarmi nei consumatori su questo tipo di circoscritte problematiche del prodotto italiano. Al contrario, è necessario alzare il livello dei controlli alle dogane in previsione dell’aumento delle importazioni e del rischio di falsificazioni e truffe. Il paradosso italiano, come noto, è che siamo il secondo produttore mondiale, alle spalle della lontanissima Spagna, ma anche il primo importatore e il secondo esportatore».

A incidere su questo panorama a tinte scure, ci sono gli effetti del calo produttivo in Grecia  e soprattutto Tunisia (con le 90mila tonnellate d’olio d’oliva che l’Ue ha alleggerito del dazio), ma anche condizioni interne al mercato italiano: «Degli oltre 900 frantoi pugliesi – spiega Lazzàro – ho notizia che alcuni potrebbero rimanere chiusi. La lenta risalita del prezzo, che sulla piazza di riferimento di Bari ha avuto un picco del 20% solo nell’ultima settimana, potrebbe non essere in grado di compensare la perdita di reddito causata dalla produzione ridotta. È un problema che si lega a doppio filo con la scarsa capacità di programmazione dei produttori, un universo di poche grandi e strutturate aziende e di migliaia di micro realtà produttive». 

«Come si sta sperimentando per il grano – suggerisce Lazzàro - i contratti di filiera potrebbero essere uno strumento adatto e flessibile per contrastare le turbolenze del mercato. Anche chi produce olio d’oliva extravergine, prima o poi, dovrà scegliere di aggregarsi e fare massa critica, altrimenti si rischia sempre più di vedere in giro olio spacciato per italiano prodotto chissà dove e che, soprattutto, genera reddito in tasche non italiane». 

Tre ragioni per ribadire un nuovo ‘NO’ alla prosecuzione delle  ricerche di idrocarburi nel Golfo di Taranto. Le organizzazioni provinciali del mondo delle attività della pesca,  del turismo e dell’ambientalismo scendono nuovamente in campo per chiedere maggiori certezze a tutela del  mare e del  futuro dell’economia legata al mare,   a fronte del recente  esito positivo dell’iter che autorizza la ricerca di giacimenti  da parte di diverse compagnie petrolifere, nello specchio di mare antistante la costa jonico-tarantina.

Con una lettera all’indirizzo del prefetto, Umberto Guidato, le organizzazioni provinciali (AGCI Pesca, Casartigiani, CLAAI, Confcommercio, Lega Pesca, SIB/Confcommercio, UNCI Pesca, Jonian Dolphin Conservation, WWF)  esprimono apprensione  per quanto disposto dal Ddl ‘Sviluppo’ che, all’art. 27, recita “… del rilascio del permesso è data comunicazione ai comuni interessati”,  escludendo così i Comuni dall’iter autorizzativo. 

La tecnica utilizzata per la ricerca in primis dovrebbe essere quella delle AIR GUN : navi per la ricerca geofisica operano nella zona di ricerca trainando sia le sorgenti di energia elastica (airgun) che il cavo di registrazione (streamer). Sono previste infine piattaforme finalizzate alle perforazioni esplorative.

Sono  almeno tre le  motivazioni per cui tale tecnica è da rigettare. Uno: la letteratura in materia conferma che esistono ancora notevoli interrogativi dei reali effetti di questa metodologia sull’ambiente marino  e nello specifico sulle risorse alieutiche. Due: l’area sottoposta alle azioni di ricerca coincide con il fulcro delle zone di pesca e di altre attività legate al mare come gli stabilimenti balneari, la divulgazione scientifica e l’osservazione dei mammiferi e cetacei marini, il turismo marittimo. Come è possibile coniugare questa nuova operazione di sfruttamento della risorsa mare in un ambiente già ampiamente sacrificato nell’ultimo secolo.  Tre: ulteriori interdizioni degli specchi acquei destinati alla pesca e nuove limitazioni alla fruizione del mare e delle coste sono insostenibili per le imprese del territorio e lesive per il brand del prodotto locale (mitili e pesce).

Il Decreto Salva Taranto,  del gennaio 2015,  prevede il Piano di bonifica e messa in sicurezza dell’area jonica, programmi per la rivalutazione dell’economia turistica e la riqualificazione ambientale. Tutto ciò è in netta contraddizione con le azioni di ricerca e la eventuale estrazione di idrocarburi. 

Poiché le tecniche di ricerca sono controverse ci si appella al Prefetto chiedendo di incaricare ufficialmente gli enti scientifici territoriali (CRM e Università) per redigere un organico quadro informativo  su tutti i possibili rischi delle prossime azioni di ricerca ed estrazione . Contestualmente le Organizzazioni scriventi affermano di volersi avvalere di quanto disposto dalla Decisione 193 /&26/CEE del 25.10.93 sul Principio di Precauzione riguardo alla potenziale pericolosità e i possibili effetti sull’ambiente e salute degli esseri umani, animali e piante, laddove non vi sono informazioni scientifiche sufficienti.

Di fronte al rischio che tale situazione possa generare contraccolpi socio- economici devastanti e reazioni emotive incontrollabili da parte degli operatori, le Associazioni chiedono che il Prefetto istituisca un tavolo consultivo, con la partecipazione delle Organizzazioni  e le istituzioni scientifiche.  

"Il tentativo dell'organizzazione sindacale Usb di ironizzare con il proprio comunicato le decisioni assunte dalla Giunta Municipale sui temi del salario accessorio del personale è sterile e per alcuni versi lesivo della dignità dell'Amministrazione comunale, che quanto alla tutela dei diritti dei dipendenti comunali ha sempre adottato scelte ponderate in un percorso condiviso, talvolta frutto anche di duro confronto ma pur sempre costruttivo con le organizzazioni sindacali firmatarie del Contratto Nazionale di Lavoro".

Il sindaco Ezio Stefàno non ci sta e, prese carta e penna, contesta punto su punto le contestazioni mossegli dai responsabili dell'Usb, specificando come l'amministrazione comunale ha intrapreso un percorso "che garantisse certezza e legittimità proprio a tutela dei lavoratori e che fosse in netta discontinuità con una certa politica del personale che diversi anni fa ha prodotto guasti ancora del tutto non sanati".

Sullo specifico della decisione assunta dalla Giunta Municipale sulla problematica del salario accessorio – così come hanno chiarito il Dirigente al Personale e l'Assessore al Personale con una apposita nota indirizzata al Sindaco Stefàno – il sindaco specifica che "è apparso prudente rimodulare la consistenza del fondo a ciò destinato in ragione degli elementi di dubbio che sono stati introdotti dalla Relazione del MEF, la quale ha posto in evidenza una difformità in merito alla costituzione e quantificazione del fondo sia del comparto sia della dirigenza. Ovviamente questo rilievo, in uno agli altri, è stato controdedotto al MEF. Si è in attesa della conclusione di questa ispezione che non può prescindere dalla disamina da parte del Ministero delle controdeduzioni inviategli e pertanto quanto deliberato dalla Giunta ha carattere di temporaneità per cui le relative risorse sono state accantonate con vincolo di destinazione e comunque a tutt'oggi incardinate nel bilancio comunale sino all'esito dell'anzidetta verifica ministeriale".

Quindi, secondo il primo cittadino, "tanta strumentalità non trova riscontro negli atti dell'Amministrazione che, invece, li adotta ben attenta a salvaguardare proprio i lavoratori per non esporli poi ad ipotesi di danno erariale ed i più recenti pronunciamenti giurisdizionali, purtroppo,  sono andati in questa direzione ed è emblematico - conclude - quanto è avvenuto ai dipendenti del Comune di Roma".

"Siamo stati nuovamente tenuti fuori. Questa è la democrazia dell'amministrazione comunale di Taranto", così Francesco Rizzo coordinatore provinciale USB Taranto in presidio sotto gli uffici comunali di via Anfiteatro. "Il dirigente Spano ha incontrato tutte le sigle sindacali, ma ha pensato bene di non convocare USB che tra dipendenti comunali e vigili urbani raccoglie ben cento persone – va avanti il coordinatore -. Un atto inqualificabile che noi condanniamo. Abbiamo fatto presente più volte che tra i lavoratori ci sono anche molti del nostro gruppo, ma dal Comune continuano a fare orecchie da mercante. Fortunatamente siamo in odore di elezioni comunali e ben presto ci toglieremmo un poco di personaggi spazzatura che non guardano al bene della città ma pensano solo ai propri interessi. Intanto noi andiamo avanti con il presidio, finché non ci ascolteranno e non ci permetteranno di dare voce a tutti quei lavoratori che fanno parte della nostra sigla sindacale”

 

“Nei giorni scorsi all’Ilva c’è stata una nuova fuga di gas, precisamente nell’Acciaieria 1, e il piano di evacuazione del personale non avrebbe funzionato, tanto che due operai sarebbero rimasti bloccati nell’ascensore, mentre un tecnico ha inalato del gas finendo in infermeria. Questo fatto avviene poche settimane dopo la morte di un operaio schiacciato da un nastro trasportatore e i dati ufficiali della Regione Puglia sulla gravissima situazione sanitaria e ambientale nella città. E’ chiaro che la sicurezza dei lavoratori e il rispetto delle norme ambientali continuano a essere una chimera nell’impianto tarantino. Nel settembre 2013, la Commissione europea aveva aperto la procedura d’infrazione a carico dell’Italia per violazioni delle norme Ue sulle emissioni industriali e sulla responsabilità ambientale. La procedura si è fermata al secondo step, che risale al 2014. Da allora sono passati due anni e all’Ilva nulla è cambiato. Cosa aspetta la Commissione europea ad agire e a portare il caso davanti la Corte di giustizia? Per Bruxelles la vita di operai e cittadini non conta nulla?”. Lo dice l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle, Rosa D’Amato, commentando l’episodio avvenuto ieri nello stabilimento dell’Ilva di Taranto, dove si è verificata una fuga di gas. 
“La Commissione europea si svegli – attacca D’Amato – I vari governi italiani, per ultimo quello Renzi, hanno solo bluffato sulla pelle dei tarantini: l’Ilva è un mostro irrecuperabile. L’unica strada è la sua chiusura. Bruxelles sia credibile e responsabile: faccia rispettare le regole e attui la procedura d’infrazione a carico dell’Italia. Non vorrei che l'attesa sia dettata dall'esigenza di mantenere certi equilibri all'interno dell'Ue, per non favorire in alcun modo le forze cosidette euroscettiche”.

Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano è intervenuto a margine dei lavori del convegno “Ripensare l’industria siderurgica italiana”, in corso a Taranto a cura del Consiglio nazionale degli ingegneri e della Regione Puglia:

“Stiamo provando – ha detto – a non usare una parola che secondo me non dobbiamo pronunciare più: “ambientalizzazione”, che non ha né capo e né coda: noi dobbiamo semplicemente dire che la salute umana è più importante della produzione e dimostrare che le produzioni non determinino alcun danno alla salute. Non c’è più da conciliare salute e lavoro: la garanzia della salute delle persone deve prevalere su qualunque altro ragionamento, fermo restando che se qualcuno dimostra che si può produrre acciaio senza far del male, si può produrre perché non abbiamo nulla contro l’acciaio e contro l’Ilva. Se però l’Ilva ci chiede di sacrificare la salute dei tarantini  e probabilmente non solo dei tarantini – a breve presenteremo studi sui possibili effetti dell’inquinamento dell’Ilva quando cambia il vento verso il Salento e Brindisi - non possiamo starci e non ci stiamo.

E una delle ragioni per cui bisogna stare attenti a non far perdere ruolo alle Regioni è esattamente questa: perché se la Regione Puglia non avesse il potere di interloquire su queste materie, questa discussione si sarebbe fatta in un piccolo studio di Roma dove avrebbero deciso qualunque cosa sull’interesse dei tarantini, mentre oggi la democrazia consente alla Regione Puglia e al Consiglio nazionale degli Ingegneri, che è un organo terzo, di cercare un approccio scientifico alla decisione politica.

Gli ingeneri ci diranno se è possibile decarbonizzare l’Ilva, perché il diavolo che uccide le persone è il carbone, non è l’acciaio.

E io non vorrei che qui ci fosse qualcuno che voglia più vendere carbone che produrre acciaio. E se è così, noi lo andremo a beccare questo qualcuno, perché vuol dire che non è interessato al ruolo strategico dell’azienda, perché a noi serve l’acciaio, non comprare carbone.

Il caso vuole che in Puglia stiano per arrivare 20 miliardi di metri cubi di gas: il gas ce lo fanno pagare più del carbone, mentre i danni che il carbone causa li fanno pagare alla collettività tarantina e al servizio sanitario pugliese(*).

Per togliere anche quest’alibi del costo, la Puglia chiede che come compensazione ambientale per l’arrivo di questo gas, il gas sia consegnato all’Ilva e all’Enel di Brindisi allo stesso prezzo energetico del carbone.

Questo non è un convegno di ambientalisti arrabbiati, qui discutiamo in sede tecnica e il presidente della Regione Puglia non è un populista protestatario, tant’è che ha chiamato gli ingegneri a discutere, su proposte che abbiamo presentato un anno fa a Parigi alla conferenza internazionale sul clima.

A queste proposte nessuno ci ha detto no, anzi nessuno ci ha mai risposto. Ma mi auguro che il Governo prima o poi incontri la Regione Puglia – è proprio il minimo che possa fare - perché io incontro anche il più piccolo dei sindaci quando ha qualcosa da proporre e ha bisogno di me. Io ora ho bisogno di fare una riunione tecnica con il Governo sulla proposta per rendere meno pericolosa l’Ilva e ridurre il danno alla salute. È possibile avere questo incontro? Io credo di sì e gli ingegneri oggi, in maniera tecnica e asettica stanno tentando di favorire il confronto tecnico”.

“Abbiamo presentato oggi il piano sulla decarbonizzazione della Puglia e lo abbiamo sottoposto al vaglio degli ingegneri italiani i quali hanno detto che questa è una proposta non solo utile, ma opportuna, addirittura obbligatoria per gli accordi internazionali che l’Italia ha sottoscritto a Parigi”.

“Stiamo sostanzialmente verificando – ha continuato Emiliano - se sia possibile produrre acciaio senza utilizzare il carbone, carbone che in tutto il mondo miete vittime provocando morti premature in numero insopportabile. L’assenza di chi, in questo momento, ha la responsabilità di prendere decisioni sulla salute dei tarantini e più generale degli italiani ovviamente mi addolora ma certamente non ci ferma. L’assenza di Assoacciai significa solo questo: che non hanno alcuna proposta alternativa. Pretenderebbero di continuare a produrre con il carbone come hanno sempre fatto in passato, cosa questa che non sarà più possibile in Puglia. Approfondiremo le questioni tecniche, ma ho presentato questa proposta e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri non è mai partita una discussione. Di fronte a questi dati di mortalità l’inerzia del Governo è un fatto grave, tanto più in presenza di un’alternativa produttiva”.

“Quello che stiamo tutelando oggi, secondo la lezione della Rivoluzione francese, è la Ragione – ha concluso Emiliano – stiamo rimettendo al centro della decisione politica la Ragione e non un punto di vista di parte o a priori. Se il Governo dice che vuole produrre l’acciaio perché è strategico, non posso discutere l’obiettivo, ma ho diritto come Regione di indicare la strada che non arrechi danno alla mia comunità”.

Dal Convegno “Ripensare l’industria siderurgica italiana” arrivano le conferme: la scienza dimostra la necessità di decarbonizzare la produzione di energia e l’industria, per limitare i danni sanitari. 

L’ingegner Barbara Valenzano, direttore del Dipartimento Ambiente della Regione Puglia, ha illustrato le tecnologie per sostituire gli altoforni, come quello realizzato in Louisiana con tecnologia italiana. “Abbiamo il know how – ha detto – ma sul nostro territorio non riusciamo a realizzare gli impianti. Si potrebbero ridurre le emissioni di Ilva e le dispersioni di polveri con i forni elettrici, eliminando le cokerie e l'agglomerato, minimizzando se non annullando così diossine, furani e il benzoapirene. Con il DRI, il preridotto, si lavora a temperature sui mille gradi, recuperando l’eccesso di calore e di polveri.

L’area dell’impianto cosi sarebbe un ottavo dell’esistente. Il preridotto poi può essere usato per esportazione e sostituire l’acciaio di prima fusione in altre acciaierie.

Con la capacità produttiva autorizzata per Ilva, ci sarebbe bisogno di 3 miliardi di mc di gas annui e di  38.000 gigawatt ora/annui.

Tap porterebbe in Puglia 10 miliardi di metri cubi in un primo momento, con il secondo step arriverebbe a 20 miliardi di mc. Spostando Tap a Brindisi sarebbe anche più facilmente alimentabile l’Ilva, invece di far solo passare il gas verso il nord Europa e pensare che all'attuale livello produttivo ne basterebbe solo 1,5 miliardi di metri cubi di gas.

Con un terzo della produzione elettrica da fonti rinnovabili pugliesi poi si potrebbero alimentare i forni”.

 

“Gli interventi palliativi previsti dall’Aia non sarebbero compatibili con i costi attuali che presentano una perdita di 50 milioni di euro al mese – ha aggiunto la Valenzano -  per la tecnologia che prevediamo, con 5 milioni annui di produzione di acciaio, possiamo pensare a una spesa di 1,2 miliardi di investimento per il rinnovo degli impianti con due linee produttive da 2,5 milioni di tonnellate annue. Servirebbero 2 miliardi per il completamento degli interventi Aia. I tempi di realizzazione sono stimati in circa 18 mesi.

La tecnologia poi è modulare e la produzione può essere ampliata. Con lo studio di fattibilità che presenteremo prevediamo una fase transitoria di coesistenza delle tecnologie produttive, utilizzando le aree Ilva ora dismesse, le aree portuali, bonificando le aree parchi minerari. 

I costi – ha concluso il direttore del Dipartimento Ambiente della Regione Puglia - sono da confrontare anche con quelli attuali di trasporto del carbone da stoccare nei parchi e soprattutto con i costi continui di bonifica con la sorgente attiva e con i costi sanitari altissimi (circa un miliardo di euro) che ci vedono tra i primi dieci in Europa. Il personale infine sarebbe formato e reimpiegato per il rifacimento degli impianti e  per le bonifiche ambientali". 

 

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