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Giornale di Taranto - IL CASO/ L\'arcivescovo di Taranto precisa: non volevo esprimere fatalismo sull\'ex Ilva
Giovedì, 11 Gennaio 2024 07:51

IL CASO/ L\'arcivescovo di Taranto precisa: non volevo esprimere fatalismo sull\'ex Ilva In evidenza

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 “Quando ho detto che ‘la comunità è formata per questo’ non volevo assolutamente esprimere un fatalismo circa il destino della città e la conseguente impossibilità di un cambiamento. Tutt’altro. Volevo semplicemente dire, e spero che si percepisca la bontà del mio pensiero, che Taranto, la nostra comunità, costituita di fatto intorno alle sorti dello stabilimento siderurgico, ha diritto a ricevere risposte certe”. Lo precisa l’arcivescovo di Taranto, Ciro Miniero, in merito ad una intervista che ha rilasciato a Radio Vaticana e che ha suscitato proteste e polemiche sui social. 

 “La mia posizione quale vescovo di Taranto in merito alla vicenda del siderurgico non si discosta dalla via maestra che è stata segnata dalla Laudato si’ di Papa Francesco: sviluppo sostenibile e cura del Creato” sostiene Miniero. Secondo l’arcivescovo di Taranto, “la situazione in merito allo stabilimento siderurgico ha assunto nel tempo sempre più i tratti della drammaticità. Se da un lato viene ribadita la strategicità dello stesso per il Paese, dall’altro sono solo la città di Taranto e i suoi cittadini a soffrirne l’impatto economico e ambientale”. “Economico - puntualizza il vescovo - perché da anni migliaia di lavoratori vivono nell’incertezza per il proprio reddito. I numeri della cassa integrazione sono impressionanti e le aziende dell’indotto non vedono riconosciuti i propri crediti e rischiano la definitiva cessazione dell’attività. Ambientale, perché è di pochi giorni fa l’ennesimo episodio di slopping, ricorrenti sono le denunce delle associazioni ambientaliste in merito allo sforamento dei limiti delle emissioni mentre si sono perse le tracce del Piano per le bonifiche. Rapporti scientifici hanno riconosciuto l’impatto nefasto sulla salute dei tarantini della fabbrica”. Miniero quindi ricorda che “numerose a suo tempo furono le perplessità espresse da vari settori cittadini e non solo in merito alla cessione ad ArcelorMittal dello stabilimento, perplessità che purtroppo hanno trovato fondamento nel tempo. Registriamo con preoccupazione l’indisponibilità di AM ad accettare ora l’aumento di capitale del socio pubblico fino al 66%”.  “Avremmo salutato con favore il possibile maggior impegno dello Stato in Acciaierie d’Italia e ci saremmo altresì augurati che questo fosse stato sensibile proprio in virtù di quella strategicità nazionale che richiede la condivisione dei doveri quanto dei diritti” sostiene l’arcivescovo di Taranto. Il quale dice che “quel che attendiamo sono risposte chiare e definitive in merito ai diritti dei lavoratori e agli impegni con essi assunti; auspichiamo investimenti certi in merito al processo di ambientalizzazione dell’acciaieria; auspichiamo che riprenda con rinnovata energia il processo di bonifica del territorio”. “Nel caso dell’accordo tra le parti, difficile ad oggi, dati gli esiti dell’incontro a Palazzo Chigi, auspichiamo che eventuali prossimi futuri partner - conclude l’arcivescovo di Taranto - vengano valutati con attenzione, attenzione che la città tutta, legata com’è al destino del siderurgico, pretende e che attende non senza preoccupazione”. 

Il caso, come dicevamo nasce da un\'intervista a Radio Vaticana

\"Siamo lasciati sempre soli, cioè è come se il problema di Taranto appartenesse solo a Taranto - ha detto Miniero ai microfoni dell\'emittente- Se l\'acciaio è una risorsa importante per l’Italia, per l’Europa e mi sembra che la fame di acciaio aumenti, di anno in anno. Perché non va affrontato questo problema a livello nazionale, a livello europeo? Ma la questione non si risolve mettendo in conflitto città, ambiente, cittadini, perché poi gli unici a pagare sono proprio i cittadini che in qualche modo si sentono anche rassegnati dinanzi a questa situazione». 

Ancora: «se l’Europa l’acciaio se lo procura nei paesi orientali praticamente fa un danno a sé stessa. L’Oriente in qualche modo è riuscito ancora di più dell’Europa a trasformare ciò che era scarto in risorse, lo vediamo in Giappone. Perché questo non può venire anche in Italia? Perché non può venire anche a Taranto? Perché non produrlo utilizzando la tecnologia di oggi e facendo in modo che qui si creano anche di altri poli tecnologici che aiutano poi a questo cambiamento, a questa transizione verso un mondo sostenibile». «Non c\'è alternativa a quella fabbrica a Taranto. - concludeva Miniero -. La chiusura sarebbe veramente una catastrofe, che significherebbe non pensare al bene di una comunità che è stata formata a questo». 

 

Lu.Lo.