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Giornale di Taranto - Giornalista1

No ad uno scambio tra più risorse economiche per potenziare la sanità a Taranto a fronte del manitenimento del siderurgico ArcelorMittal, ex Ilva. Lo dichiara Cosimo Nume, presidente dell'Ordine dei medici di Taranto, dopo la sentenza di sabato scorso del Tar Lecce che ha ordinato all’azienda di spegnere entro 60 giorni dalla data del provvedimento gli impianti dell’area a caldo del siderurgico perché inquinanti così come chiesto dal sindaco di Taranto con una propria ordinanza.

    “Fra le molte reazioni alla nota sentenza del Tar Lecce sulla chiusura dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico di Taranto, tutte pienamente legittime e comprensibili, abbiamo riascoltato - afferma Nume - la proposta di rendere disponibili ulteriori risorse economiche per affrontare l'emergenza sanitaria connessa all'impatto delle emissioni inquinanti, cui sembrerebbe sottendere tuttora un’ottica eminentemente risarcitoria per i danni alla salute.Più volte questo ordine - continua il presidente dei medici di Taranto - ha avuto occasione di ribadire che, in termini strettamente sanitari, un danno alla salute non deve essere compensato quanto piuttosto prevenuto, adottando tutte le misure che il principio di precauzione impone a qualunque attività antropica che presenti rischi per l’integrità psicofisica dei cittadini. Rimaniamo fermi in questa convinzione - sostiene Nume - chiedendo che si abbia cura in primo luogo di attivare, predisporre e rendere operative, da parte di quanti ne hanno responsabilità a qualunque livello, tutte le procedure che escludano per il futuro altro nocumento ai lavoratori e ai cittadini di Taranto. Tutto il resto - conclude - non è neppure politica, arte antica e nobile, ma molto più probabilmente una pervicace miopia con cui si guarda al complesso problema senza alcuna capacità di trovarne le soluzioni”. 

 “La città è stata venduta ai Riva dai consulenti della Procura”. Parte all’attacco il pubblico ministero Mariano Buccoliero, oggi al settimo giorno di requisitoria al processo “Ambiente Svenduto” per il disastro ambientale contestato all’Ilva gestita dai Riva in corso davanti alla Corte d’Assise. Il pm, citando le intercettazioni telefoniche, si rifà alle posizioni di Fabio Riva, uno dei principali imputati nel processo, del padre Emilio, scomparso anni fa ma già imputato nel processo, nonché di altri protagonisti della vicenda come Lorenzo Liberti, Roberto Primerano (entrambi, anni fa, consulenti della Procura) e Girolamo Archinà, quest’ultimo dipendente Ilva usato dai Riva per i rapporti con la pubblica amministrazione, gli enti locali e la politica. Liberti e Archinà sono tuttora imputati mentre Primerano è stato assolto dalla Corte di Cassazione per intervenuta prescrizione.

   “Fabio Riva - ha detto oggi il pm a proposito dell’ex amministratore dell’Ilva - era al corrente dei lavori dei consulenti della Procura e sapeva come questi avrebbero concluso i loro lavori in merito a quantità e profili della diossina. Tant’è che manifesta dubbi sull’incidente probatorio chiesto dalla Procura. Ma Emilio Riva, lo rassicura, dicendogli: non ti preoccupare”. Per il pm, “Fabio Riva ha visto l’elaborato che ancora doveva essere consegnato al pubblico ministero. E anche Archinà aveva avuto un incontro con una persona che lo rassicurava sugli esiti della consulenza”. Secondo Buccoliero, i collegamenti tra i consulenti e Ilva erano assicurati da Girolamo Archinà e da Lorenzo Liberti.

   “L’attivita di consulenza di Liberti e Primerano è stata concordata e orientata in favore di Ilva - ha sostenuto il pm -. Taranto è stata venduta alla grande industria. Il comportamento dei consulenti risulta gravissimo perché avevano il dovere di bloccare questo mercimonio che ha portato malattia e morte”. Fenomeni che “continueranno nei prossimi anni” ha sostenuto il pm.  

 

 “I consulenti - ha insistito - hanno rappresentato in modo del tutto falso dati di fatti incontestabili”. Cioè - ha rilevato il pm - escludendo che l’impronta della diossina trovata negli animali abbattuti fosse quella della fabbrica mentre lo era. Il magistrato ha aggiunto che “a settembre 2010 i due consulenti, con una giravolta degna del miglior acrobata, si rimangiano tutto quello che avevano detto in precedenza come risulta nelle intercettazioni. Escludono in maniera decisiva e perentoria che la diossina trovata negli animali possa appartenere a Ilva”.

   In particolare, per il pm, Liberti - docente del Politecnico che fu chiamato come consulente dalla Procura - “si propone quale difensore dell’Ilva, avanzando dubbi sulla presenza di diossina Ilva e smentendo anche se stesso”. “Evidentemente quel famoso incontro con Archinà aveva risolto ogni problema” osserva il pm a proposito di un incontro tra Liberti e Archinà di marzo 2010, documentato dalla Guardia di Finanza, mentre “Roberto Primerano, da tecnico, da ingegnere, si era perfettamente reso conto dello stato dell’agglomerato quando ha fatto il sopralluogo”. “Dalla consulenza di agosto 2009, se le conclusioni di Liberti fossero state diverse, non avremmo avuto altri tre anni di inquinamento aggravando così  il pericolo per la pubblica incolumità” ha sostenuto il pm Buccoliero ricordando che il sequestro degli impianti dell’area a caldo è scattato solo a luglio 2012 con il provvedimento del gip.

   “Liberti, nella sua qualità di consulente del pm, era quello che, attraverso il suo dovere di verità e imparzialità, aveva il potere, l’obbligo giuridico di impedire la prosecuzione dell’attività emissiva - ha rilevato il pm -. Liberti doveva venire in Procura e, rappresentando i fatti in modo corretto, avrebbe dovuto dire: guarda pubblico ministero, qui dobbiamo bloccare tutto. Esattamente quello che ha detto sabato scorso il Tar”. 

Cinque casi di variante inglese del Covid accertati a Santeramo in Colle, un centro del Barese e il sindaco Fabrizio Baldassarre dispone la chiusura di tutte le scuole, compresi i due asili che erano ancora aperti. “Il quadro epidemiologico nel nostro territorio comunale è in rapida evoluzione - ha spiegato il primo cittadino - è salito a 244 il numero degli attualmente positivi”. Il timore del sindaco è per la diffusione delle variante inglese: “Santeramo è uno dei 16 comuni nel quale è stata accertata la presenza della variante inglese; 5 sono i casi acclarati scientificamente nel nostro territorio. Questa variante è più pericolosa in quanto il livello di trasmissibilità è maggiore, per tutte le fasce d'età, compresi i bambini”.

   Dopo una prima ordinanza di chiusura di alcune scuole, Baldassarre ha quindi decretato la sospensione delle attività in presenza nell’Asilo “Monsignor Rago” e nell’Istituto Paritario “San Giovanni Battista de La Salle”, disponendo che l’attività didattico/educativa sia svolta al 100% in modalità digitale integrata. 

Si avvia da oggi alla stretta finale la requisitoria dei pubblici ministeri al processo in Corte d’Assise a Taranto relativo al disastro ambientale contestata all’Ilva sotto la gestione del gruppo industriale privato Riva. Questa mattina riprenderà a parlare il pm Mariano Buccoliero, uno dei quattro pm del processo, che ha cominciato lo scorso 1 febbraio e sinora è andato avanti per 6 udienze distribuite in 2 settimane. Dopo il pm Buccoliero, interverranno i pm Giovanna Cannarile, Raffaele Graziano e Remo Epifani. Le richieste dei pm alla Corte (presieduta da Stefania D’Errico, a latere Fulvia Misserini) sono attese per dopodomani.

 

Nella prosecuzione della requisitoria da oggi, finiranno sotto la lente dell’accusa altri aspetti della vicenda, come il ruolo di alcuni ex pubblici amministratori locali imputati nel processo, nonché quello dei cosiddetti “fiduciari” di Riva (persone a cui la proprietà aveva delegato il controllo di funzioni importanti) e gli incidenti mortali sul lavoro. Nel processo ci sono 47 imputati, 44 persone fisiche e 3 società, le quali rispondono per la legge sulla responsabilità amministrativa delle imprese. Associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele in materia di sicurezza sul lavoro, corruzione: ecco i principali reati contestati. Tra gli imputati, ci sono Nicola e Fabio Riva, ex proprietari ex amministratori della fabbrica, ma anche l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. 

 

 Nelle precedenti udienze, il pm Buccoliero è stato durissimo sulla gestione della fabbrica da parte dei Riva. Che nel 2013 - quasi un anno dopo il sequestro degli impianti dell’area a caldo da parte del gip di Taranto - il Governo “estromise” affidando la conduzione del gruppo ai commissari. Per il pm, “Ilva ha trasmesso dati ambientali tutti falsi prima del sequestro degli impianti. Questo non ci meraviglia. Sono state falsificate tutte le analisi per trasmettere una cokeria ad emissioni zero. Si è falsificato per ottenere l’Autorizzazione integrata ambientale del 2011”. Secondo Buccoliero, “quell’Aia del 2011 ha recepito in modo integrale tutto quello che diceva Ilva, con i limiti delle emissioni parametrati allo stato impianti che era disastroso.

   L’Aia del 2011 è frutto di una violazione di legge”. “Nel rione Tamburi di Taranto - ha detto ancora il pm Buccoliero - il PM10, che contiene due pericolosi inquinanti cancerogeni come diossina e benzoapirene, è cominciato a calare solo dopo il 2012,cioè dopo il sequestro degli impianti”. Aspetti critici relativi all’impatto ambientale, che anni dopo su ulteriori vicende che riguardano sempre l’area a caldo, la più impattante dello stabilimento, sono  richiamati anche nella sentenza pubblicata sabato scorso dal Tar di Lecce, che ha confermato l’ordinanza di un anno fa del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che impone lo spegnimento degli impianti perché inquinanti, e rigetta i ricorsi di ArcelorMittal e Ilva in amministrazione straordinaria. Il Tar ha dato ora all’azienda 60 giorni di tempo, dalla pubblicazione della sentenza, per fermare gli impianti così come ordinato dal sindaco. ArcelorMittal impugnerà il provvedimento del Tar al Consiglio di Stato.

Ci sono pugliesi che hanno lavorato in altre regioni d’Italia o all’estero, come Michele che per 9 anni ha prestato servizio in un ospedale in Irlanda, ma anche tante persone che vivono in altre regioni e sono pronte a trasferirsi in Puglia per coronare il sogno di un contratto tra gli oltre 1.000 aspiranti infermieri che dalle 7 di stamattina si sono presentati alla Fiera del levante di Bari, per effettuare la prova del maxi-concorso indetto dall’Asl Bari. Si tratta di una selezione per 566 infermieri, che si svolgerà da oggi al 19 febbraio, in due turni quotidiani da circa 1.000 candidati, per un totale di quasi 10.000 aspiranti. "Per molti anni - dice all'AGI Michele, 31 anni, di Bitonto -  ho vissuto lontano dalla mia terra, pur di lavorare. Credo che questo concorso sia un'occasione importante per poter finalmente tornare a casa".

   L’ingresso dei concorrenti è avvenuto dal lato della Fiera dell’edilizia, tramite 18 varchi ai quali steward e forze dell’ordine hanno verificato la correttezza delle procedure, con misurazione della temperatura, distanziamento e verifica dei documenti. 

   All’interno i banchi sono posti a distanza di sicurezza e altre persone controllano che tutti indossino correttamente la mascherina. I posti da assegnare sono 566, ma la graduatoria che si formerà tramite questa selezione resterà aperta, poiché il concorso è stato indetto nel 2019, quindi in base a previsioni di personale inferiori rispetto alle necessità imposte dalla pandemia. La speranza di molti candidati è quindi di piazzarsi in posizione favorevole, anche se non tra i primi 566, al fine di essere ripescati nelle fasi immediatamente successive. Gli elaborati saranno corretti in diretta streaming alla fine di ogni turno.

È corsa contro il tempo per scongiurare il licenziamento dei 130 assunti a tempo determinato da Infrataras, società del Comune di Taranto, che dal 24 febbraio prossimo, scaduto il loro contratto, saranno senza lavoro. Dopo il tavolo in Prefettura che non ha individuato una soluzione, questo pomeriggio, alle 15, si occupano del caso le commissioni Ambiente e Lavoro della Regione Puglia che ascolteranno in audizione le parti istituzionali e sindacali. Convocati, tra gli altri, sindaco e prefetto di Taranto, quest’ultimo in qualità di commissario di Governo alla bonifica. Poiché  non ci sono risorse nell’immediato, da parte sindacale è stato suggerito di far tenere in piedi i 130 contratti da parte di Infrataras, far accedere questa società alla cassa integrazione Covid nella quale collocare i lavoratori e guadagnare così tempo per costruire una soluzione. Ma si pensa anche all’uso della clausola sociale inserita nel Contratto istituzionale di sviluppo Taranto. Questa permetterebbe di dirottare i lavoratori nei cantieri delle opere finanziate col Cis. I 130, provenienti dalla società Taranto Isola Verde della Provincia di Taranto, messa in liquidazione anni fa, sinora sono stati impiegati in un progetto biennale chiamato “Verde Amico”, consistito in azioni complementari agli interventi di bonifica per Taranto. Il progetto è durato 2 anni. Una prima tranche, più corposa, con le risorse dell’allora commissario alla bonifica, Vera Corbelli, comprese le economie di spesa da quest’ultima ricavate, una seconda, invece, con 700mila euro della Regione Puglia. Ma ora i fondi sono terminati. 

 

 Il ministero dell’Ambiente non ne ha per finanziare la prosecuzione del progetto “Verde Amico” di cui ha anche contestato lo svolgimento. Il direttore generale della Direzione per il risanamento ambientale del ministero, Giuseppe Lo Presti, lo ha scritto all’attuale commissario per la bonifica, Demetrio Martino, che lo aveva invitato a verificare la possibilità di nuovi finanziamenti. Al Governo hanno chiesto ulteriori fondi anche il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, e il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci. Lo Presti dichiara che l’ex commissario Corbelli ha collocato il progetto nell’ambito degli interventi per il Mar Piccolo “senza mai specificarne la fonte di finanziamento”. Solo in seguito, dice il ministero, Corbelli ha comunicato di aver destinato 1,5 milioni “riconducibili alle economie” derivanti dall’intervento “Piattaforma per un sistema integrato di riqualificazione dell’area vasta di crisi ambientale” finanziato per un importo di 20,800 milioni (fondi del ministero approvati dal Cipe con due delibere). Ma a quest’impiego delle risorse, il ministero dell’Ambiente, già un anno fa, ha fatto presente all’allora commissario che esso non era in linea “con le finalità originarie per cui erano state stanziate”. E in seguito sempre il ministero ha puntualizzato  “che gli interventi che si intendono finanziare col progetto Verde Amico non si configurano quali interventi di bonifica quanto piuttosto interventi volti alla rimozione di rifiuti abbandonati”, sottolineando che “resta in capo al commissario la responsabilità di tutte le azioni”. “La priorità è tutelare i lavoratori che non possono pagare per responsabilità non loro. Vogliamo fare il punto sui progetti che ci risulta siano stati avviati” commenta Marco Galante, consigliere regionale Puglia dell’M5S che ha chiesto il confronto di lunedì prossimo. 

Probabilmente Brandon Chicotsky lo avrà fatto pensando sconsolato alla sua completa calvizie, brutto regalo lasciatogli dalla Alopecia Aerata. Ma proprio la sua “pelata” gli ha fornito l’idea geniale.

 

Ma andiamo con ordine. Come racconta l'HuffPost, Brandon si è sempre occupato di marketing digitale, sia per i suoi studi che poi per la sua attività imprenditoriale. Mentre frequenta la scuola di specializzazione all'Università di New York la alopecia sferra il colpo decisivo e Brandon si ritrova del tutto calvo. I suoi colleghi, per consolarlo, gli mostrano foto di bambini che hanno passato tutta la vita calvi per colpa dell’alopecia e Brandon realizza come ci sia un intero mondo di “pelati” che meritano sostegno e supporto per recuperare capacità di leadership. Cosi decide di dedicarsi pienamente a questa missione diventando “baldangelico” (bald in inglese significa per l’appunto calvo), cioè un campione di tutte le calvizie.

Da buon specialista di marketing prima di tutto intervista i suoi colleghi di università per capire se e quanto le pubblicità con persone calve potessero attirare la attenzione del pubblico. I riscontri sono positivi e Brandon inizia a testare sul web annunci commerciali mirati, con l’intento di verificarne i ritorni. E i risultati sono talmente interessanti che Brandon inizia a progettare il suo sito web, registrando una sua società e depositando i relativi marchi.

Nasce così BaldLogo specializzato nel marketing e nelle promozioni online. E sapete qual è il pezzo forte? Manco a dirlo vendere la testa calva di Brandon, o quella di uno dei suoi soci, come spazio pubblicitario.

 

Per una tariffa che parte da 160 dollari per un’ora e decolla sino a 1.600 per 30 ore Brandon con la sua pelata adeguatamente tatuata con i messaggi pubblicitari dei suoi “inserzionisti” (ma attenzione sono tatuaggi rimovibili) se ne andrà a spasso per le vie maggiormente frequentate della città adeguatamente accompagnato da un paio di ragazze immagine giusto per completare l’effetto show ed attirare ancora maggiormente l’attenzione.

Le richieste arrivano anche in occasione di eventi, per i quali i clienti sponsor chiedono che qualcuno di BradLogo si presenti con il loro logo dipinto in testa, e a quanto pare Brandon è letteralmente assalito dalle richieste.

Ma Chicotsky non è solo un “pelato” innovativo, è un baldie con una coscienza. Bald Logo dona infatti quasi la metà dei proventi alla Fondazione Nazionale Alopecia Areata ed elogia ogni suo cliente per aver indirettamente appoggiato una organizzazione benefica che sostiene i bambini che combattono questa malattia. (https://www.today.it/)

 “Siamo ad un momento cruciale della storia dei Taranto e finalmente viene chiarito dal Tar che la sentenza della Corte Costituzionale del 2013 non può far ulteriormente proseguire un'attività produttiva che continua a procurare danni alla salute dei cittadini di Taranto. Il bilanciamento salute-produzione è saltato”. Lo dice il movimento ambientalista Peacelink, col suo portavoce Alessandro Marescotti, dopo la sentenza del Tar Lecce, pubblicata oggi, che ha disposto che entro 60 giorni dalla pubblicazione ArcelorMittal spenga gli impianti della fabbrica perché inquinano così come già ordinato dal provvedimento del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, dei mesi scorsi. Per Peacelink, “si apre adesso una fase nuova per Taranto. Occorre un fronte di iniziative unitario".

 

 "Esso deve vedere uniti i cittadini con le istituzioni interessate alla tutela dei cittadini. Tutti - si afferma - devono far fronte comune. Al nuovo governo deve arrivare un solo messaggio. Con chiarezza e determinazione, un'intera comunità deve dire basta e deve richiedere che il Recovery Plan finanzi la riconversione dei lavoratori Ilva impiegandoli in attività di bonifica, di utilità sociale e di riqualificazione territoriale. Occorre chiudere definitivamente l'area a caldo senza generare disoccupati, così come è avvenuto a Genova e a Trieste”. Per Peacelink, “la salute dei cittadini di Taranto deve valere quanto quella dei cittadini di Genova e di Trieste. La questione meridionale oggi ha un nome e questo nome è Taranto. Il nuovo ministro della Transizione Ecologica non faccia ricorso contro questa sentenza ma la accolga come una opportunità”.  “Al nuovo ministro - conclude Peacelink - chiediamo che si lavori per chiudere la fonte delle sofferenze di un'intera comunità e per progettare un'ecoriconversione basata su attività non inquinanti”.

 

 “Avevamo criticato i tempi lunghi ma avevamo anche salutato positivamente l’ingresso dello Stato nel pacchetto azionario di ArcelorMittal. Adesso la situazione diventa difficile perché chiedere la chiusura dell’area a caldo significa chiudere tutto lo stabilimento, chiudere tutta Taranto e tutti gli altri stabilimenti Italiani. Perché questi reggono la loro produzione sull’acciaio prodotto a Taranto”. Lo ha dichiarato questa mattina a TgCom 24 il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, a proposito della sentenza con la quale ieri il Tar di Lecce, confermando un’ordinanza del sindaco di Taranto, ha disposto che ArcelorMittal in 60 giorni spenga gli impianti inquinanti. 

 

“C’è un progetto con ArcelorMittal e Governo che prevede la transizione ecologica - ha affermato Palombella -, con dei forni elettrici e a gas, che prevede anche il preridotto, e quindi l’utilizzo del carbone si dovrà ridurre negli anni”. “Questa sentenza - ha detto ancora Palombella - provoca un disastro dal punto di vista ambientale, perché gli impianti rischiano di non essere più bonificati, e si rischiano anche i livelli occupazionali. Circa 20mila lavoratori rischierebbero di rimanere senza posto di lavoro”. “Si bloccherebbe un progetto - rileva Palombella - che, almeno sulla carta, aveva la possibilità nel giro di pochissimi anni di riuscire a conciliare il problema della salute dei lavoratori con quelli dell’ambiente e della produzione”. Per la Uilm, “questa sentenza probabilmente è stata decisa qualche mese fa e non tiene conto delle evoluzioni che ci sono state nell’Ilva di Taranto. Nel senso che l’ingresso dello Stato e gli investimenti ambientali eliminerebbero almeno le fonti inquinanti. Adesso è tutto da rifare e mi auguro - ha sostenuto Palombella - che il Governo Draghi intervenga immediatamente altrimenti già da lunedì cominceranno le operazioni di spegnimento perché i tempi massimi sono 60 giorni, ma per poter fermare gli impianti a caldo, si comincia con la fermata nei prossimi giorni”. “Questo - ha rimarcato Palombella - sarebbe un disastro dal punto di vista occupazionale, ma sarebbe anche un disastro ambientale perché per poter risanare gli impianti siderurgici, bisogna averli in marcia. Senza impianti in marcia, rimane il carico inquinante. Abbiamo già  l’esperienza di Piombino e degli altri impianti”. A proposito del nuovo ministero per la Transizione Ecologica, Palombella ha detto che “abbiamo salutato positivamente un ministero dedicato a questo, il tema, però, è come si accelerano i tempi”. Infine ha ricordato che “qualche settimana fa abbiamo ricevuto l’ok della Unione Europea” per l’accordo che ArcelorMittal e Invitalia, società del Mef, hanno raggiunto lo scorso 10 dicembre. Un accordo che ha richiesto mesi di trattative e che segna l’ingresso dello Stato nella società dell’acciaio, portandolo a controllare, a valle del versamento di 400 milioni, non ancora avvenuto però, il 50 per cento dell’azienda per poi salire al 60 per cento nel 2022 con un ulteriore esborso finanziario. L’accordo mette in campo anche un nuovo piano industriale sino al 2025 con obiettivi, a regime, di  1,8 miliardi di investimenti, 8 milioni di tonnellate di produzione e mantenimento degli attuali 10.700 occupati di gruppo, di cui 8.200 a Taranto.

 

 

 

 

“Rispettiamo sempre, come sindacato, ogni sentenza della magistratura ed in coerenza a ciò abbiamo preso tempo per analizzare la situazione che la stessa determina. Ma quanto disposto ieri dal Tar di Lecce circa la chiusura entro 60 giorni della area a caldo della ex Ilva di Taranto, costituisce l’ennesimo ribaltone giudiziario, una minaccia forte alla vita dello stabilimento e al futuro di oltre 20 mila famiglie proprio mentre stiamo discutendo il nuovo piano industriale”. Lo dichiara stamattina il segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia.

 

“La salute dei cittadini, di cui siamo altrettanto preoccupati come per l’occupazione dei dipendenti - aggiunge il numero 1 della Fim Cisl -, non si tutela azzerando i problemi. Occorre sapere tutti che chiudere l’area a caldo significa automaticamente chiudere tutte le lavorazioni a freddo, con ripercussioni gravi sugli altri stabilimenti del gruppo”. Per la Fim, “Taranto ha diritto di vedere continuare le produzioni attraverso una riconversione produttiva decisa e sostenibile contenuta negli investimenti previsti nel nuovo piano industriale, al centro del confronto col sindacato”. “Fermare l’area a caldo -prosegue  Benaglia - significa mettere Taranto in ginocchio, mettere a rischio il futuro degli altri stabilimenti del gruppo, distruggere la capacità di produzione di acciaio italiana proprio nel momento di forte ripresa della domanda, mettere in difficoltà  molte industrie italiane manifatturiere”. Rispondendo poi agli enti locali e alla Regione Puglia, Benaglia dice che “chi invoca accordi di programma come la soluzione a cui tendere” deve anche sapere che “non c’è nessun futuro credibile e certo per il lavoro a Taranto senza la siderurgia”. “Chiediamo al neo presidente del Consiglio, Draghi, ai ministri Cingolani per la Transizione ecologica e Giorgetti per lo Sviluppo economico, a cui garantiamo la massima collaborazione, di convocare immediatamente tutte le parti ed assumere subito decisioni e provvedimenti che non mettano in ginocchio il polo siderurgico e che rendano possibile far diventare Taranto il principale produttore di “acciaio verde” in Europa”, conclude Benaglia. 

 

 

 

 “La sentenza odierna del Tar di Lecce, che dispone in 60 giorni lo spegnimento degli impianti del sito tarantino  di ArcelorMittal, è la più evidente conferma di quanto Usb ha sempre sostenuto in questi ultimi mesi, ovvero che il piano presentato dalla multinazionale ed appoggiato del Governo, era fantasioso e pesantemente condizionato dall'attuale situazione ambientale”. Lo afferma il sindacato Usb con Sasha Colautti e Franco Rizzo,commentando la sentenza pubblicata oggi dal Tar Lecce, prima sezione.

   

 

 

L’Usb “ritiene che, alla luce di questa sentenza, l'unica strada percorribile è quella dell'accordo di programma. Unico strumento - si afferma - per rispondere con decisione alle legittime richieste dei cittadini, delle istituzioni locali e al loro coinvolgimento, ed unica strada su cui si possa determinare un confronto che metta al centro l'occupazione, la salute dei lavoratori e non gli interessi della multinazionale”. 

 In occasione della festa di San Valentino che ricorre domani, il Museo archeologico nazionale di Taranto, MarTa in sigla, lancia sui propri canali social (tra i quali ora c’é anche TikTok) una intensive zoom, una ripresa nei particolari. Si tratta, si spiega, del racconto di una grande storia d’amore ma anche dell’arte della ceramica a figure rosse di una loutrophoros, il recipiente adibito al trasporto d’acqua per i rituali purificatori delle giovani spose, finita illegalmente negli Stati uniti e restituita all’Italia nei primi anni 2000 grazie all’intervento del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. Il vaso di manifattura apula, datato fra il 340 e il 330 a.C. e prodotto nella Puglia centro-settentrionale, racconta la vicenda mitologica di un grande amore: quello tra la figlia dei re dell’Etiopa Andromeda e l’eroe Perseo. Per Eva Degl’Innocenti, direttrice del MarTa, “Andromeda e Perseo, insieme al mostro marino e al dio alato dell’amore, sono i protagonisti di un piccolo film dell’epoca. Si vedono, infatti, Andromeda legata ad uno scoglio e condannata, a causa dell’ira del dio del mare Poseidone, ad essere divorata da un mostro marino e Perseo, novello principe azzurro, che la porta in salvo”. “E’ un modo per incuriosire e tornare a portare l’arte, la cultura e l’archeologia più vicino ai ragazzi - dichiara la direttrice Degl’Innocenti -, ma anche per attualizzare le grandi storie d’amore che da sempre caratterizzano le grandi civiltà del nostro tempo e del passato e di cui il MarTa è pregno di testimonianze”. 

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