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Giornale di Taranto - RECENSIONE/ PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO. di Giovanni Battafarano
Sabato, 13 Febbraio 2016 08:51

RECENSIONE/ PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO. di Giovanni Battafarano In evidenza

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Nuovo libro di Laura Pennacchi, "Il soggetto dell’economia - Dalla crisi a un nuovo modello di sviluppo",

EDIESSE, Roma, 2015.

Il protrarsi della crisi iniziata nel 2007-08 e che ha portato nelle secche della “secular stagnation” rende sempre più urgente la scelta di un nuovo modello di sviluppo, alternativo alle logiche del neoliberismo. E’ la tesi centrale del nuovo libro di Laura Pennacchi, Il soggetto dell’economia- Dalla crisi a un nuovo modello di sviluppo, EDIESSE, Roma, 2015.

   L’ideologia della destra ha favorito i processi di mercificazione che ha toccato anche la sfera dei servizi; ha aggredito la mediazione istituzionale in nome del primato del mercato; ha screditato il ruolo dello Stato, riconoscendogli al massimo il ruolo di correzione dei fallimenti del mercato o di assistenza dei più deboli. Si è determinato il primato della finanza sulla politica e sull’attività produttiva; si è alimentata la precarietà del lavoro e si è additata nel debito pubblico l’origine della crisi quando invece essa è stata nell’accumulazione esorbitante  del debito privato. Di fronte alla crisi, negli USA e in Europa si è reagito diversamente: negli Stati Uniti con un forte ruolo dello Stato e della leva pubblica; in Europa con le politiche di austerità imposte dai governi conservatori. In questi trent’anni, le diseguaglianze sociali sono cresciute a dismisura, come documenta il fondamentale studio di Piketty. Tuttavia la sua ricetta di una redistribuzione a valle della ricchezza prodotta non si misura con l’esigenza di un nuovo modello di sviluppo che eviti dall’origine la crescita della diseguaglianza.

   Tuttavia, il neoliberismo responsabile della crisi dimostra una notevole capacità di resilienza, mentre tarda ad affermarsi un’alternativa basata su una crescita selettiva e sulla crescita dell’occupazione. La critica del neoliberismo non può limitarsi alla sfera economica, ma deve chiamare in causa altre discipline come la filosofia, l’antropologia, la sociologia per recuperare la divisione tra politica ed etica, per dirla con Kant “ fare ciò che è giusto”, non necessariamente ciò che è utile. Virtù come l’onestà, la parsimonia, la diligenza, la curiosità sono indispensabili nella vita pubblica e non sono necessariamente antieconomiche(p.163). Che la politica guidi l’economia non è un concetto passatista, semmai è straordinariamente moderno perché tende a ripersonalizzare l’economia.

  Perciò l’alternativa deve basarsi sul trinomio lavoro- persona- welfare. Il lavoro costituisce mezzo di connotazione dell’identità  deve fare i conti con la persistenza, persino la crescita del lavoro schiavizzato, del lavoro minorile, degli infortuni sul lavoro. L a persona , punto di incrocio della cultura socialista e del cattolicesimo democratico, è soggetto degno di condizioni dignitose di vita, di rispetto, di autostima. Il welfare moderno non è strumento residuale di assistenza per i ceti disagiati, ma condizione ineliminabile di un modello sociale basato sulla coesione sociale sulla solidarietà sulle pari opportunità..

  Va inoltre riaffermata con forza, anche in questa fase cosmopolita, il ruolo dello Stato, specie se si considera la superiorità del modello sociale europeo su quello anglosassone.. Lo Stato non deve limitarsi alle correzioni dei fallimenti di mercato. Seguendo le analisi di Mariana Mazzucato, Pennacchi insiste molto sul ruolo dello Stato innovatore, capace di investire nei settori strategici che guardano al futuro e estraneo alla logica di capitalizzare subito i profitti. Tutta l’elettronica di consumo nasce a valle deli investimenti del Governo americano si Internet. Lo stesso può dirsi per le nanotecnologie, per le biotecnologie, i farmaci delle malattie rare, la green economy., la maccatronica, l’agenda digitale.

  Occorrerebbe recuperare lo spirito del new deal rooseveltiano, capace di creare direttamente posti di lavoro, realizzare investimenti pubblici, dare vita ad aziende e agenzie statali per incoraggiare gli investimenti privati, la ricerca la formazione. O lo spirito del Piano del Lavoro della CGIL del 1949-50. Più che al reddito di cittadinanza occorre puntare al lavoro di cittadinanza. Le risorse stanziate per gli ottanta euro e i bonus vari potevano essere utilizzate per creare 400 mila nuovi posti di lavoro nei settori della difesa del suolo contro il rischio sismico e idrogeologico, della manutenzione di ponti strade, scuole; nel settore dei beni comuni e dei servizi sociali; per estendere e qualificare l’attività formativa, riprendendo magari l’esperienza delle 150 ore degli anni Settanta. 

  Alla base, c’è l’idea cara ad Amartya Sen del primato dello sviluppo umano, che “…ricchezza, reddito e possedimenti non sono beni  in se stessi e che non si può  dare per acquisito che  più sia necessariamente meglio” (p.308). Un nuovo modello di sviluppo non solo per superare la crisi, ma anche per contribuire a costruire una società più umana e solidale. Il bel libro di Laura Pennacchi offre una serie di analisi e proposte per muoversi in questa direzione.