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Giornale di Taranto - LA RECENSIONE/ “Vicolo dell’Acciaio” di Cosimo Argentina, Taranto, l’abisso e la purezza 
Giovedì, 07 Luglio 2022 14:42

LA RECENSIONE/ “Vicolo dell’Acciaio” di Cosimo Argentina, Taranto, l’abisso e la purezza  In evidenza

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di Luisa Campatelli 

 

Gli uomini da muro in via Calabria ci sono sempre, stanno là, all’angolo del bar, dove li ha lasciati Cosimo Argentina, in Vicolo dell’Acciaio. Guardano quelli che passano e hanno un’opinione su tutto, chi finisce sotto la loro lente d’ingrandimento  

viene scrutato da capo a piedi, ma con discrezione, senza dare nell’occhio. Bevono birra Raffo e stanno attaccati al muro di mest’Arture, come i gechi.  Non si aspettano niente. 

Da via Calabria continua a vedersi l’inferno e viceversa. “Inferno a scartamento ridotto, il nostro, Isa, al solito. Inferno di serie B.”

Qui tutto si riduce a una questione di sopravvivenza, com’è per la gazzella con il leone o meglio com’è per il gatto col topo che siamo più vicini all’umano sistema fognario che alla savana. La morte sta appollaiata sui tetti dei palazzi del Vicolo che gronda sudore come un rapace perennemente affamato. E come vogliono le leggi non scritte che contengono tutte le leggi da qui all’eternità c’è chi si salva e chi no. 

“Erasmo Iacovone …ovvero il destino di Taranto: o le cose vanno male o, se vanno bene, stanno per trasformarsi in tragedia”.

A dodici anni dalla sua prima pubblicazione, con Fandango, il libro di Cosimo

Argentina torna per Hacca Edizioni con inalterata e forse ancora maggiore potenza a sbatterci in faccia ciò che non vogliamo vedere, sentire, ma che c’è, sotto forme solo apparentemente diverse, nel perpetuo senso di dissolvimento, nella rabbia soffocata, nella dolorosa consapevolezza dell’ineluttabile. “Accetto il destino. Noi del quartiere…Il nostro mondo è d’acciaio lavorato a freddo e a caldo. Il nostro mondo è fatto di laminatoi, cokerie, bramma, tubi, elettrozincatura, ricottura statica e compagnia cantante…ogni tanto un via Calabria 75 ci lascia le penne. Lo mettiamo in conto”.

Nel quartiere ci si riconosce in base al numero civico della via in cui si abita, ci sono i via Calabria, i via Maturi, i via Polibio,  che diventa una specie di numero di matricola, un segno di appartenenza e di condivisione, difficile da far comprendere a chi sta fuori.

Scrive per i fottuti Cosimo Argentina, per quelli che il libro non lo leggeranno mai, e lo fa con la durezza, la poesia, il disincanto, l’ironia e la sincerità che gli sono propri, in quello stile suo suo che mette insieme dialetto e espressioni colte, abisso e purezza.

Scrive per il volpino senza nome di Derviscio Dòminik, per la disarmante innocenza di Tes, tratto che accomuna i suoi personaggi più riusciti, per il Generale che non tradisce i sentimenti per non esserne sopraffatto, per Mino Palata, io narrante, che  ritroviamo nel reportage letterario Dall’Inferno, edito da minimun fax, a capo degli operai dell’Ilva che lottano, lui e i suoi occhi “.. .di un verde difficile da contenere in un’accoppiata di pupille”.

Il Vicolo e l’acciaio vivono in simbiosi tossica e per uno che riesce a staccarsene ce n’è sempre un altro che resta, incollato a quel muro, per poco amore, per troppo amore, questo ve lo dirà la storia. 

Leggere questo libro per la prima volta vi lascerà senza fiato, rileggerlo sarà un modo per ritrovare quella sensazione, intatta, che attendeva solo di essere risvegliata.

Nella foto Cosimo Argentina con Tiziana Magrì e Angelo Di Leo durante la bella presentazione tenutasi alla Ubik di Taranto all’interno del Festival di Poesia Civile e Contemporanea del Mediterraneo che è stata un’occasione per sottolineare l’attualità di quelle pagine che attraverso la letteratura raccontano senza sconti e fuori da ogni ipocrisia o facile piagnisteo del legame patologico che unisce Taranto al suo inquilino più ingombrante e invasivo.

 

Ultima modifica il Domenica, 10 Luglio 2022 20:19