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Giornale di Taranto - Giornalista1

È corsa contro il tempo per scongiurare il licenziamento dei 130 assunti a tempo determinato da Infrataras, società del Comune di Taranto, che dal 24 febbraio prossimo, scaduto il loro contratto, saranno senza lavoro. Dopo il tavolo in Prefettura che non ha individuato una soluzione, questo pomeriggio, alle 15, si occupano del caso le commissioni Ambiente e Lavoro della Regione Puglia che ascolteranno in audizione le parti istituzionali e sindacali. Convocati, tra gli altri, sindaco e prefetto di Taranto, quest’ultimo in qualità di commissario di Governo alla bonifica. Poiché  non ci sono risorse nell’immediato, da parte sindacale è stato suggerito di far tenere in piedi i 130 contratti da parte di Infrataras, far accedere questa società alla cassa integrazione Covid nella quale collocare i lavoratori e guadagnare così tempo per costruire una soluzione. Ma si pensa anche all’uso della clausola sociale inserita nel Contratto istituzionale di sviluppo Taranto. Questa permetterebbe di dirottare i lavoratori nei cantieri delle opere finanziate col Cis. I 130, provenienti dalla società Taranto Isola Verde della Provincia di Taranto, messa in liquidazione anni fa, sinora sono stati impiegati in un progetto biennale chiamato “Verde Amico”, consistito in azioni complementari agli interventi di bonifica per Taranto. Il progetto è durato 2 anni. Una prima tranche, più corposa, con le risorse dell’allora commissario alla bonifica, Vera Corbelli, comprese le economie di spesa da quest’ultima ricavate, una seconda, invece, con 700mila euro della Regione Puglia. Ma ora i fondi sono terminati. 

 

 Il ministero dell’Ambiente non ne ha per finanziare la prosecuzione del progetto “Verde Amico” di cui ha anche contestato lo svolgimento. Il direttore generale della Direzione per il risanamento ambientale del ministero, Giuseppe Lo Presti, lo ha scritto all’attuale commissario per la bonifica, Demetrio Martino, che lo aveva invitato a verificare la possibilità di nuovi finanziamenti. Al Governo hanno chiesto ulteriori fondi anche il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, e il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci. Lo Presti dichiara che l’ex commissario Corbelli ha collocato il progetto nell’ambito degli interventi per il Mar Piccolo “senza mai specificarne la fonte di finanziamento”. Solo in seguito, dice il ministero, Corbelli ha comunicato di aver destinato 1,5 milioni “riconducibili alle economie” derivanti dall’intervento “Piattaforma per un sistema integrato di riqualificazione dell’area vasta di crisi ambientale” finanziato per un importo di 20,800 milioni (fondi del ministero approvati dal Cipe con due delibere). Ma a quest’impiego delle risorse, il ministero dell’Ambiente, già un anno fa, ha fatto presente all’allora commissario che esso non era in linea “con le finalità originarie per cui erano state stanziate”. E in seguito sempre il ministero ha puntualizzato  “che gli interventi che si intendono finanziare col progetto Verde Amico non si configurano quali interventi di bonifica quanto piuttosto interventi volti alla rimozione di rifiuti abbandonati”, sottolineando che “resta in capo al commissario la responsabilità di tutte le azioni”. “La priorità è tutelare i lavoratori che non possono pagare per responsabilità non loro. Vogliamo fare il punto sui progetti che ci risulta siano stati avviati” commenta Marco Galante, consigliere regionale Puglia dell’M5S che ha chiesto il confronto di lunedì prossimo. 

Probabilmente Brandon Chicotsky lo avrà fatto pensando sconsolato alla sua completa calvizie, brutto regalo lasciatogli dalla Alopecia Aerata. Ma proprio la sua “pelata” gli ha fornito l’idea geniale.

 

Ma andiamo con ordine. Come racconta l'HuffPost, Brandon si è sempre occupato di marketing digitale, sia per i suoi studi che poi per la sua attività imprenditoriale. Mentre frequenta la scuola di specializzazione all'Università di New York la alopecia sferra il colpo decisivo e Brandon si ritrova del tutto calvo. I suoi colleghi, per consolarlo, gli mostrano foto di bambini che hanno passato tutta la vita calvi per colpa dell’alopecia e Brandon realizza come ci sia un intero mondo di “pelati” che meritano sostegno e supporto per recuperare capacità di leadership. Cosi decide di dedicarsi pienamente a questa missione diventando “baldangelico” (bald in inglese significa per l’appunto calvo), cioè un campione di tutte le calvizie.

Da buon specialista di marketing prima di tutto intervista i suoi colleghi di università per capire se e quanto le pubblicità con persone calve potessero attirare la attenzione del pubblico. I riscontri sono positivi e Brandon inizia a testare sul web annunci commerciali mirati, con l’intento di verificarne i ritorni. E i risultati sono talmente interessanti che Brandon inizia a progettare il suo sito web, registrando una sua società e depositando i relativi marchi.

Nasce così BaldLogo specializzato nel marketing e nelle promozioni online. E sapete qual è il pezzo forte? Manco a dirlo vendere la testa calva di Brandon, o quella di uno dei suoi soci, come spazio pubblicitario.

 

Per una tariffa che parte da 160 dollari per un’ora e decolla sino a 1.600 per 30 ore Brandon con la sua pelata adeguatamente tatuata con i messaggi pubblicitari dei suoi “inserzionisti” (ma attenzione sono tatuaggi rimovibili) se ne andrà a spasso per le vie maggiormente frequentate della città adeguatamente accompagnato da un paio di ragazze immagine giusto per completare l’effetto show ed attirare ancora maggiormente l’attenzione.

Le richieste arrivano anche in occasione di eventi, per i quali i clienti sponsor chiedono che qualcuno di BradLogo si presenti con il loro logo dipinto in testa, e a quanto pare Brandon è letteralmente assalito dalle richieste.

Ma Chicotsky non è solo un “pelato” innovativo, è un baldie con una coscienza. Bald Logo dona infatti quasi la metà dei proventi alla Fondazione Nazionale Alopecia Areata ed elogia ogni suo cliente per aver indirettamente appoggiato una organizzazione benefica che sostiene i bambini che combattono questa malattia. (https://www.today.it/)

 “Siamo ad un momento cruciale della storia dei Taranto e finalmente viene chiarito dal Tar che la sentenza della Corte Costituzionale del 2013 non può far ulteriormente proseguire un'attività produttiva che continua a procurare danni alla salute dei cittadini di Taranto. Il bilanciamento salute-produzione è saltato”. Lo dice il movimento ambientalista Peacelink, col suo portavoce Alessandro Marescotti, dopo la sentenza del Tar Lecce, pubblicata oggi, che ha disposto che entro 60 giorni dalla pubblicazione ArcelorMittal spenga gli impianti della fabbrica perché inquinano così come già ordinato dal provvedimento del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, dei mesi scorsi. Per Peacelink, “si apre adesso una fase nuova per Taranto. Occorre un fronte di iniziative unitario".

 

 "Esso deve vedere uniti i cittadini con le istituzioni interessate alla tutela dei cittadini. Tutti - si afferma - devono far fronte comune. Al nuovo governo deve arrivare un solo messaggio. Con chiarezza e determinazione, un'intera comunità deve dire basta e deve richiedere che il Recovery Plan finanzi la riconversione dei lavoratori Ilva impiegandoli in attività di bonifica, di utilità sociale e di riqualificazione territoriale. Occorre chiudere definitivamente l'area a caldo senza generare disoccupati, così come è avvenuto a Genova e a Trieste”. Per Peacelink, “la salute dei cittadini di Taranto deve valere quanto quella dei cittadini di Genova e di Trieste. La questione meridionale oggi ha un nome e questo nome è Taranto. Il nuovo ministro della Transizione Ecologica non faccia ricorso contro questa sentenza ma la accolga come una opportunità”.  “Al nuovo ministro - conclude Peacelink - chiediamo che si lavori per chiudere la fonte delle sofferenze di un'intera comunità e per progettare un'ecoriconversione basata su attività non inquinanti”.

 

 “Avevamo criticato i tempi lunghi ma avevamo anche salutato positivamente l’ingresso dello Stato nel pacchetto azionario di ArcelorMittal. Adesso la situazione diventa difficile perché chiedere la chiusura dell’area a caldo significa chiudere tutto lo stabilimento, chiudere tutta Taranto e tutti gli altri stabilimenti Italiani. Perché questi reggono la loro produzione sull’acciaio prodotto a Taranto”. Lo ha dichiarato questa mattina a TgCom 24 il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, a proposito della sentenza con la quale ieri il Tar di Lecce, confermando un’ordinanza del sindaco di Taranto, ha disposto che ArcelorMittal in 60 giorni spenga gli impianti inquinanti. 

 

“C’è un progetto con ArcelorMittal e Governo che prevede la transizione ecologica - ha affermato Palombella -, con dei forni elettrici e a gas, che prevede anche il preridotto, e quindi l’utilizzo del carbone si dovrà ridurre negli anni”. “Questa sentenza - ha detto ancora Palombella - provoca un disastro dal punto di vista ambientale, perché gli impianti rischiano di non essere più bonificati, e si rischiano anche i livelli occupazionali. Circa 20mila lavoratori rischierebbero di rimanere senza posto di lavoro”. “Si bloccherebbe un progetto - rileva Palombella - che, almeno sulla carta, aveva la possibilità nel giro di pochissimi anni di riuscire a conciliare il problema della salute dei lavoratori con quelli dell’ambiente e della produzione”. Per la Uilm, “questa sentenza probabilmente è stata decisa qualche mese fa e non tiene conto delle evoluzioni che ci sono state nell’Ilva di Taranto. Nel senso che l’ingresso dello Stato e gli investimenti ambientali eliminerebbero almeno le fonti inquinanti. Adesso è tutto da rifare e mi auguro - ha sostenuto Palombella - che il Governo Draghi intervenga immediatamente altrimenti già da lunedì cominceranno le operazioni di spegnimento perché i tempi massimi sono 60 giorni, ma per poter fermare gli impianti a caldo, si comincia con la fermata nei prossimi giorni”. “Questo - ha rimarcato Palombella - sarebbe un disastro dal punto di vista occupazionale, ma sarebbe anche un disastro ambientale perché per poter risanare gli impianti siderurgici, bisogna averli in marcia. Senza impianti in marcia, rimane il carico inquinante. Abbiamo già  l’esperienza di Piombino e degli altri impianti”. A proposito del nuovo ministero per la Transizione Ecologica, Palombella ha detto che “abbiamo salutato positivamente un ministero dedicato a questo, il tema, però, è come si accelerano i tempi”. Infine ha ricordato che “qualche settimana fa abbiamo ricevuto l’ok della Unione Europea” per l’accordo che ArcelorMittal e Invitalia, società del Mef, hanno raggiunto lo scorso 10 dicembre. Un accordo che ha richiesto mesi di trattative e che segna l’ingresso dello Stato nella società dell’acciaio, portandolo a controllare, a valle del versamento di 400 milioni, non ancora avvenuto però, il 50 per cento dell’azienda per poi salire al 60 per cento nel 2022 con un ulteriore esborso finanziario. L’accordo mette in campo anche un nuovo piano industriale sino al 2025 con obiettivi, a regime, di  1,8 miliardi di investimenti, 8 milioni di tonnellate di produzione e mantenimento degli attuali 10.700 occupati di gruppo, di cui 8.200 a Taranto.

 

 

 

 

“Rispettiamo sempre, come sindacato, ogni sentenza della magistratura ed in coerenza a ciò abbiamo preso tempo per analizzare la situazione che la stessa determina. Ma quanto disposto ieri dal Tar di Lecce circa la chiusura entro 60 giorni della area a caldo della ex Ilva di Taranto, costituisce l’ennesimo ribaltone giudiziario, una minaccia forte alla vita dello stabilimento e al futuro di oltre 20 mila famiglie proprio mentre stiamo discutendo il nuovo piano industriale”. Lo dichiara stamattina il segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia.

 

“La salute dei cittadini, di cui siamo altrettanto preoccupati come per l’occupazione dei dipendenti - aggiunge il numero 1 della Fim Cisl -, non si tutela azzerando i problemi. Occorre sapere tutti che chiudere l’area a caldo significa automaticamente chiudere tutte le lavorazioni a freddo, con ripercussioni gravi sugli altri stabilimenti del gruppo”. Per la Fim, “Taranto ha diritto di vedere continuare le produzioni attraverso una riconversione produttiva decisa e sostenibile contenuta negli investimenti previsti nel nuovo piano industriale, al centro del confronto col sindacato”. “Fermare l’area a caldo -prosegue  Benaglia - significa mettere Taranto in ginocchio, mettere a rischio il futuro degli altri stabilimenti del gruppo, distruggere la capacità di produzione di acciaio italiana proprio nel momento di forte ripresa della domanda, mettere in difficoltà  molte industrie italiane manifatturiere”. Rispondendo poi agli enti locali e alla Regione Puglia, Benaglia dice che “chi invoca accordi di programma come la soluzione a cui tendere” deve anche sapere che “non c’è nessun futuro credibile e certo per il lavoro a Taranto senza la siderurgia”. “Chiediamo al neo presidente del Consiglio, Draghi, ai ministri Cingolani per la Transizione ecologica e Giorgetti per lo Sviluppo economico, a cui garantiamo la massima collaborazione, di convocare immediatamente tutte le parti ed assumere subito decisioni e provvedimenti che non mettano in ginocchio il polo siderurgico e che rendano possibile far diventare Taranto il principale produttore di “acciaio verde” in Europa”, conclude Benaglia. 

 

 

 

 “La sentenza odierna del Tar di Lecce, che dispone in 60 giorni lo spegnimento degli impianti del sito tarantino  di ArcelorMittal, è la più evidente conferma di quanto Usb ha sempre sostenuto in questi ultimi mesi, ovvero che il piano presentato dalla multinazionale ed appoggiato del Governo, era fantasioso e pesantemente condizionato dall'attuale situazione ambientale”. Lo afferma il sindacato Usb con Sasha Colautti e Franco Rizzo,commentando la sentenza pubblicata oggi dal Tar Lecce, prima sezione.

   

 

 

L’Usb “ritiene che, alla luce di questa sentenza, l'unica strada percorribile è quella dell'accordo di programma. Unico strumento - si afferma - per rispondere con decisione alle legittime richieste dei cittadini, delle istituzioni locali e al loro coinvolgimento, ed unica strada su cui si possa determinare un confronto che metta al centro l'occupazione, la salute dei lavoratori e non gli interessi della multinazionale”. 

 In occasione della festa di San Valentino che ricorre domani, il Museo archeologico nazionale di Taranto, MarTa in sigla, lancia sui propri canali social (tra i quali ora c’é anche TikTok) una intensive zoom, una ripresa nei particolari. Si tratta, si spiega, del racconto di una grande storia d’amore ma anche dell’arte della ceramica a figure rosse di una loutrophoros, il recipiente adibito al trasporto d’acqua per i rituali purificatori delle giovani spose, finita illegalmente negli Stati uniti e restituita all’Italia nei primi anni 2000 grazie all’intervento del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. Il vaso di manifattura apula, datato fra il 340 e il 330 a.C. e prodotto nella Puglia centro-settentrionale, racconta la vicenda mitologica di un grande amore: quello tra la figlia dei re dell’Etiopa Andromeda e l’eroe Perseo. Per Eva Degl’Innocenti, direttrice del MarTa, “Andromeda e Perseo, insieme al mostro marino e al dio alato dell’amore, sono i protagonisti di un piccolo film dell’epoca. Si vedono, infatti, Andromeda legata ad uno scoglio e condannata, a causa dell’ira del dio del mare Poseidone, ad essere divorata da un mostro marino e Perseo, novello principe azzurro, che la porta in salvo”. “E’ un modo per incuriosire e tornare a portare l’arte, la cultura e l’archeologia più vicino ai ragazzi - dichiara la direttrice Degl’Innocenti -, ma anche per attualizzare le grandi storie d’amore che da sempre caratterizzano le grandi civiltà del nostro tempo e del passato e di cui il MarTa è pregno di testimonianze”. 

- “Taranto oggi si è liberata. È una giornata che segna lo spartiacque. Tutto quello che abbiamo detto, trova delle conferme . Questa città non vuole più convivere con quel tipo di produzione. Questo non significa chiudersi a qualunque attività industriale ma porre delle priorità”. Lo ha dichiarato oggi pomeriggio, in una conferenza stampa, il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, a proposito della sentenza del Tar Lecce, pubblicata oggi, che dispone che entro 60 giorni ArcelorMittal, gestore in fitto del siderurgico, fermi gli impianti fonte di inquinamento. Il Tar ha respinto i ricorsi che sia ArcelorMittal, che Ilva in amministrazione straordinaria, quest’ultima proprietaria degli impianti, hanno presentato contro l’ordinanza del sindaco sull’inquinamento. Ordinanza  che risale al 27 febbraio 2020. Il contenzioso al Tar è andato avanti per quasi un anno. “Ringrazio il collegio giudicante - ha sostenuto il sindaco, collegato in audio video anche il governatore della Puglia, Michele Emiliano -. Non è una sentenza banale. Sono 60 pagine molto articolate. È una sentenza che introduce innovazioni importanti”. “Siamo a tre anni, da quando sono sindaco, di vere battaglie e continuiamo su questa strada. Siamo molto contenti perché ne abbiamo viste e subite tante. Conservo ancora sul cellulare messaggi molto discutibili di ministri dei precedenti Governi che non volevano ascoltare il grido di dolore di questa comunità”. 

 

Secondo Melucci, “parlare della priorità che un diritto come la salute deve avere al di là della economia e del mercato, al di là del bilanciamento tra i diritti, parlare del rischio sanitario e di un’Autorizzazione integrata ambientale che noi abbiamo contestato perché non assorbe questo rischio, sono punti che segnano uno spartiacque”. A proposito del fatto che ArcelorMittal ha già annunciato l’impugnazione al Consiglio di Stato, il sindaco di Taranto ha detto: “Questo è per noi irrilevante. Qualunque sia il pronunciamento del Consiglio di Stato, credo che non si possa intervenire con decreti come fatto in passato sovvertendo l’ordinamento. Mandiamo un augurio al nuovo Governo Draghi - ha detto il sindaco -. Manifestiamo la nostra volontà per una ripresa del confronto attorno allo stabilimento siderurgico. Draghi ha dichiarato che il suo sarà un Governo ambientalista  e ci credo. Se il nuovo ministero non è solo una finzione estetica - ha proseguito Melucci a proposito del dicastero per la Transizione ecologica -, dopo questa sentenza, al netto di quello che farà il Consiglio di Stato, nessuno più può pensare di propinarci uno stabilimento con l’area a caldo, con gli altiforni e con quello schema emissivo. Credo che si debba convocare il tavolo dell’accordo di programma” ha concluso il sindaco di Taranto, per il quale “l’applicazione di questa sentenza significa anche tanta preoccupazione per i lavoratori. Ecco perché serve il tavolo dove tutte le istituzioni tracciano una prospettiva per questinlavoratori. Ma oggi cade un ricatto, cade un tabù. Non torneremo indietro”. 

 

Emiliano “ministri informati, Draghi ci convochi”

“Ho immediatamente informato i ministri  Franceschini, Cingolani, Orlando, Guerini, Patuanelli e il sottosegretario Garofoli. Mi auguro che attraverso Garofoli  ci sia una comunicazione immediata del presidente Draghi alla partecipazione alla conferenza dei servizi per l’accordo di programma che noi fisseremo concordando la data con lo stesso presidente Draghi”. Lo ha detto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, collegato audio video con Palazzo di Città con la conferenza stampa indetta dal sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci. “Mi auguro - ha affermato Emiliano - che non si chieda al Consiglio di Stato di salvare le castagne del fuoco a tutti. Questa storia è arrivata al termine. Non c’é niente di giuridicamente presentabile immaginare di sospendere il diritto perché c’è una incapacità di gestione industriale”. Secondo Emiliano, “c’è stato tutto il tempo” e “ c’è una impresentabilità ambientale dell’impianto anche ai fini dell’osservanza delle norme sulla sicurezza sul lavoro” e questa “è un aggravante”. 

 

Secondo Melucci, “parlare della priorità che un diritto come la salute deve avere al di là della economia e del mercato, al di là del bilanciamento tra i diritti, parlare del rischio sanitario e di un’Autorizzazione integrata ambientale che noi abbiamo contestato perché non assorbe questo rischio, sono punti che segnano uno spartiacque”. A proposito del fatto che ArcelorMittal ha già annunciato l’impugnazione al Consiglio di Stato, il sindaco di Taranto ha detto: “Questo è per noi irrilevante. Qualunque sia il pronunciamento del Consiglio di Stato, credo che non si possa intervenire con decreti come fatto in passato sovvertendo l’ordinamento. Mandiamo un augurio al nuovo Governo Draghi - ha detto il sindaco -. Manifestiamo la nostra volontà per una ripresa del confronto attorno allo stabilimento siderurgico. Draghi ha dichiarato che il suo sarà un Governo ambientalista  e ci credo. Se il nuovo ministero non è solo una finzione estetica - ha proseguito Melucci a proposito del dicastero per la Transizione ecologica -, dopo questa sentenza, al netto di quello che farà il Consiglio di Stato, nessuno più può pensare di propinarci uno stabilimento con l’area a caldo, con gli altiforni e con quello schema emissivo. Credo che si debba convocare il tavolo dell’accordo di programma” ha concluso il sindaco di Taranto, per il quale “l’applicazione di questa sentenza significa anche tanta preoccupazione per i lavoratori. Ecco perché serve il tavolo dove tutte le istituzioni tracciano una prospettiva per questinlavoratori. Ma oggi cade un ricatto, cade un tabù. Non torneremo indietro”. 

“In relazione alla sentenza emessa dal Tar della Puglia, ArcelorMittal Italia comunica che promuoverà immediatamente appello presso il Consiglio di Stato contro la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento di Taranto”. Lo annuncia con una breve nota la società siderurgica dopo aver appreso della sentenza della prima sezione del Tar Lecce, pubblicata oggi, che dispone che entro 60 giorni da oggi ArcelorMittal deve spegnere gli impianti del siderurgico di Taranto come disposto dall’ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, dei mesi scorsi a causa delle emissioni inquinanti della fabbrica. Sia ArcelorMittal che Ilva in amministrazione straordinaria, rispettivamente gestore e proprietario dello stabilimento, avevano impugnato aL Tar l’ordinanza del sindaco di Taranto.

 “Pericolo immanente e permanente” per i cittadini di Taranto dalle emissioni del siderurgico ArcelorMittal. Inoltre, ArcelorMittal non ha collaborato col Comune di Taranto dopo che il sindaco Rinaldo Melucci ha firmato mesi fa l’ordinanza sulle emissioni inquinanti. Lo afferma la prima sezione del Tar di Lecce disponendo con sentenza, pubblicata oggi, che entro 60 giorni dalla pubblicazione del provvedimento devono comportarsi le operazioni di spegnimento degli impianti del siderurgico di Taranto perché fonte di danni ambientali. “Gli adempimenti richiesti dal sindaco di Taranto - scrive Tar Lecce, prima sezione presieduta dal giudice Antonio Pasca % avrebbero richiesto anzitutto – in contesto di doverosa e leale collaborazione - una significativa attività di ulteriore indagine diagnostica sul piano tecnico e sul piano gestionale, preordinata alla individuazione delle criticità”. 

 

Invece la “nota di ArcelorMittal del 22 marzo 2020 si limita sostanzialmente ad affermare, in evidente contraddizione, rispetto all’evidenza storica e ai puntuali riscontri derivanti anche dalla relazione di Arpa Puglia, di non essersi verificate significative anomalie di funzionamento degli impianti nei periodi considerati (e ciò sulla base dei rilevamenti della rete interna) e di ritenere pertanto che gli eventi emissivi indicati non siano attribuibili all’attività dello stabilimento siderurgico”. Esaminando l’ordinanza del sindaco, impugnata sia da ArcelorMittal che da Ilva in amministrazione straordinaria, Tar Lecce afferma che anzitutto è stato chiesto alle due società - la prima gestore della fabbrica, la seconda proprietaria impianti -, “ciascuna per quanto di sua competenza, di individuare e localizzare le anomalie all’interno degli impianti di produzione e di eliminare le criticità”. Per il Tar, “l’adempimento di tale disposizione avrebbe dovuto comportare anzitutto una attività di analisi sia dal punto di vista tecnico degli impianti e del sistema di controllo e di monitoraggio, sia dal punto di vista di eventuali criticità gestionali”. Ma per il Tar “non si può dire” che ArcelorMittal e Ilva in as “vi abbiano ottemperato, ponendo in essere la dovuta attività di indagine preliminare”

 

 Circa la tesi dei legali di ArcelorMittal, secondo cui nei giorni 20-26 febbraio 2020 non si sarebbe verificata alcuna anomalia degli impianti, appaiono contraddette anzitutto dalla nota aziendale dove si  “porta a conoscenza che nelle prime ore di oggi 26 febbraio 2020 sono stati avvertiti, da una parte del personale dipendente AMI odori presumibilmente legati a gas. Le segnalazioni sono pervenute esternamente allo stabilimento in corrispondenza del parcheggio di Direzione e di quello della Portineria A”. Secondo il Tar, “deve ritenersi quindi provato che i fenomeni emissivi indicati nell’impugnata ordinanza sono stati determinati da malfunzionamento tecnico, difettosa attività di monitoraggio e di pronto intervento, nonché criticità nella gestione del rischio e nel sistema delle procedure di approvvigionamento di forniture e di negligente predisposizione di scorte di magazzino”. Secondo i giudici, “dalle risultanze acquisite, si evince altresì che tali criticità e anomalie possono ritenersi risolte solo in minima parte e che, viceversa, permangono astrattamente le condizioni di rischio del ripetersi di siffatti gravi accadimenti emissivi, i quali del resto non possono certo dirsi episodici, casuali e isolati. Permangono - ad esempio – le criticità connesse alla mancata sostituzione dei filtri MEEP, alla mancata copertura dei nastri trasportatori e dei parchi, nonché il difettoso e/o intermittente funzionamento della rete di rilevamento delle emissioni” scrive ancora la prima sezione Tar Lecce. I giudici rammentano poi che “l’ordinanza contingibile e urgente”, impugnata da ArcelorMittal e Ilva in as, “è volta a prevenire il ripetersi, via via più frequente, di immissioni in atmosfera in grado di determinare grave danno alla salute della popolazione residente, oltre che in considerazione dell’elevato allarme sociale che siffatti episodi emissivi determinano in una popolazione già assolutamente provata”. Per Tar Lecce, quindi, “proprio tale situazione comprova la piena sussistenza del presupposto grave pericolo per la salute e per la vita dei cittadini, che nel caso della città di Taranto deve ritenersi immanente e permanente”

 Sono 50.700 le prenotazioni per i vaccini Covid-19 per gli ultraottantenni registrate fino a ieri, alle ore 18.00, sui sistemi della Regione Puglia. “Stiamo procedendo speditamente – ha commentato l’assessore alla Sanità Pier Luigi Lopalco – e abbiamo raggiunto circa un quarto della 'popolazione- target' in un giorno e mezzo di apertura delle agende. Confidiamo che nei prossimi giorni sarà raggiunto il target delle prenotazioni, una volta rodato completamente il sistema". L'assessore, in ultimo, ha raccomandato di "non accalcarsi in farmacia o di affollare i cup: i vaccini saranno disponibili per tutti”

Col passaggio della Puglia in zona gialla,  da lunedì 15 febbraio sarà nuovamente aperto alla popolazione per le visite guidate individuali o per gruppi (massimo 12 visitatori per gruppo) il Castello Aragonese di Taranto, antica fortezza della Marina Militare che domina il canale navigabile. Lo annuncia il comando di Marina Sud che ha sede a Taranto. Le visite, completamente gratuite, avverranno nel rispetto delle regole anti Covid. Le visite, si spiega, saranno possibili preferibilmente con prenotazione all’Ufficio Cerimonie e Visite del Comando Marittimo Sud della Marina Militare (tel. 099/7753438). I giorni e gli orari delle visite guidate sono dal lunedì al venerdì, con 10 turni di circa 45 minuti, ogni ora intera a partire dalle 9 e fino alle 19 (ad esclusione delle 13). Sabato e domenica invece chiusura del Castello Aragonese alle visite. Nell’atrio d’ingresso al Castello, comunica la Marina Militare, i visitatori dovranno compilare e firmare la liberatoria che includerà la dichiarazione di assenza d’infezione da Covid 19 e di obbligo di quarantena. L’accesso al Castello, si evidenzia, “è consentito solo ai visitatori provvisti di mascherina da indossare per l’intera durata della visita. Gli stessi saranno sottoposti al controllo della temperatura con termo scanner”

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