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Giornale di Taranto - Economia, Lavoro & Industria
Economia, Lavoro & Industria

Economia, Lavoro & Industria (1908)

\"Ci vediamo costretti, nostro malgrado, a comunicare l’impossibilità per le nostre imprese metalmeccaniche di far fronte nel mese corrente al pagamento degli oneri fiscali e previdenziali e, purtroppo, alla erogazione di stipendi e della tredicesima mensilità ai nostri collaboratori. Nonostante gli appelli lanciati più volte, le numerose richieste di incontro inviate al management della società, al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri Urso e Fitto, al fine di addivenire ad una soluzione ai fini di una ripresa della produzione in chiave ecocompatibile, sono rimaste lettera morta”. È il passaggio cruciale della lettera che oggi l’Aigi (l’associazione delle imprese dell’indotto ex Ilva e metalmeccanico) ha inviato ai vertici nazionali (Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella) e tarantini (Biagio Prisciano, Francesco Brigati e Davide Sperti) dei sindacati Fim, Fiom e Uilm. Stessa lettera anche a Franco Rizzo di Usb nazionale. Non pagate, o pagate con molto ritardo, da Acciaierie d’Italia per i lavori eseguiti nella fabbrica e fatturati, le imprese lanciano l’allarme. Un primo segnale Aigi lo aveva manifestato già nei giorni scorsi, in altre lettere ad Acciaierie e al prefetto di Taranto, evidenziando che l’esposizione delle imprese associate era intorno ai 90 milioni e che questo, in mancanza di soluzioni, rischiava di provocare altre conseguenze a breve, a partire da stipendi e tredicesime ai dipendenti. E così ora rischia di essere. É un effetto della crisi di liquidità che assedia da mesi Acciaierie. Che, non avendo soldi in cassa, circolante, credito dalle banche e sostegno dall’azionista di maggioranza Mittal, cerca di stringere ovunque possibile: dall’acquisto delle materie prime per la produzione al pagamento dei fornitori. “Chiediamo da mesi di poter rientrare dello scaduto alla luce dello stallo decisionale a cui si è giunti da parte degli attori interessati - Governo e parte privata - con conseguente riduzione totale delle commesse ed addirittura il blocco di quelle che avevamo acquisito sulle quali abbiamo anche investito ingenti risorse economico-finanziarie” evidenzia l’Aigi.  Si registrano reazioni del sindacato e della politica. Per Davide Sperti, della Uilm, “non vorremmo che si trattasse di un modo per esercitare pressioni sul Governo affinchè eroghi altri soldi ad Acciaierie dopo i tanti già dati senza costrutto, visto che questi stessi imprenditori hanno sempre plaudito al management di Acciaierie e accettato tempi di pagamento lunghissimi”. Per Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in commissione Bilancio alla Camera, “il Governo deve intervenire immediatamente per ricomporre la crisi. Se lo Stato non si attiva subito per assumere il controllo dell’ex Ilva, a morire definitivamente non sarà solo uno dei più grandi poli siderurgici d’Europa, ma anche tutta l’economia del territorio ad esso legata, con conseguenze sociali catastrofiche. Il ministro Fitto, che ha gravissime responsabilità, riuscirà a mettere l’orgoglio da parte e fare marcia indietro prima che tutto ciò accada?” 

Nessuno spiraglio si è aperto questa sera nella riunione della task force lavoro della Regione Puglia per la crisi Albini, l’azienda tessile di Bergamo che ha dismesso da tempo lo stabilimento tessile a Mottola (Taranto), i cui lavoratori, 91, saranno licenziati a giorni e finiranno in Naspi, il trattamento di disoccupazione, perchè la cassa integrazione di cui hanno sinora beneficiato non può più essere prorogata. All’orizzonte c’è una nuova azienda che si è fatta avanti per rilevare il sito Albini e riassumere la manodopera dalla Naspi, e ieri  se ne è avuta conferma al tavolo regionale, ma non ci sono ancora impegni precisi e inoltre le due aziende - la cedente e la subentrante - non hanno nemmeno partecipato al tavolo. Con due comunicazioni scritte distinte, le aziende hanno spiegato la loro posizione. Albini ritiene di non dover partecipare al tavolo perchè è in atto da settimane un presidio di protesta degli operai davanti allo stabilimento che impedisce lo smontaggio e l’uscita dei macchinari tessili. Albini ha detto che proseguirà la trattativa di vendita dello stabilimento con Ekasa. Ekasa, che vuole riconvertire lo stabilimento in specializzato in progettazione, produzione, vendita e posa in opera di porte per interni, serramenti per esterni e portoncini di sicurezza, ha invece confermato l’investimento a Mottola, ribadito che assumerà il personale dalla Naspi dopo averlo riqualificato, ma non ha specificato né i tempi, né quante persone assumerà. Ekasa ha anche dichiarato che non si sente vincolata dal partecipare al tavolo regionale. I sindacati hanno invitato la task force a riconvocare le parti e a cercare una mediazione, anche se le posizioni al momento sono molto distanti. Rimane il presidio di protesta a Mottola davanti allo stabilimento e sono in arrivo nuove iniziative di sindacati e lavoratori. 

A rischio licenziamento o di perdere ogni sostegno economico tra Natale e Capodanno 429 lavoratori a Taranto. Sono, rispettivamente, i 91 lavoratori di Albini, l’azienda di Bergamo che da anni ha dismesso per crisi la Tessitura di Mottola, per i quali la cassa integrazione, dopo alcune proroghe, si conclude definitivamente il 22 dicembre e i 338 in carica all’Agenzia del lavoro portuale (TPWA) per i quali la copertura economica legata alla corresponsione dell’ima, l’indennità di mancato avviamento, la cassa integrazione dei portuali, termina a fine anno per esaurimento dei fondi. Per Albini, da mesi è in pista una nuova azienda che dovrebbe succedergli e rilevare sia lo stabilimento di Mottola (è stato già firmato un preliminare di acquisto che dovrebbe trasformarsi in contratto entro fine anno), che il personale. Si tratta dell’Ekasa che riconvertirà il complesso nella progettazione, produzione, vendita e posa in opera di porte per interni, serramenti per esterni e portoncini di sicurezza. Solo che il progetto Ekasa per dispiegarsi ha bisogno di tempo, almeno un anno, mentre i licenziamenti sono imminenti per fine cassa integrazione. Il 12 dicembre è già convocata alle 14.30 una riunione alla task force lavoro della Regione Puglia. Poichè non ci sono possibilità di prorogare la cassa (Albini ha già fatto partire le lettere di licenziamento, impugnate legalmente dai lavoratori) e quindi lo sbocco è la Naspi con risoluzione del rapporto col datore di lavoro, sindacati e task force regionale stanno costruendo una soluzione, da formalizzare in un accordo, che prevede l’impegno di Ekasa ad assumere il personale di Albini man mano che entrerà in produzione, nonché un intervento finanziario di Albini per aumentare economicamente il trattamento Naspi, che é inferiore a quello della cassa ed è anche in decalage dopo i primi tre mesi. 

Per i lavoratori in carico all’Agenzia del lavoro portuale, che provengono tutti dal bacino Taranto Container Terminal-Evergreen, precedente concessionario del terminal ora affidato al gruppo Yilport, nel decreto legge Anticipi, approvato dal Senato ed ora alla Camera, non é entrato l’emendamento che, come richiesto dai sindacati e dall’Autorità portuale di Taranto, prevedeva la proroga dell’Agenzia e del relativo trattamento economico per altri due anni (sarebbero necessari 8 milioni per il 2024 e altrettanti per il 2025). L’emendamento presentato da senatori FdI è stato cassato in commissione Bilancio al Senato ed è diventato un ordine del giorno col voto favorevole del Governo. Adesso, la via d’uscita individuata è quella di provare a reinserire la proroga dell’Agenzia nel maxi emendamento alla legge di Bilancio 2024. I sindacati sostengono che due anni di proroga dell’Agenzia consentono, nel frattempo, di far partire operativamente i progetti delle nuove imprese che investiranno nel porto grazie alla Zona economica speciale e alla Zona franca doganale. Si tratta di 6 imprese già autorizzate dalla Zes, cui si aggiunge l’investimento in area portuale del gruppo Ferretti per la costruzione di strutture di yacht. Per le 6 aziende, il fabbisogno di manodopera stimato é di 403 unità mentre per Ferretti di altre 200. A giudizio dei sindacati ci sono quindi i margini, oltrechè gli strumenti normativi con la proroga dell’Agenzia e della relativa clausola sociale, per impiegare nell’arco di un biennio i 338 portuali disoccupati in forza all’Agenzia e da questo punto di vista la continuità dell’Agenzia rappresenta una soluzione ponte verso la nuova occupazione. Per giovedì prossimo, infine, i sindacati hanno indetto un presidio di protesta del personale dell’Agenzia sotto la Prefettura.

Acciaierie d’Italia, ex Ilva, non ferma più nel siderurgico di Taranto l’altoforno 2. Doveva restare fermo sino all’11 dicembre. Almeno così aveva detto venerdì sera Acciaierie d’Italia, precisando che si trattava di una fermata temporanea che doveva servire ad effettuare delle manutenzioni su questo ed altri impianti. Lunedì mattina era quindi cominciata la pre fermata, con la manovra di abbassamento della carica (più coke, meno ferro), per il 6 e il 7 i sindacati Fim, Fiom e Uilm avevano indetto 48 ore di sciopero nella sola area altiforni diffidando l’azienda a fermare l’altoforno 2, ma nelle scorse ore, quando la fermata doveva realizzarsi, è arrivato lo stop. Eppure l’azienda poche ore prima aveva detto, rispondendo ai sindacati, che “le attuali condizioni di marcia degli impianti non possono consentire, per ragioni di sicurezza, il differimento della sospensione della produzione di ghisa dell’altoforno 2”. Secondo Biagio Prisciano, segretario Fim Cisl, “l’interruzione dell’operazione dell’abbassamento di carica dell’altoforno 2” e la sosta, nella rada di Mar Grande, di “un numero imprecisato di navi cariche di materie prime propedeutiche alla marcia degli impianti, ma che non vengono ormeggiate e scaricate, è l’ennesima dimostrazione della gestione fallimentare dell’amministratore delegato che sta portando alla chiusura, lo stabilimento di Taranto. Diciamo basta, si decida in fretta in quanto è in ballo il destino di migliaia di lavoratori. Lo Stato, per tramite di Invitalia, assuma una volta per tutte la maggioranza all’interno della compagine pubblico-privata, il Governo assuma il controllo”. 

Dai sindacati alle imprese appaltatrici, monta la protesta per l’ennesimo nulla di fatto dell’assemblea di Acciaierie d’Italia (ex Ilva) che ieri avrebbe dovuto decidere in merito al sostegno finanziario urgente dell’azienda. Da ArcelorMittal, socio di maggioranza, è peró venuto un nuovo segnale di indisponibilità, mentre Invitalia ha dichiarato di essere pronta a fare pro quota la sua parte finanziaria (Mittal ha il 62 per cento di Acciaierie, Invitalia, invece, il 38). Secondo quanto si apprende, Mittal ha portato in assemblea una memoria di una dozzina di pagine evidenziando quanto il Governo aveva promesso nel tempo alla società e non erogato. Si tratta di finanziamenti e garanzie di vario tipo. Secondo Sasha Colautti e Francesco Rizzo, dell’Usb nazionale, “dopo l\'ennesima presa in giro nei confronti dei lavoratori e di questo Paese, è sancito a chiare lettere che il Governo si fa ricattare dalla multinazionale. A noi sembra che stiamo consegnando le politiche industriali del Paese nelle mani di aziende prive di alcun scrupolo verso i territori in cui operano, sprezzanti delle istituzioni fino all’ultimo, irrispettosi di chi i lavoratori li rappresenta”. E con Aigi arriva anche la voce delle imprese dell’indotto metalmeccanico. “Restiamo sconcertati di fronte all’ennesimo nulla di fatto e all’ennesimo rinvio della trattativa tra soci cui è legato il destino della grande fabbrica, delle imprese e dei lavoratori - commenta il presidente Fabio Greco, soprattutto preoccupato dell’ipotesi di un ulteriore commissariamento -. Un nuovo rinvio che lascia prefigurare scenari allarmanti rispetto all’immediato futuro dello stabilimento siderurgico. La situazione è insostenibile. La soluzione tarda ad arrivare e rischia di far sprofondare nel baratro l\'indotto e con esso tutto il circuito economico locale”. 

“Le notizie che trapelano dall’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, in merito all’ennesimo rinvio, sono inaccettabili. E’ chiaro ormai l’intento di Arcelor Mittal di minare l’ex Ilva non dando avvio alla ricapitalizzazione ed impedendo gli investimenti necessari per garantire il presente ed il futuro del gruppo siderurgico”. Lo dichiara Michele De Palma, segretario generale della Fiom Cgil. “Il Governo italiano - prosegua - difenda la dignità del Paese, dignità che i lavoratori difendono scioperando per salvare gli impianti, evitando lo spegnimento di altoforno 2, e per garantire la transizione ecologica della produzione di acciaio. Il Governo - conclude la Fiom - non si faccia più tenere in ostaggio da Arcelor Mittal e nelle prossime ore intervenga per prendere il controllo e la gestione dell’azienda”. 

L’azienda intanto comunica che ieri nel siderurgico di Taranto, nella prima delle due giornate di sciopero indette da Fim, Fiom e Uilm contro la fermata dell’altoforno 2 già avviata da lunedì, “tutti i 70 lavoratori previsti nei primi due turni hanno regolarmente prestato servizio”. L’azienda ricorda infine “come siano previste comandate specifiche nell’area a caldo al fine di salvaguardare gli impianti e proteggere l’incolumità delle persone”. 

 

<Siamo e resteremo tarantini e vogliamo uno scambio continuo per lo sviluppo di questo territorio>

 

In 102 anni di storia è la prima donna a guidare la family company targata Ninfole.

Prima di lei, il padre Renato e prima ancora il nonno Ciro, che nel 1921 nella sua drogheria nel cuore di via Cava in città vecchia a Taranto, comprò la prima partita di caffè dal Brasile e coltivò il sogno di far diventare quello con il suo nome il caffè dei tarantini.

Lei è Rossella Ninfole, classe 1968, laureata in lingue e letterature straniere e una vita passata tra i sacchi del caffè, le miscele e le mura di quello stabilimento che rappresenta a tutti gli effetti il Caffè di Taranto, ma anche la storia di una imprenditoria sana che vince la sfida della crisi e la tentazione della delocalizzazione e rimane fedelmente legata alla città della sua origine.

Rossella Ninfole è la nuova presidente della Caffè Ninfole Spa.

Si tratta di un impegno e un onore insito nel mio nome che però intendo ottemperare a mio modo creando attorno alla rete dell’impresa saldamente tarantina una stretta connessione con il territorio che la ospita ormai da più di 100 anni” – dice Rossella Ninfole.

 

L’idea del nuovo corso si chiama azienda-comunità ed accentua il profilo partecipativo e un modello di impresa che dal rapporto con i fornitori, passando per il mercato e la relazione con collettività è destinato a caratterizzare la conduzione al femminile dell’azienda tarantina.

E’ chiaro che si tratta di uno schema che avrà bisogno dei suoi tempi – sottolinea ancora la nuova Presidente del Gruppo Ninfole - ma credo che anche le aziende, in special modo in realtà come quella di Taranto, debbano cominciare a sostenere il cambiamento, a consolidare e promuovere l’etica dei valori, facendosi promotrici di azioni che abbiamo un impatto sociale, economico, culturale e ambientale in grado di accompagnare le nuove generazioni verso un nuovo modello di sviluppo”.

 

Un modello di localizzazione radicata, quello di Ninfole, in risposta al trasferimento massiccio dei processi produttivi all’estero, che per la nuova Presidente dell’importante marchio del caffè è destinato a diventare anche un capitale di fiducia e di scambio continuo con il territorio, a cominciare dal sostegno a progetti di sviluppo sociale e culturale.

Siamo tarantini - conclude Rossella Ninfole - e resteremo a Taranto. Sembra una banalità, ma in realtà è la cifra di un legame che crediamo non sia ininfluente per noi, per i consumatori, ma anche per il futuro di questa città”.

 

“Fermiamoli finché siamo in tempo, mancano poche ore”. È l’appello lanciato oggi al Governo per l’ex Ilva dai sindacati nazionali Fim, Fiom e Uilm con riferimento a socio di maggioranza di Acciaierie d’Italia (ex Ilva), cioè la multinazionale Arcelor Mittal. “Il Governo - dicono le sigle - non ha altra scelta: deve estromettere questo gruppo industriale per inadempienza contrattuale e deve fare una richiesta di risarcimento per gli ingenti danni subìti, reinvestendoli in azienda. Il Governo, con un provvedimento d’urgenza, deve acquisire la maggioranza e quindi individuare soluzioni industriali, precettando produttori nazionali, affidandogli, transitoriamente, la gestione di Acciaierie d’Italia e il salvataggio dei 20 mila lavoratori di tutti gli stabilimenti. In base alle conclusioni dell’assemblea dei soci di domani, siamo pronti - è la conclusione - a realizzare un presidio permanente al fine di essere ricevuti a Palazzo Chigi, a partire dal prossimo 11 dicembre”.

Intanto le tre sigle  hanno indetto oggi 48 ore di sciopero a partire da domani dei lavoratori di esercizio dell’area altiforni del siderurgico ex Ilva diffidando Acciaierie d’Italia dalla fermata dell’altoforno 2. Operazione, questa, le cui prime manovre sono scattate ieri. L’altoforno 2 resterà fermo, ha comunicato l’azienda, sino all’11 dicembre e lo stop temporaneo rientra in un piano di interventi di manutenzione che riguarda varie aree del siderurgico. Questa modalità di sciopero - dicono i sindacati - è “per impedire che Arcelor Mittal continui nel suo ricatto utilizzando i lavoratori e la fabbrica come scudo per ricevere ulteriori risorse pubbliche da sperperare sino alla chiusura dello stabilimento”. I sindacati non credono alle affermazioni dell’azienda circa uno stop momentaneo e citano al riguardo l’altoforno 1. “Questa - dicono le sigle - ormai è diventata una consuetudine” tant’è che “non vi è stata la ripartenza dell’altoforno 1”. Quest’ultimo è infatti fermo da agosto e sarebbe dovuto restare fermo solo un mese. Domani alle 15 torna a riunirsi di nuovo - dopo le sedute del 23 e 28 novembre - l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia e il privato Mittal, che ha la maggioranza del 62 per cento, e la società pubblica Invitalia (Mef) che ha il 38 per cento, sono chiamati a trovare un accordo per un intervento finanziario urgente che assicuri la sopravvivenza dell’azienda. 

 

 

Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, a Confindustria Taranto ha “assicurato”, in merito all’impianto di preridotto di ferro per i futuri forni elettrici di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, “che le risorse saranno a breve allocate nel Fondo Coesione e Sviluppo, anche e soprattutto per consentire a Dri Italia - che a partire da gennaio prossimo avvierà un rapporto di collaborazione con Confindustria Taranto - di procedere con l’attività dell’impianto, indispensabile per poter parlare di conversione in chiave green dello stabilimento siderurgico”. Lo dichiara Salvatore Toma, presidente di Confindustria Taranto, dopo l’incontro a Roma col ministro. Dri d’Italia é una società di Invitalia e per l’impianto di preridotto era stato inizialmente previsto un miliardo nel Pnrr poi tolto. Per lo stabilimento ex Ilva, nell’incontro tra Confindustria Taranto e Pichetto Fratin si è dato “particolare riferimento allo stato dell’arte dei processi di decarbonizzazione, per i quali il Governo ha confermato l’impiego di un miliardo di euro spostandolo dal Pnrr al fondo Fsc. Una scelta, è stato ribadito dal ministro - sostiene Confindustria Taranto -, voluta proprio in virtù di precise necessità. In particolare, la possibilità di poter spendere nei modi e tempi giusti tutte le risorse messe a disposizione senza quei vincoli temporali che invece il Pnrr avrebbe imposto”. Il presidente Toma ha sottolineato al ministro dell’Ambiente “l’urgenza di garantire tali risorse perché le stesse sorti dello stabilimento, su cui gravano al momento una serie di incognite, sono legate a doppia mandata a quelle dell’auspicato processo di decarbonizzazione”.

Da parte di Confindustria Taranto “è stato inoltre manifestato l’auspicio che il futuro dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa e di importanza strategica a livello nazionale passi anche attraverso una piena consapevolezza -da parte del Governo - di  doverne garantire la continuità con tutto l’impegno e gli sforzi possibili, nel segno della ecosostenibilità e dell’innovazione, già portato avanti, in Europa, dalle famiglie dell’acciaio italiano”.  Nell’incontro si è parlato anche del progetto del Governo finalizzato a individuare due aree portuali nel Mezzogiorno con finalità di polo impiantistico per la costruzione delle piattaforme dell’eolico offshore galleggiante. A fronte della candidatura del porto avanzata da Confindustria Taranto, Pichetto Fratin - riferisce l’associazione degli imprenditori - ha assicurato “la massima attenzione allo scalo portuale jonico, in quanto avrebbe tutti i requisiti necessari al fine di poter diventare sede del polo”. Pichetto Fratin ha infine annunciato tempi brevi per “l’insediamento del prossimo responsabile degli interventi di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell’area di Taranto, fondamentali ai fini dello sviluppo complessivo e sostenibile del territorio”. Incarico che sino a poco più di un mese fa era assolto dal prefetto di Taranto, Demetrio Martino, nominato poi prefetto di Verona. 

“Nelle prossime ore Acciaierie d’Italia si accinge a fermare l’altoforno 2 nello stabilimento di Taranto. È un altro impianto importante che si ferma dopo l’altoforno 1 e l’acciaieria 1 fermi dallo scorso agosto”. Lo dice ad AGI Valerio D’Aló, segretario nazionale Fim Cisl. “L’azienda sta preparando la fermata di quest’impianto e noi chiediamo ad Acciaierie di essere subito convocati perchè si va incontro a ripercussioni impattanti - prosegue D’Aló -. In questo modo rimarrebbe attivo solo l’altoforno 4. E se questo dovesse produrre ghisa non buona, non abbiamo dove miscerlarla, perché non abbiamo la macchina a colare, e rischiamo il blocco dello stabilimento”.

“La fermata dell’altoforno 2 avverrebbe per un periodo di 8 giorni-2 settimane, probabilmente ripartirebbe sotto Natale. Noi non siamo stati informati di nulla dall’azienda. È l’ennesima provocazione di questa gestione e qualcuno ora deve fermarla assolutamente perché sta mettendo a rischio stabilimento e produzione. Non sono poi trascurabili eventuali ripercussioni ambientali, tecniche e con i gas di altoforno e di cockeria. Se dovesse esserci un problema sull’altoforno che resta in marcia, significa che qui si chiude definitivamente”. Lo dichiara ad AGI Francesco Brigati, segretario Fiom Cgil, a proposito della ventilata fermata dell’altoforno 2 nel siderurgico di Taranto che a quel punto rimarrebbe con un solo impianto in marcia (l’altoforno 4) su tre, essendo già fermo l’altoforno 1 dalla scorsa estate.

Si è svolto nello stabilimento di Taranto di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, un corteo interno di protesta “per chiedere il cambio della governance ed una giusta transizione ecologica e sociale”.

     L’iniziativa è promossa da Fim, Fiom e Uilm in vista dell’assemblea dei soci di Acciaierie in programma il 23 novembre e chiamata ad assumere iniziative urgenti per la continuità dell’azienda.

    Il corteo ha come tappa la direzione di Acciaierie d’Italia. “Il governo Meloni - chiedono i sindacati - apra un serio confronto con le organizzazioni sindacali, diversamente continueremo nelle mobilitazioni per impedire la chiusura dello stabilimento siderurgico. Bisogna cambiare la governance per garantire il rilancio produttivo, l’occupazione e l’ambiente”.

 

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