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Giornale di Taranto - 20 ANNI DI BATTAGLIA/ Case di Taranto danneggiate da fumi e polveri: primi 416 indennizzi
Giovedì, 28 Dicembre 2023 09:30

20 ANNI DI BATTAGLIA/ Case di Taranto danneggiate da fumi e polveri: primi 416 indennizzi In evidenza

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Regalo di Natale per circa 400 famiglie di Taranto, residenti nel rione Tamburi, che negli anni hanno visto i loro immobili deprezzarsi e degradarsi a causa delle polveri e dei fumi del vicino stabilimento siderurgico Ilva. Un’attesa durata molti anni è quindi finita. L’amministrazione straordinaria di Ilva - proprietaria degli impianti dell’acciaieria - ha riconosciuto indennizzi per complessivi 3,5 milioni a valle di sentenze della Magistratura. Le domande lavorate sono state 416, tutte saldate all’infuori di una quindicina che hanno presentato problemi relativi all’Iban per la corresponsione.

   Gli immobili in questione sono invece circa 240 e la differenza tra numero degli immobili e numero delle domande dipende dal fatto che in caso di appartamenti intestati a marito e moglie sono state fatte due corresponsioni, ciascuno dei proprietari ha avuto il 50 per cento della somma. Gli indennizzi sono andati da un minimo di 5mila euro ad un massimo di 30mila, che era l’importo massimo concedibile. Le domande sono state istruite da Ilva in amministrazione straordinaria che le ha poi rimesse al ministero delle Imprese per la valutazione affidata ad una commissione. Una volta accettate, Ilva ha poi effettuato i bonifici su fondi erogati dal Mimit. La procedura di liquidazione è stata disciplinata da un decreto del ministero dei mesi scorsi. Per il 2023, utilizzati tutti i fondi stanziati. Intanto con un emendamento alla legge di Bilancio per il 2023, sono state previste ulteriori risorse: oltre ai 3,5 milioni di euro per il 2023, anche 4,5 per il 2024 e 4,5 per il 2025. Le istanze per il 2024 sono in fase di predisposizione. Quando arriveranno i provvedimenti del Tribunale, le istanze del 2024 andranno al ministero, da presentarsi entro il 31 luglio se le regole restano quelle dell’anno scorso. Nel frattempo, è cresciuto il numero di cittadini dei Tamburi che si sono fatti avanti. Ma se le richieste dovessero superare le somme stanziate, si andrà alla riduzione percentuale degli indennizzi.

<La realtà è che ancora non ci credo> scrive l\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'avv.Massimo Moretti sulla sua pagina Facebook. È stato lui a fare da apripista, e ad  accompagnare i beneficiari degli indennizzi in un percorso non facile. Una battaglia durata 20 anni. 

<Sento i telefoni dello studio che squillano in continuazione, centinaia di famiglie che chiamano per avvisare che sui propri conti correnti sono stati accreditati gli indennizzi per i danni da inquinamento proveniente dallo stabilimento ex Ilva, e io ancora non ci credo.

Non ci credo che ci siamo riusciti.

Una battaglia durata ormai quasi venti anni.

Venti anni sono una intera vita professionale.

Sono la vita di un neonato, che diventa bambino e poi ragazzo, come mio figlio, che ha già lasciato casa, e vive la sua esperienza di adulto nella sua città universitaria.

Mi passano davanti tanti momenti di questi venti anni.

Le riunioni in Legambiente e i processi penali per “getto pericoloso di cose”.

Lo scetticismo delle prime riunioni con i concittadini residenti al quartiere Tamburi.

La riluttanza di chi si fece convincere ad apporre la propria firma alla prima citazione civile

Il primo incontro, al bar del tribunale, con gli avvocati dei Riva. La sensazione netta di vedere chi gioca come il gatto col topo.

Le riunioni sui tetti delle palazzine con gli ingegneri, geologi, chimici, consulenti tecnici per raccogliere le polveri ed analizzarle.

Le prime sentenze vittoriose, e le conferme in appello e in Cassazione.

Poi le innumerevoli trasferte a Milano, dove si era spostato tutto il contenzioso dopo l’ammissione di Ilva spa alla procedura di amministrazione straordinaria.

Le trattorie vicine al tribunale di Milano.

Il risotto con l’osso buco.

Il caffè al bar senza bicchiere d\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'acqua.

Il tram 73 da Linate al tribunale, che oggi è stato sostituito dalla nuova linea della metro, perché, in effetti, sono passati tanti anni.

Le scale del tribunale, salite e scese a volte col sorriso, a volte con la sensazione che tutto fosse saltato.

I tanti giudici del tribunale di Milano, ai quali bisognava ogni volta spiegare, in poche battute, e tenendo a bada gli agguerriti colleghi dei mega studi di controparte, la morfologia e la composizione sociale della città di Taranto, l’imponenza ed incombenza dell’impianto siderurgico, una convivenza lunga più di sessant\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'anni.

Il giorno in cui quella donna magistrato, guardandomi negli occhi, mi disse che trattare delle questioni che riguardavano Ilva, e Taranto, era, ogni volta, come incidersi le vene dei polsi e veder scorrere del sangue, senza sapere come fermarlo.

Scene che proporrò a Michele Riondino per il sequel del suo bel film \\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\"palazzina LAF\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\".

I tanti volti diversi che ho incontrato in questo lungo viaggio. 

I compagni di viaggio. 

Chi mi aspettava al ritorno.

Le parole che ho sentito, con cadenze distanti tra loro, con accenti diversi. 

Quelle pronunciate con toni perentori e ultimativi, e quelle, quasi sussurrate, cariche di speranza.

Gli sguardi che ho incrociato, quelli fieri, diretti, di chi reclamava giustizia, e quelli obliqui, sfuggenti, di chi frapponeva ostacoli.

Le mani che ho stretto.

Le assicurazioni che ho dato.

La durezza nello sguardo di chi, troppe volte, era stato ingannato, e ciò nonostante, non si voleva rassegnare.

La fiducia da conquistare.

Gli aerei all’alba.

La musica che mi ha accompagnato nei viaggi, nella scrittura degli atti, nella lettura di faldoni e faldoni di carte incomprensibili.

Le firme con la croce.

Gli occhi di queste madri. Di fronte ai quali si rimaneva senza risposta, se non quella di essere ancora più determinati ad andare avanti.

La fierezza di questi uomini anziani, con le mani callose di chi ha lavorato, e che maneggiano con poca destrezza la penna.

Non ho mai mollato, non potevo permettermelo, neanche di fronte allo scetticismo dei miei tanti interlocutori, persone avvertite, che mi ascoltavano e scuotevano la testa, ritenendola un’impresa troppo difficile.

Ma davvero pensi che lo Stato Italiano istituirà un Fondo per garantire il diritto al risarcimento di queste persone?. Sì, lo pensavo davvero, e in Parlamento ho incontrato persone che hanno compreso l’istanza di giustizia che proveniva da queste persone, la hanno fatta propria, e hanno saputo gestire con perizia e dedizione tutto l’iter parlamentare, fino alla istituzione del Fondo per gli indennizzi.

Non ho mollato perché sapevo di essere, per una volta, dalla parte giusta della storia, e perché il diritto, e in fondo anche l’attività dei nostri rappresentanti in Parlamento, per come la vedo io, a questo serve. 

A cercare di portare la giustizia, la giustizia possibile, su questa terra martoriata.

Oggi possiamo dire che, nella somma ingiustizia subita da questa gente e questa comunità intera, almeno segniamo, per la prima volta, una piccola, infinitesimale, ma simbolica, vittoria.

Simbolica, anche perché è arrivata a qualche ora da Natale.

Così che questa volta, finalmente, la risposta alle centinaia di domande: “avvoca’ ce la facciamo per Natale?”, è stata: SÌ!

Poi, di certo, l’indennizzo che questa famiglie ricevono, copre solo una piccola parte del danno ricevuto.

Ma questo, al momento, siamo riusciti a fare.

E non era affatto scontato che ci riuscissimo, anzi.

Insomma, sento di avere la coscienza a posto.

Ho fatto quello di cui ero capace. E forse addirittura di più, anche perché alle mie capacità, alle limitate capacità di un avvocato di provincia, ho aggiunto le enormi energie di chi mi è stato affianco in questa impresa quasi ventennale, i colleghi, i collaboratori, gli amici ambientalisti, i parlamentari, tutti coloro che hanno voluto e saputo supportare in ogni modo questa ricerca di giustizia, e che ringrazio, perché senza tutti loro, senza questo enorme lavoro di squadra, di persone che collaborano per il raggiungimento di uno scopo, questo risultato non sarebbe stato neppure immaginabile.

E ancora non ci credo di essere stato tra i protagonisti di questo piccolo, ma significativo, atto rivoluzionario.

Quando ho alzato il mio calice, quindi, perché ogni cosa bella va festeggiata, l\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'ho fatto con la mano ferma.

Pensando anche a chi non c\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'è più, ma che è qui, e vive in questa mia abitudine di non accettare che le cose debbano per forza andare come sono sempre andate.>

Lu.Lo.