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Giornale di Taranto - Artigianato, Commercio & Agricoltura
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E' una richiesta chiara d’intervento da parte delle Istituzioni in merito alla vertenza Evergreen, che non riguarda solo i dipendenti diretti del porto ma anche 
tutto l’indotto, quella che arrive dalle imprese di autotrasporto aderenti allo Sna-Casartigiani.
"Da un’analisi fatta dai nostri uffici - si legge in una noto - ci risulta che il 70% delle imprese di autotrasporto iscritte all’albo hanno come committente primario la società TCT. Autotrasporto che rappresenta un’ampia fetta dell’apparato produttivo territoriale. Analizzando la storia del comparto jonico, si evince che più volte lo stesso ha dovuto riconvertirsi in base alle committenze che si sono susseguite nel tempo, vedi: Belleli, Cementir, fonderie Sural, Ilva e infine Evergreen. Una storia travagliata. Cambiano gli attori ma la storia è la stessa, dopo il blocco totale delle commesse Ilva e i ritardati pagamenti ormai fermi ad aprile 2014 ora anche la beffa TCT con l’eliminazione di tutte le tratte transoceaniche e la riduzione notevole dei trasporti locali. Nello specifico - prosegue la nota - in queste settimane abbiamo visto notevoli cambiamenti nella struttura organizzativa di TCT quali: dal 9 ottobre Evergreen non accetta più booking in import sia in export per Taranto riscontrabile anche sul sito istituzionale della stessa azienda. L’unico servizio garantito è quello “navetta” tramite fender che ogni domenica dovrebbe fare la sfonda da Piraeus a Taranto. Però in queste settimane la navetta ha scaricato presso il terminal container pieni di merci destinati al mercato locale, mentre, al contrario, per le merci in export non vi sono state movimentazioni. Sono stati ridotti gli orari di accesso al Terminal per il carico e scarico (8:30 13:00 – 14:30 – 17:30). E’ stato ridotto il personale delle gru con conseguente disservizio e riduzione della sicurezza".
Tutto ciò, fanno notare gli autotrasportatori di Sna-Casartigiani,  ha portato alla paralisi di circa il 90 % delle imprese di autotrasporto. "Tutti questi avvenimenti - sottolineano - ci portano a pensare che le intenzioni di TCT non siano di sviluppo e di crescita, e il temporaneo blocco delle attività motivate dallo stesso per i lavori di dragaggio del porto sono solo scuse per non investire sul nostro scalo. Ci domandiamo perché tutto questo? Se il porto di Taranto è uno degli scali più nuovi tra i vari porti Italiani, uno scalo strategico per i traffici del mediterraneo, un porto con tutte le carte in regola sia sul piano della posizione geografica che sul piano strutturale".
Pertanto la richiesta Sna-Casartigiani è quella" di una programmazione trasparente e partecipata dello scalo tarantino, chiediamo chiarezza sulle intenzioni di TCT. Se intende rimanere a Taranto deve garantire il traffico locale unico mezzo di sopravvivenza delle imprese di autotrasporto. Caso contrario, va individuato un altro soggetto idoneo alla gestione degli spazi. Per quanto detto, al fine di salvaguardare le nostre aziende, le famiglie e i dipendenti chiediamo, in attesa delle risposte, la cassa integrazione per tutti i dipendenti, la moratoria dei debiti fiscali e previdenziali delle aziende, il coinvolgimento diretto della categoria ai tavoli istituzionali ministeriali e locali".

Appalti publici: il sistema imprenditoriale jonico rischia seriamente di essere tagliato fuori dal mercato a causa di una politica amministrativa comunale che sembra non tener conto, malgrado le pur reiterate sollecitazioni di Confindustria, delle specificità della composita e qualificata platea delle imprese del territorio, alle quali vengono impedite, in tal modo, anche possibili alleanze con realtà imprenditoriali esterne. Gli ultimi procedimenti -  riguardanti una manifestazione di interesse ed un affidamento, riguardanti servizi di pubblico interesse – vanno purtroppo, infatti, proprio nella direzione contraria ad un corretto – e dovuto – coinvolgimento del sistema delle imprese in materia di appalti pubblici, e i  risultati, in termini di risposta ai procedimenti stessi, parlano chiaro: le aziende non si presentano oppure si presentano in pochissime, a conferma delle eccessive restrizioni imposte dai bandi di gara- o comunque degli affidamenti come in questo caso -emanati dalla pubblica amministrazione.  E non parliamo solo del sistema meramente locale: nel caso segnalato al sindaco Stefàno, i requisiti richiesti apparterrebbero, indagini e dati alla mano, solo ad un paio di realtà imprenditoriali nello scenario europeo.

Da qui la lettera aperta di Confindustria Taranto al primo cittadino in cui si chiede, oltre a rivedere, ex novo, l’impianto procedurale dell’affidamento in scadenza, di adottare una politica più rispettosa dei requisiti del sistema imprenditoriale, adottando significativi  -e risolutivi – accorgimenti, sempre entro i canoni e i regolamenti previsti dalla legge.

"Tra le tante questioni di cui certamente si starà occupando, - scrive Confindustria - le vogliamo segnalare le vicende che riguardano due procedimenti, un avviso per manifestazioni di interesse ed un affidamento, messi di recente in campo dalla sua amministrazione. Ci riferiamo alla richiesta di manifestazioni di interesse per l’affidamento del servizio di adeguamento normativo e manutenzione degli impianti degli edifici scolastici, - prosegue Confindustria - una sola disponibilità ci risulta pervenuta, ed a quella per l’affidamento della gestione del servizio di illuminazione pubblica, globale manutenzione, realizzazione di interventi di efficienza e di ammodernamento ed adeguamento normativo degli impianti comunali, in scadenza nelle prossime settimane".

Confindustria fa presente, infatti, che si tratta entrambi di "procedimenti ambiziosi per entità del servizio e innovatività dello schema operativo proposto, il finanziamento tramite terzi, e proprio per questo, al fine di non vanificarne gli esiti, avrebbero meritato attenzioni e cure particolari nelle impostazioni economiche proposte ai concorrenti e nei requisiti di partecipazione agli stessi richiesti. Nelle pubbliche sollecitazioni di investimenti privati, la tenuta e certezza del business plan e la ragionevole adeguatezza dei requisiti di accesso sono condizioni imprescindibili per il buon esito delle operazioni e ci rammarica constatare come, su questo fronte, l’amministrazione continui a procedere per tentativi, evitando confronti e verifiche di fattibilità con chi è portatore di competenze ed esperienze in materia. Se la prima iniziativa non è andata a buon fine, - sottolinea Confindustria - la gara per la pubblica illuminazione rischia di non vedere quell’ampio e naturale confronto concorrenziale che ogni amministrazione auspica per poter meglio scegliersi, tra tanti, il partner economico con il quale legarsi per molti anni ed al quale affidare le sorti di una importante infrastruttura pubblica. Per come è strutturato il bando e considerando le caratteristiche dell’offerta imprenditoriale nel mercato della gestione dei servizi energetici, si rischia a nostro avviso di restringere maniera eccessiva e del tutto immotivata il numero dei potenziali concorrenti. Siamo intervenuti per tempo informando l’amministrazione di tale rischio ed evidenziando alcune delle criticità presenti nel bando sotto il profilo della eccessiva selettività di alcuni requisiti, molto più elevati di quelli richiesti in analoghi affidamenti del servizio di illuminazione pubblica in città ben più grandi di Taranto, e della illogicità di alcune prescrizioni che di fatto impediscono l’attivazione di collaborazioni e sinergie tra le imprese del territorio ed i partner nazionali ed europei qualificati".

Per questi motivi è opinione di Confindustria che se l’aministrazione "come temiamo" si troverà con un numero irrilevante di partecipanti e altrettanto irrilevanti offerte "da cui non risulteranno pienamente conseguibili gli obiettivi pubblici di qualità e convenienza, riteniamo più opportuno non aggiudicare e rivedere conseguentemente l’intera procedura, con nuove impostazioni economiche e nuovi requisiti. Solo la concorrenza garantisce l’interesse pubblico e solo da una competizione ampia e qualificata possono giungere le soluzioni, economiche e progettuali, migliori e più vantaggiose per l’amministrazione e l’intera città. Non possiamo permetterci - conclude Confindustria - di accumulare altre battute di arresto, mettendo a rischio procedimenti che sono occasione di investimento, di riqualificazione ed ammodernamento della nostra dotazione di infrastrutture urbane"

“Esprimo soddisfazione per la conclusione positiva del tavolo Natuzzi convocato oggi”. Così l'assessore regionale al Lavoro, Leo Caroli, a conclusione dell'incontro tenutosi a Roma dal quale è emerso che la Regione Puglia si accollerà gli oneri dell’anticipazione della cassa integrazione da parte delle banche, grazie al contenuto dell’accordo già sottoscritto dalla Regione con l’Abi. Infatti i lavoratori potranno riscuotere già da subito l’indennità di cassa integrazione anticipata dalle banche, senza dover attendere la firma del decreto ministeriale.

         A tal fine, entro sette giorni, si terrà in Regione una riunione operativa tra azienda, sindacati ed associazione delle banche per la gestione pratica dell’accordo, in particolare per la vertenza Natuzzi.

         “Abbiamo quindi acquisito – spiega Caroli - la disponibilità di azienda e sindacati a riprendere la trattativa interrotta sulla riorganizzazione del lavoro. L’azienda si è impegnata a calendarizzare il nuovo incontro romano presso la Federlegno, entro 15 giorni da oggi. Dall’altro lato il sindacato terrà sospeso lo stato di agitazione dei dipendenti. L’obiettivo – conclude l’assessore - adesso resta la presentazione ufficiale di un piano industriale sostenibile, che consenta il rientro delle attività delocalizzate nell’est Europa e al tempo stesso l’avvio della reindustrializzazione degli stabilimenti dimessi, a partire da quello di Ginosa. Per questo la Regione farà ogni sforzo utile per favorire l’esito positivo della vertenza, con la riqualificazione del personale e il sostegno allo sviluppo”. 

Ormai sulla questione Tempa Rossa è un volare di stracci che vede politici, assessori e associazioni ambientalisti di vario genere rinfacciarsi accuse e responsabilità perdendo di vista il bene comune che ogni buona amministrazione dovrebbe assicurare ai suoi cittadini. Così, nel giorno in cui i gruppi di maggioranza di palazzo di città fanno "saltare" la sesduta del Consiglio comunale, nel corso della quale si sarebbe dovuto votare a favore della delibera che stoppa la parte relativa ai lavori per tempa rossa all'interno del poerto, ecco che a confronbtarsi a muso duro sono i consiglieri regionali Cervellera (Sel) e Lospinuso (Forza Italia) e l'assessore regionale Leonardo Nicastro.

Quest'ultimo è particolarmente duro nei confronti del consigliere Alfredo Cervellera. "Anche in presenza dell'evidente necessità di far valere la propria presenza sul proprio territorio, per fini elettorali immagino,  - attacca Nicastro - mi risulta difficile comprendere l'atteggiamento del consigliere Cervellera. L'avrei compreso, e forse accettato, da un qualunque altro consigliere ma da chi ha fatto l'assessore all'Ambiente nel Comune e ha portato in Consiglio comunale nel 2007 la delibera di intesa con l'Autorità portuale sul Piano regolatore del porto necessaria ad adottare lo strumento urbanistico del capoluogo ionico, francamente non mi è possibile. Soprattutto se si considera - prosegue Nicastro - che quell'intesa conteneva già la variante, richiesta da Eni nel 2003, di prolungamento del pontile petroli e di dragaggio dell'ara per permettere l'approdo delle navi. L'intesa tra comune e autorità portuale sul punto, fu portata in consiglio proprio dal consigliere che oggi grida allo scandalo, sulla base di atti adottati per il comune dal Commissario straordinario nel 2006". 

Ragion per cui Nicastro invita Cervellera "a rileggere lo stenografico del mio intervento sulla vicenda dove non c'è traccia di reprimende nei confronti di Arpa, né tanto meno di richieste di imprimatur a relazioni tecniche. Ho sottolineato, nel mio intervento, che la relazione era stata trasmessa agli organi consiliari e, sia pure con errato indirizzo, al presidente della Regione, dalla cui segreteria l'ho ricevuta in copia, e che non si era ritenuto di trasmetterla (dopo la redazione, non prima) anche all'Assessore all'Ambiente che, tra le altre cose, è anche presidente del comitato di indirizzo dell'agenzia. Devo anche ribadire - conclude Nicastro - che a seguito degli elementi contenuti in quella relazione abbiamo chiesto la riapertura dell'Aia ministeriale nell'arco di pochi giorni. Quindi, pur capendo l'imbarazzo di Cervellera che lo spinge a dover muovere le acque perché non si possa ricostruire il percorso amministrativo della vicenda in cui egli stesso è stato parte attiva, non posso esimermi dal fornire un elemento di chiarezza".

Più caustico nei confronti di Cervellera è il consigliere regionale Pietro Lospinuso. “Su Tempa Rossa - dice Lospinuso - si sta giocando col fuoco: si rischia di mettere in discussione 1000 posti di lavoro della raffineria Eni, 300 posti richiesti per la realizzazione degli investimenti, e l’impiego di almeno 50 imprese tarantine. Se per la sinistra e il collega Cervellera questi sono numeri trascurabili, è bene che i cittadini lo sappiano perché si sta giocando con il futuro del nostro territorio”.

Non solo ma Lospinuso sottolinea anche come lo stesso assessore Nicastro "chiarisce le idee ai confusi della sinistra. Innanzitutto, Cervellera non ricorda nemmeno quello che è stato approvato da lui in qualità di vicesindaco di Taranto. Infatti, come gli rammenta Nicastro, fu lui a portare in Consiglio comunale nel 2007 la delibera di intesa con l’Autorità portuale che conteneva proprio la variante richiesta dall’Eni di prolungamento del pontile. Quindi, l’intervento di allungamento in questione non c’entra nulla con il progetto Tempa Rossa e, pertanto, diventa ancora più incomprensibile la variante che il Consiglio di Taranto vorrebbe adottare. Inoltre, anche i serbatoi sono esterni all’area dell’Autorità portuale e autorizzati regolarmente dal Ministero e dal Crt, quindi non capisco a che titolo il Consiglio comunale voglia esprimersi su due questioni che non ineriscono con il Piano portuale. Poi, - prosegue Lospinuso - sarebbe il caso anche di chiarire a Cervellera altre due questioni: la prima, è che l’Eni non ha presentato la valutazione di incidenza sanitaria perché, semplicemente, non era tenuta a farlo perché richiesta solo da una legge successiva. Ciononostante, l’azienda si è detta disponibile a farlo. In secondo luogo, il programma di abbattimento delle emissioni Voc non è sottoposto ai termini indicati da Cervellera. Il collega è malinformato anche su questo e ignora che il Ministero abbia previsto che si presentasse il documento prima dell’inizio dei lavori, senza specificare altro e basta leggere il decreto autorizzativo. Pertanto –conclude l'esponente di Forza Italia - sarebbe il momento di smetterla di scherzare  e rincorrere filoni elettorali che possono solo danneggiare il nostro territorio ed il nostro tessuto economico”.
 

 

Il Comitato studentesco dell'Archita non si ferma. Dopo la lettera consegnata al ministro dell'Istruzione Giannini in occasione dell'inaugurazione del Polo Scientifico Tecnologico pone l'accento sulla situazione di una città allo sbando, una città in cui è difficile dare risposte alle domande più semplici e quelle più complesse e fondamentali per il futuro di una comunità. Ecco le domande degli studenti dell'intervento che di seguito pubblichiamo

 

 

Da sempre ci è stato insegnato che “ferisce più la penna che la spada”. Perciò noi, studenti del Liceo Statale “Archita”, scegliamo la via del confronto piuttosto che quella della sterile contestazione e del disfattismo.

Qualche giorno fa, in occasione della partecipazione della Ministra Giannini all’inaugurazione del “Polo Scientifico della Magna Grecia”, abbiamo voluto consegnarle una lettera. In quest’ultima denunciavamo la sempre precaria condizione nella quale versa Palazzo degli Uffici, sede storica del nostro Liceo. Siamo stati inaspettatamente coinvolti dalla stessa in un breve ma disponibilissimo scambio di idee. Il nostro stupore è diretta conseguenza dell’assuefazione a politici con la “p” minuscola, gente che rifiuta il libero confronto nonostante i ripetuti inviti a varie manifestazioni pubbliche da noi organizzate. Durante il colloquio con la Ministra, ci è stato chiesto se la delicata questione fosse stata segnalata al Governo come edificio da inserire nel decreto “Sblocca Cantieri”. Grande l’imbarazzo da noi provato nel vederci costretti a rispondere negativamente per cause non dipendenti dalla nostra volontà.

Numerosi gli interrogativi che ancora ci poniamo:  verso quale direzione procede una Città i cui politici si rifiutano di intervenire in un dibattito pubblico? Verso quale direzione procede una Città che preferisce trascurare il suo sviluppo culturale, privando i suoi studenti e cittadini di punti di riferimento ad esso inerenti? Verso quale direzione procede una Città che lascia cadere nell’oblio i palazzi storici della stessa e abbandona oltre 20.000 volumi storici al degrado? Ma soprattutto verso quale direzione procede una Città priva di timoniere?

Pretendiamo adesso, dopo anni di vane richieste finite nel dimenticatoio risposte concrete e definitive da parte degli Enti locali. Siamo infatti stanchi del nostro ruolo di spettatori inermi del naufragio della nostra Città.

 

 

 

 

Ilaria Calò, resp. comunicazione Comitato Studentesco “Archita”

Italo Pomes, rappresentante di istituto Liceo Statale “Archita”

 

Il futuro del Partito democratico, la manifestazione di Piazza San Giovanni a Roma e la Leopolda di Firenze sono al centro della nota del Consigliere regionale del Pd, Michele Mazzarano che di seguito pubblichiamo
Non siamo costretti a dover scegliere tra la Leopolda e Piazza San Giovanni. Assecondare slanci avanguardisti o riflessi minoritari sarebbe un errore di fronte alle emergenze del Paese.
Non si può contemporaneamente sostenere un governo e presidiare la piazza che protesta contro quello stesso governo. Così come non si può pensare che la formula aperta e innovativa della Leopolda debba essere concepita come il contraltare ad una manifestazione sindacale.
Il 25 Ottobre di Firenze e Roma possono essere, se non assolutizzate, due facce della costruzione di un grande partito riformista, autonomo e democratico.
Di fronte alla necessità di fare riforme profonde per cambiare un Paese fermo da trent'anni, sfida incoraggiata, per la prima volta, da un consenso inedito per la sua grandezza, è sbagliato immaginare che il richiamo della foresta di una grande e bella piazza sindacale possa far scaturire un progetto politico più marcatamente identitario della sinistra.
Le piazze si ascoltano, non si demonizzano né tantomeno si strumentalizzano con finalità politiche; quando centinaia di migliaia di persone si mettono in marcia per rivendicare la difesa di un diritto, il più grande torto che si può fare loro è utilizzare quello straordinario atto di libertà di espressione come leva per costruire una nuova aggregazione politica.
In passato, tentativi ben più ridondanti di questo, sono falliti clamorosamente.
Sembrerà paradossale ma la costruzione di una forza compiutamente riformista, che l'Italia non ha mai avuto, deve poter fare proprie le istanze provenienti da Firenze e da Roma qualificandole in un progetto politico che si impoverisca nella suggestione dello scontro tra vecchio e nuovo.
In un momento di drammatica crisi economico-sociale-istituzionale, non tende a placarsi il conflitto tra politica e antipolitica, tra democrazia e populismo, nonostante l'affievolirsi dell'efficacia mediatico-politica del Movimento 5Stelle. E in questi anni di crisi, la leadership carismatica è stata, per un verso, la scorciatoia a cui far ricorso per far fronte alla fine della democrazia rappresentativa; per altro verso, invece, i leader forti hanno incoraggiato il riavvicinamento alla politica di tanti cittadini delusi.
A me sembra che il presupposto per rivendicare il primato della democrazia rappresentativa sia il riconoscere, senza timori reverenziali, la profonda crisi di rappresentanza che colpisce inesorabilmente i cosiddetti ‘corpi intermedi’, soprattutto i sindacati. Così come colpisce i partiti e le istituzioni democratiche di cui si parla tanto. Far finta di non sapere che il sindacato stenti, da anni, a rappresentare i giovani lavoratori precari e le nuove forme di povertà, con una parola gli ‘outsider’, significa aprire le praterie a chi crede di poter fare a meno della concertazione.
Per questa ragione penso che la difesa strenua e corporativa di un diritto storico come l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, di fronte ad un provvedimento che si sforza di semplificare la selva dei contratti precari, sostituendoli con ‘il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti’ rappresenta più il tentativo di ritagliarsi lo spazio a difesa di una riserva indiana, piuttosto che incoraggiare, come hanno fatto i sindacati confederali nei momenti difficili del Paese, un processo riformatore utile ai più giovani e al futuro dell'Italia. Avere questa lettura delle ragioni della mobilitazione della CGIL, non può precludere, però, al riconoscimento che dalla manifestazione di sabato siano giunti molti messaggi di cui tener conto; il più importante di tutti è che molti italiani spaventati dalla crisi e dai suoi effetti, confidano nella rete di protezione-assistenza del sindacato.
‘Creare nuovo lavoro anziché tagliare i diritti di chi il lavoro ce l'ha’, è stato uno degli slogan più insistenti.
La creazione di nuovo lavoro, come sa bene la CGIL, passa principalmente dal rilancio degli investimenti e dello sviluppo che, evidentemente, è legato alla fine delle politiche di rigore e di austerity dell'Europa e, secondariamente, può trovare facilitazione nelle scelte strategiche introdotte dalla Legge di Stabilità. Indurre le imprese italiane, attraverso gli sgravi e il taglio del costo del lavoro, a ritenere conveniente l'applicazione di tipologie contrattuali stabili, significa invertire la tendenza, dei tanti governi succedutisi in questi anni, a rendere selvaggia e incivile l'attuale legislazione in materia di lavoro. Non riconoscere l'apertura di un percorso nuovo in queste misure del Governo, compresa la dura trattativa con Bruxelles sulla necessaria flessibilità per liberare risorse per lo sviluppo, suscita molte perplessità.
Alfredo Reichlin ha parlato, dopo l'esito delle recenti elezioni europee, del Pd come del Partito della Nazione. Un partito di popolo che ha una visione del futuro dell'Italia e che fa coincidere il proprio destino con quello del Paese. Concordo pienamente.
Mi permetto di dire, a questo proposito, che questo orizzonte, non esclusivamente legato ad una congiuntura elettorale, sarà raggiungibile se il Pd non sarà costretto a scegliere tra la Leopolda  e Piazza San Giovanni. Il Pd sarà utile all'Italia se saprà raccogliere, dagli eventi del 25 Ottobre, le ragioni della sua vocazione ideale e della sua missione riformatrice”.

Lunedì, 27 Ottobre 2014 16:14

Taranto, la quasi capitale della cultura

Scritto da

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Vito Massimano

di Vito Massimano

 

Una città sospesa tra un presente senza prospettive ed un futuro inseguito svogliatamente più a parole che nei fatti.

E’ così che Taranto si presenta, sonnecchiante e cincischiante tra voli pindarici su un avvenire aggrappato alla bellezza paesaggistica  e gravi problemi che sussistono “qui e adesso” ma a cui si danno risposte confuse, isteriche e poco convinte.

E mentre il dibattito fantasioso ed autoreferenziale continua,  inascoltato da chi poi alla fine decide sul serio, Taranto sembra parlarsi addosso senza toccare palla in un processo decisionale che non sta avvenendo nell’interesse della città o con la partecipazione di una città che invece si sfoga confondendo i sogni con la realtà.

L’Ilva sarà venduta agli indiani? Forse, ma Taranto è troppo impegnata a dibattere di grandi progettiper occuparsene. Fatto sta che dalle prime indiscrezioni sembra riproporsi lo schema che portò lo stabilimento ai Riva.

Gli indiani “fanno gli indiani” e già lasciano trapelare il loro proposito di subordinare la trattativa al reperimento a carico di altri delle risorse necessarie all’adeguamento degli impianti alle prescrizioni in tema ambientale.

L’alternativa è l’abbandono al proprio destino di un’azienda in coma profondo,  come a dire che la loro intenzione è di fare l’affare della vita comprando un impianto al netto delle precedenti pendenze e senza doversi sobbarcare inutili costi di bonifica.

Come nel caso della vendita al Gruppo Riva, anche questa volta lo stabilimento sembra un peso nazionale da affibbiare al primo che passa mentre la controparte sembra avere solo l’intenzione di arrivare in Marocco facendo carne di porco nel nome del proprio interesse a produrre. A dire il vero qualcuno maligna anche di un eventuale convenienza del gruppo franco indiano a chiudere lo stabilimento impadronendosi delle quote di produzione da concentrare altrove. Ma Taranto fa i simposi per riprogettare il proprio futuro e non può occuparsene. Nel frattempo, in altre sedi, qualcuno se ne sta occupando sul serio.

E quel qualcuno sembra avere una fretta maledetta di togliersi un peso e soprattutto di farlo nel silenzio, così come si agisce quando gli accordi sono inconfessabili porcate fatte sulla testa dei malcapitati.

La verità è che la città non conosce cosa stia realmente accadendo e allora siamo punto e da capo li a sentire le solite manfrine su bad e good company, cassa integrazione, futuro incerto, mancanza cronica di liquidità e pendenze giudiziarie.

Taranto potrebbe perdere l’Ilva nella maniera peggiore possibile. Come risponde?

Con la solita manfrina piena di “faremo”: riqualificheremo il porto, inizieremo i lavori, lo renderemo scalo turistico, apriremo l’aeroporto, valorizzeremo le nostre bellezze archeologiche, punteremo sul glorioso passato, daremo impulso al turismo, diventeremo la perla del mediterraneo, troveremo progetti alternativi. Tutto rimandato (a parole) ad un futuro radioso che ovviamente si realizzerà domani, giorno in cui miracolosamente si risolverà tutto quello che in un quarantennio non ha minimamente accennato a mettersi a postoanche per colpa della città delle supercazzole e dei cazzari.

La cosiddetta società civile è in preda alla disperazione: progetta a vuoto e si attacca alle promesse di chiunque.

Emiliano promette l’aeroporto? Viva Emiliano! Vendola promette l’ospedale? Viva Vendola! Renzi promette di prendere in carico la vicenda Ilva? Viva Renzi! Addirittura adesso Taranto sembra attaccarsi anche a Franceschini il quale ha benedetto la rinascita culturale e turistica della città proprio nel mentre il Governo di cui fa parte si sta impegnando per dare continuità alla produzionedi acciaio. Non vi sembra un controsenso? E soprattutto non vi sembra un controsenso all’indomani dell’incoronazione di Matera a capitale della cultura 2019? E dov’era Franceschini quando si trattava di perorare la causa di Taranto?

Della candidatura della città bimare resta solo un sito internet, tante parole ed un vuoto assordante di personalità pesanti pronte a sponsorizzare (non ex post) realmente il territorio jonico. E’ questo il simbolo di una città che non esce dai propri confini, che chiacchiera e sbraita al bar, che fa conferenze stampa con le solite quattro testate locali, che fa temini di fantasia mentre gli altri fanno i fatti.

Eppure i numeri in termini storici e culturali ce li avevamo tutti. Chiaro che ci è mancato ancora una volta il quid e che ancora una volta ce la prenderemo con il destino cinico e baro.

La consolazione forse sta nel fatto che, per continuare a cianciare, ci potremo auto incoronare  vice-capitale o quasi-capitale della cultura e di li ipotizzare una narrazione romanzata delle grandi prospettive che si dispiegano davanti a noi e che non aspettano altro se non  che Taranto le colga, ottimo modo per non guardare in faccia alla realtà imparando da ciò che questo fragoroso tonfo ci offre.

Lo so, lo so queste sono inezie di fronte al lavoro enorme che ci aspetta. Noi adesso dobbiamo pensare alle enormi potenzialità generate dalla vicinanza a Matera e dalle possibili alleanze che si potranno generare in chiave turisticae come volano di sviluppo e blablabla.

Stringiamo un’alleanza con Matera quindi e, visto che ci troviamo, facciamo un patto di non belligeranza con Alberobello, un trattato con Bitonto  e un armistizio con Carosino.Non si sa mai.

Tensione altissima  a Palazzo di Città dove il caso Tempa Rossa diventa motivo di scontro e di aperta protesta. Ecco le concitate fasi che si sono registrate: la maggioranza fa saltare il Consiglio comunale che avrebbe dovuto approvate la variante al Piano Regolatore del Porto, unico strumento possibile a livello amministrativo per bloccare il progetto Total-Eni a Taranto, progetto ritenuto dannoso (tanto da dterminare una presa di posizione netta da parte dello stesso Consiglio), improduttivo e costoso in termini sanitari per la città già avvelenata da Ilva. Tutto ciò ha scatenato una serie di reazioni a catena: ambientalisti in piazza nei pressi di Palazzo di Città e i consiglieri Bonelli, Liviano, Venere e Capriulo dal prefetto per illustrare la gravissima situazione venutasi a creare.

Cia, Coldiretti e Confagricoltura chiedono a Nardoni, Tamburrano e i Sindaci interventi urgenti.

 

La Cia Confederazione Italiana Agricoltori, la Coldiretti e la Confagricoltura di Taranto, dopo un’attenta analisi della situazione di mercato delle colture tipiche della provincia di Taranto, uva da vino, uva da tavola, olio e ortaggi scaturita da incontri svoltisi sul territorio con le aziende agricole, segnala la situazione di estremo disagio economico in cui si è venuto l’intero comparto.

In particolare, si segnalano il calo della produzione di uva da vino di oltre il 40% a causa dell’attacco di peronospora legata alle piogge alluvionali persistenti che hanno interessato tutta la provincia nei mesi primaverili ed estivi.

Detta situazione si è riverberata sugli impianti di primitivo, portando le aziende, che attendevano un’annata buona dal punto di vista quanti-qualitativo, ad una situazione di collasso economico, con le spese sostenute per intero per arrivare alla raccolta del prodotto (anche maggiori!), ma con un calo drastico delle entrate che non ha consentito nemmeno di far fronte al 20% delle stesse. Analoga situazione si è verificata per l’uva da tavola, dove si è registrato un calo di produzione intorno al 40%-50% e vigneti totalmente abbandonati a causa degli attacchi di peronospora nel periodo primaverile.

A seguire è intervenuta la campagna olivicola iniziata da poco più di una settimana che ha fatto registrare, qualora ve ne fosse bisogno, una situazione ancor più drammatica rispetto al settore viti-vinicolo. Si registra infatti un crollo delle produzione tra il 70%-80% legato anche qui alle piogge persistenti, le nebbie, le bonacce primaverili di fine aprile, nonché agli sbalzi termici che hanno irrimediabilmente pregiudicato la fioritura che si presentava alquanto rigogliosa. A seguire, il prodotto residuato ha subito anche l’attacco della mosca e della lebbra e pertanto, quasi l’intera produzione di quest’anno è pregiudicata. Per dirla in breve l’annata olivicola, prima ancora di iniziare è già finita!

Miglior sorte non hanno ricevuto certo i nostri ortaggi che, a causa del marciume addotto sempre dalle piogge persistenti, non sono proprio stati raccolti e sono rimasti per la quasi totalità della produzione sulle piante.

In definitiva, si è determinata una situazione drammatica che non ha precedenti, con migliaia di aziende agricole, che nella gran parte dei casi hanno le proprie aziende multi colturali, portate ad una situazione di totale asfissia economica che non consentirà alle stesse di poter far fronte a tutte le incombenze burocratiche, fiscali e tributarie.

La Cia Confederazione Italiana Agricoltori, la Coldiretti e la Confagricoltura di Taranto, facendosi interprete dell’estremo gradi di disagio delle migliaia di aziende associate chiede alle istituzioni, ciascuna per quanto di propria competenza: la declaratoria della calamità naturale per tutta la provincia di Taranto; lo sgravio dei contributi agricoli unificati per la manodopera assunta nel 2014; lo sgravio dei contributi obbligatori dei Coltivatori Diretti e I.A.P.; la proroga delle cambiali agrarie e dei mutui fondiari in scadenza 2014; il trascinamento delle giornate effettuate dai lavoratori agricoli; l’esonero dal pagamento dell’IMU per i terreni agricoli; l’esonero dal pagamento dei tributi locali per gli agricoltori; la sospensione di tutti i ruoli Equitalia nei confronti delle aziende agricole; lo sblocco immediato delle pratiche di finanziamento agrario, pendenti presso la Regione Puglia; attivazione di canali preferenziali per l’ottenimento di finanziamenti straordinari ed agevolati agli agricoltori (Consorzi fidi, Interfidi, banche etc.).

Cia Confederazione Italiana Agricoltori, la Coldiretti e la Confagricoltura di Taranto dichiarano sin da ora lo stato di mobilitazione generale del mondo agricolo, significando che se non perverranno risposte positive in tempi brevissimi, considerata l’urgenza e la gravità della situazione di crisi determinatasi, metterà in atto tutte le azioni sindacali consentite per ottenere risposte immediate e positive per i propri associati.

Le organizzazioni agricole Cia, Coldiretti e Confagricoltura invitano l'Assessore Fabrizio Nardoni, tutti i Sindaci della provincia di Taranto e il Presidente della Provincia di Taranto Martino Tamburrano a sostenere le ragioni del mondo agricolo.

 


 

 

 

La manovra finanziaria non poteva non produrre uno scontro tra il Governo e le Regioni, amministrazioni chiamate da Matteo Renzi a contribuire al taglio delle spese con 4 miliardi, cosa che ha portato i Governatori a minacciare aumenti di tasse e diminuzioni di servizi in settori che, come il Welfare o la Sanità, sono particolarmente sensibili per i cittadini.

Sono misure da evitare a ogni costo perché incidono sui diritti basilari dei cittadini, ma siamo veramente sicuri che, almeno per quanto riguarda la Regione Puglia malamente governata da Nicky Vendola da nove lunghi anni, questi provvedimenti siano veramente inevitabili?

Prima di recarsi a Roma a protestare da Matteo Renzi che chiede alla Puglia sacrifici per circa 350 milioni di euro, Niky Vendola non farebbe meglio a guardare dentro casa propria e farsi un sereno esame di coscienza politico?

Il Presidente Vendola ha mai pensato di avviare una spending review regionale, magari con una task force che in ogni assessorato individui sprechi presunti o, più semplicemente, spese che si possono “tagliare” senza compromettere le prestazioni a favore dei cittadini?

Penso che, giusto per fare un paio di esempi, i cittadini pugliesi non si strapperebbero i capelli se la Regione Puglia non stanziasse 35.000 euro, come ha fatto l’estate scorsa, per finanziare un progetto per la formazione degli “sciamani digitali del futuro”, o evitasse il contributo a fondo perduto a favore di una gara di culturismo a Valenzano…

Questi anni di Governo del centrosinistra della Regione Puglia, infatti, sono stati caratterizzati da innumerevoli sprechi, piccoli e grandi, spese che si sarebbero potute evitare utilizzando meglio i fondi.

Penso ai milioni e milioni di euro spesi, con programmi come Bollenti Spiriti, in innumerevoli progetti per la comunicazione e la promozione in tutti i settori, come il welfare, eppure, dopo questa pioggia infinita di fondi, a livello nazionale la Puglia è ultima nella classifica della donazione d’organi…

Penso alla gestione dell’Assessorato all’Agricoltura, oggetto di una recente mozione di sfiducia ad personam, con soli 20 milioni destinati per le calamità, e invece 33 milioni per le consulenze e 25 milioni in comunicazione: è sicuro Niky Vendola che non si possa recuperare nulla in queste due ultime “voci”?

Prima di andare a Roma a difendere gli interessi dei cittadini pugliesi dalle brame di Matteo Renzi, azione che ci vedrà compatti nel sostenerlo, Niky Vendola individui ed elimini i mille sprechi che ogni giorno realizza la sua amministrazione.

 

        Arnaldo Sala

Consigliere regionale FI

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