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Giornale di Taranto - Cultura, Spettacoli & Società

Il progetto dell’artista tarantino nella rassegna “Fotografia, architettura, territorio” del Comune di Legnano e dell’Archivio fotografico italiano

Le periferie di Taranto, ritratte nelle fotografie di Vito Leone, sono protagoniste a Legnano (Milano), nelle stanze del Castello visconteo, nella rassegna “Fotografia, architettura, territorio”, organizzata dal Comune di Legnano e dall’Archivio fotografico italiano, nell’undicesima edizione del “Festival fotografico europeo”, in programma in varie località della Lombardia.

“Taranto, quartiere Tamburi” è il titolo della mostra, inaugurata sabato 1 aprile, che fino a domenica 6 maggio esporrà gli scatti realizzati dall’artista tarantino ed ospitati nella manifestazione, che comprende e mette a confronto anche fotografie dei comuni dell’altomilanese e delle borgate di Roma, di altri autori. La rassegna ha il patrocinio dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano e della Commissione Europea ed è curata da Claudio Argentiero.

Attraverso le sue opere, Vito Leone presenta una documentazione visiva del territorio della città pugliese e delle sue zone marginali: dai paesaggi intorno all’acciaieria, all’edilizia popolare, a zone dimenticate tra campagna ed industria. È una fotografia architettonica, geometrica, che segue le regole del minimalismo, apparentemente fredda, ma ricca di pietas e di pathos. Il tema del paesaggio suggerisce una riflessione sulle dinamiche sociali dettate dal contesto di vita e di lavoro; ci sono luoghi urbani e non-luoghi, luoghi di transizione o di passaggio, comuni a tutte le grandi periferie urbane, che invitano ad un’analisi sull’uomo e ad una ricerca di senso. Nei suoi scatti, Vito Leone elabora il tentativo di conferire dignità alla periferia industriale, alle aree suburbane vicine allo stabilimento siderurgico. Le sue fotografie documentano i quartieri della città (Tamburi, Paolo VI, Porta Napoli e le nuove zone di espansione edilizia), ma anche aree retroindustriali abbandonate ed archeologia urbana del secolo scorso, che a Taranto è stato caratterizzato da una produzione massiccia e invasiva. Nato nel quartiere Tamburi, il fotografo, vicino a questi ambienti, perché familiari, cerca di svelare la bellezza e l’umanità di questi luoghi spesso guastati dal degrado. Al tempo stesso, la ricerca vuole essere un atto di denuncia della situazione ambientale e sociale della città, un appello per la comunità. Quello di Leone è un lavoro fotografico che corre su una doppia traccia. La prima, oggettiva, è quella delle linee e delle forme, del “senso geometrico” del paesaggio; l\'altra, soggettiva, è quella filtrata dall\'occhio umano, che in quegli scorci vede, pur nella loro desolazione, umanità e dignità. Il tempo sembra sospeso. Le periferie di Taranto diventano simbolo delle periferie di tante altre città, i cui luoghi si assomigliano. La presenza umana non c’è o è appena accennata, ma se ne percepisce il respiro e si intravede attraverso gli elementi del paesaggio urbano: il contrappunto di finestre chiuse ed aperte, i panni stesi, un manifesto pubblicitario, i resti di antichi laboratori artigiani; i colori, utilizzati sulle facciate in maniera sgargiante. Il risultato è uno studio sulle forme alla ricerca di una “grammatica” dello spazio: non solo architettura, ma anche fotografia sociale. Un metodo caro alla fotografia americana paesaggistica degli anni Settanta e riattualizzato in questo lavoro. La funzione dell\'atto fotografico, oltre lo sforzo della documentazione e catalogazione, diventa, dunque, riordinare il caos, svelare la bellezza dei luoghi marginali. Un bello capace di resistere alla violenza umana e rintracciare, nella sua forma, un nuovo ordine estetico ed ontologico, una coerenza sottesa alla vita, una speranza, un senso.

Nato e cresciuto nel quartiere Tamburi di Taranto, Vito Leone è laureato in Lingue e Letteratura inglese ed è docente nell’istituto di istruzione secondaria superiore “Del Prete – Falcone” di Sava (Taranto). È giornalista e da anni si occupa di fotografia di paesaggio. Ha partecipato ed allestito mostre, ed eventi sulla fotografia, in Italia ed in ambito internazionale. È stato finalista mondiale nel concorso Sony World Photography Awards 2017. Ha vinto premi in concorsi fotografici, tra questi il primo premio del concorso “Scali Urbani” 2019 dell’Ordine degli Architetti di Livorno.

Da domani mattina verrà  ufficialmente esposto nel Museo nazionale di Taranto (MarTa), che sarà sede definitiva, il gruppo scultoreo in terracotta (composto da tre statue) “Orfeo e le sirene”. La presentazione a Taranto avverrà in una cerimonia alle 12 alla quale parteciperanno il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, il comandante del comando Tutela del patrimonio culturale dei Carabinieri, generale Vincenzo Molinese, il procuratore capo della Repubblica di Taranto, Eugenia Pontassuglia, e il direttore generale dei Musei del Mic, Massimo Osanna. Presenti anche il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, e il direttore regionale Puglia dei Musei, Luca Mercuri, attuale reggente del Museo di Taranto. Nelle giornate di domani, 6 e 7 aprile, il MarTa resterà aperto sino a tarda ora in concomitanza con l’afflusso che ci sarà a Taranto per i riti della Settimana Santa. 

 

Trafugato negli anni ‘70 con uno scavo clandestino dall’area di Taranto, che nell’antichità fu capitale della Magna Grecia, e finito a Los Angeles al Paul Getty Museum, il gruppo scultoreo di “Orfeo e le sirene” è tornato in Italia lo scorso settembre ed è stato temporaneamente esposto a Roma nel Museo dell’arte salvata. Dopo il trafugamento, le tre sculture furono portate e custodite in un caveau in Svizzera e poi acquistate dal Paul Getty Museum. Il gruppo risale al quarto secolo Avanti Cristo e raffigura un poeta seduto, Orfeo, e due sirene. Si tratta di figure a grandezza naturale. L’Italia ne rivendicava la restituzione insieme ad altri beni culturali rubati già dal 2006. Le tre sculture, che i Tribunali hanno stabilito che provengono da scavi illegali in Italia, sono rientrate al termine di un’operazione complessa (“Orpheus”) che ha coinvolto Carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale, Procura della Repubblica di Taranto, New York County District Attorney’s Office (DAO) e ministero della Cultura. Secondo l’Unità per il traffico di antichità dell\\\'ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan a New York, “le prove ci hanno persuaso che le statue erano state trafugate illegalmente e che era opportuno restituirle”. Prima del rientro in Italia, i reperti erano già stati tolti dall’esposizione del Getty Museum. Nella composizione, le statue dialogano tra di loro in un corpo unico come in una rappresentazione teatrale. Orfeo è seduto e canta avendo tra le mani una cetra. Davanti ad Orfeo, ci sono due sirene. Esseri dalla voce incantevole che facevano impazzire i marinai che passavano accanto a loro. Sono creature ibride, splendide e terribili, raffigurate con artigli da rapace e code di uccello. Le due sirene, però, restano incantate e tacciono davanti al canto di Orfeo. E quest’ultimo, che faceva parte della spedizione degli Argonauti, riesce così nell’impossibile: gli Argonauti sono salvi e possono tornare in patria. Eva degl’Innocenti, già direttrice del MarTa, ha ricordato che il Getty Museum aveva già restituito negli anni scorsi antichi manufatti ceramici di produzione apula esposti poi a Taranto nella mostra “Mitomania” nell’aprile del 2019. “In quell’occasione, grazie al grande lavoro di indagine condotto dai Carabinieri della Tutela del patrimonio culturale - ha affermato l’ex direttrice Degl’Innocenti -, restituimmo alla pubblica fruizione capolavori della ceramica apula che erano stati trafugati da contesti archeologici tarantini. Oggi come allora quella identità storico-culturale rappresenta un legame indissolubile con questa terra”. Per il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, “il ritorno a casa di questo capolavoro del quarto secolo avanti Cristo, riconsegna a Taranto un altro pezzo della sua meravigliosa storia”.

Catalano fa il tutto esaurito anche a Taranto. C’è attesa per “Smettere di Fumare Baciando”,  l’ultimo libro del poeta piemontese,  in scena domenica 2 aprile nello spazio teatrale di Stazione 37.

 Guido Catalano torna alle origini, ai versi che l’hanno reso famoso e hanno fatto ridere e innamorare lettrici e lettori di tutta Italia. In uno spettacolo per voce sola, alterna poesie inedite a vecchi cavalli di battaglia e soprattutto, mette in scena moltissimi baci. Perché baciare – oltre alla voglia di fumare – riduce anche quella di parlare a sproposito. “S’ascolterebbero meno minchiate” dichiara il poeta “se i cialtroni in giro / chiacchierassero di meno / limonassero di più.” E ancora, scrive il poeta: “Quanto pesa un bacio? Che quando penso alle tue labbra mi appare chiaro per nulla assurdo/quasi scontato/l’inammissibile concetto d’infinito”.

Esagerazioni? Può darsi, ma per scoprirlo c’è un modo soltanto: incontrare Guido Catalano, armato di microfono, ospite della mini rassegna teatrale di Stazione 37 domenica 2 aprile alle 19.

 

Smettere di Fumare Baciando un reading in solitaria senza filtro, una fusione tra stand up poetry, comicità, surrealismo spinto e poesia d’amore declinata in tutti i modi possibili e anche qualcuno impossibile.

 

Guido Catalano nato a Torino nel 1971, è poeta e scrittore. Da anni porta i suoi libri (e la sua barba) in giro per l’Italia. Con Rizzoli ha pubblicato D’amore si muore ma io no (2016), Ogni volta che mi baci muore un nazista (2017), Tu che non sei romantica, Poesie al megafono (2019), Fiabe per adulti consenzienti (2021) e Amare male (2022).

 

Smettere di Fumare Baciando

Domenica 2 aprile ore 19

Stazione 37

Via duca d’Aosta 37 – Taranto

biglietto 20 euro

(oltre allo show e al firmacopie è compreso un primo e un calice di vino)

Per maggiori info 347.128.7833

 

di Ingrid Iaci 

 

È l\\\\\\\'estate del 1982 e nel \\\\\\\"triangolo più a sud della mia terra\\\\\\\", come ha detto Giuseppe Fiorello ieri pomeriggio nella conferenza stampa  di presentazione che si è tenuta al Cityplex Savoia di Taranto nasce l\\\\\\\\\\\\\\\'amore tra due giovani, Nino e Gianni, con la stessa spontaneità e la stessa gioia che i fuochi d\\\\\\\\\\\\\\\'artificio provocano negli occhi dei bambini durante le serate delle feste patronali.

È infatti un amore puro quello che Beppe Fiorello mostra per la prima volta stando dietro la  macchina da presa, da regista esordiente, e lo fa con una delicatezza ed una poesia che allo spettatore odierno poco importa se si tratta di due ragazzi dello stesso sesso. Sono la bellezza e la purezza del sentimento nella fase dell\\\\\\\\\\\\\\\'innamoramento ad essere messi in primo piano,  anche se, evidentemente, non la pensano allo stesso modo tutti gli altri personaggi che costituiscono i mondi in cui crescono i due protagonisti. Due contesti familiari profondamente diversi, colorato come i fuochi d\\\\\\\\\\\\\\\'artificio e carico di amore e accoglienza quello di Gianni, grigio, amaro e di difficile comprensione quello di Nino, e due madri diametralmente diverse nel loro modo di amare ma che alla fine si trasformano entrambe in matrigne intrappolate nel pregiudizio e nelle chiacchiere di paese da cui occorre \\\\\\\\\\\\\\\"salvarsi\\\\\\\\\\\\\\\", come si dirà nel film.

Liberamente ispirato ad un fatto di cronaca vero, il delitto di Giarre, questo film è dedicato a tutti i Nino e tutti i Gianni che, come in una moderna versione di Giulietta e Romeo, non si sono potuti amare, allora come oggi.

Durante l\\\\\\\'incontro con i giornalisti che ha preceduto la proiezione del film, alla presenza dell’assessore comunale alla Cultura Fabiano Marti che ha speso parole di stima nei confronti del regista, apprezzando molto le scelte musicali del film, Giuseppe Fiorello ha spiegato come durante le riprese abbia cercato di \\\\\\\\\\\\\\\"entrare con la macchina da presa con delicatezza nelle questioni familiari’” e di come il film ”sia nato dall’esigenza istintiva di essere dentro la storia più di quanto non avesse potuto fare da attore”. 

E lo si capisce bene dalla musica di Battiato, dagli abiti, dal modo di tagliare le cipolle, dai pomodori al sole, dai  “tipi strani” del bar, dai riti patronali, dalla caccia alla lepre: sono tutti ricordi del regista siciliano di quella calda estate in cui la nazionale azzurra, durante la finale, battè la Germania 3-1 e vinse i Mondiali di calcio. Il bar, il calcio, la caccia con la lupara sono tutti simboli maschili dai quali i due ragazzi innamorati sono lontani, ma soprattutto sono un espediente per rappresentare quella Sicilia ipocritamente virile che ripudierà l\\\\\\\\\\\\\\\'amore dei due giovani omosessuali.

Giuseppe Fiorello ha infine ringraziato la famiglia Miro per aver donato alla città un bellissimo (e comodissimo) \\\\\\\"salotto cinematografico“ che invoglia ad andare sempre più spesso al cinema, nonché tutto il pubblico che è tornato a frequentare le sale cinematografiche apprezzando soprattutto le produzioni italiane. Stranizza d\\\\\\\'amuri, infatti è da diverse settimane nella top-five della classifica dei film più visti.

Un’ultima chicca: il film è uscito, per coincidenza, lo stesso giorno in cui ricorre il compleanno di Franco Battiato (23 marzo), il cantante che per un\\\\\\\\\\\\\\\'altrettanta coincidenza Giuseppe Fiorello ha avuto la fortuna di incontrare e conoscere durante una passeggiata all\\\\\\\\\\\\\\\'alba su una spiaggia siciliana. 

Un incontro che lo ha segnato profondamente e per sempre.

Questo pomeriggio, giovedì 30 marzo alle 17.00Giuseppe Fiorello sarà al cinema Savoia di Taranto (via Leonida, 25) per incontrare i giornalisti e presentare il suo primo lungometraggio da regista per il cinema, “Stranizza d’amuri”, prodotto da Ibla Film con Rai Cinema, in associazione con Golden Goose e Silvio Campara. Distribuito da BIM Distribuzione.

Stranizza d’amuri è liberamente ispirato alla storia di Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e Antonio Galatola di 15, vittime del delitto di Giarre, in provincia di Catania, avvenuto il 13 ottobre del 1980. Scomparsi da casa due settimane prima, furono trovati morti, mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola alla testa. In un primo momento si parlò di omicidio-suicidio, ma il clima di omertà fu rotto dalla nascita del primo circolo Arcigay, che cinque anni dopo divenne nazionale proprio grazie a quei due ragazzi della provincia di Catania, accusati di omosessualità e vittime del pregiudizio e dell’omertà dei loro concittadini.

 

Il delitto rivelò subito la sua matrice omofoba e le indagini portarono all’individuazione di un colpevole, Francesco Messina, nipote di Toni Galatola, all’epoca tredicenne e dunque impunibile. Il giovane sostenne che a chiedergli di essere uccisi fossero state proprio le due vittime sotto minaccia di morte: riferì alle forze dell’ordine che i due lo costrinsero a sparar loro minacciandolo che, in caso contrario, lo avrebbero ucciso. Due giorni dopo, però, Messina ritrattò tutto. A oggi, quel delitto non ha ancora un colpevole.

STRANIZZA D’AMURI - SINOSSI: Giugno 1982, in una calda Sicilia accompagnata dalle musiche di Franco Battiato e che freme per la Nazionale Italiana ai Mondiali di calcio, due adolescenti, Gianni e Nino, si scontrano con i rispettivi motorini lungo una strada di campagna. Dallo scontro nasce una profonda amicizia, ma anche qualcosa di più, qualcosa che non viene visto di buon occhio dalle famiglie e dai ragazzi del paese. Coraggiosi e affamati di vita, Gianni e Nino non si curano dei pregiudizi, delle dicerie e vivono liberamente. Una libertà che gli altri non comprendono e non sono disposti ad accettare.

Come da tradizione, anche quest’anno gli Amici della Musica “Arcangelo Speranza” sono lieti di proporre per stasera 30 marzo - alle ore 21 – per la prima volta nella Chiesa di San Francesco di Paola a Taranto in via Regina Elena angolo via Anfiteatro, un Concerto in forma di meditazione spirituale sulla Passione e morte di N.S. Gesù Cristo per Soli, Coro, Voce recitante ed Organo dal titolo QUUM DOLORE LANGUEO. Si tratta di alcune composizioni originali di Fabio Anti, eseguite per la prima volta in stile moderno e basato su concetti ed ispirazioni antiche, come le commistioni col gregoriano, la modalità, lo stesso uso esclusivo del Latino come lingua per il canto e il parallelismo con lo stile della tragedia greca.

QUUM DOLORE LANGUEO è diviso in tre parti: “PASSIONE”, “JUDAS MERCATOR PESSIMUS” e “O JESU CHRISTE”. Nella “PASSIONE” molta importanza riveste l\'aggressività del coro nelle turbam voces che, come nell\'episodio evangelico, interagisce con la voce recitante dando vita ai personaggi, mentre le meditatio sono vere e proprie arie solistiche che prediligono vocalità ampie dall\'estrema delicatezza alla liricità più piena; il mottetto finale, essendo narrazione conclusiva, riconduce il tutto in uno stile più severo e solenne. “JUDAS MERCATOR PESSIMUS” per coro a 8-4 voci a cappella, costruito su un responsorio gregoriano da cui trae ispirazione melodica, si spinge verso sonorità molto azzardate in una sorta di madrigalismo dal gusto moderno per mezzo dell\'uso di dissonanze e scrittura libera. “O JESU CHRISTE”, mottetto per coro a 2 voci maschili ed organo, guarda molto allo stile seicentesco ma sempre in lettura e sensibilità moderne.

A concludere la serata il celebre testo di Jacopone Da Todi DONNA DE PARADISO che sarà recitato dall’attrice MARINA LUPO, al quale seguirà lo “STABAT MATER” per coro a cappella a 4 voci, segue uno stile più classico e rigoroso pur non tralasciando sonorità e gusto per la dissonanza è costruito su estrema cantabilità delle singole parti.

Ad eseguire il concerto sarà l’Odor Rosae Chorus insieme al soprano Angela Spinelli e al baritono Lorenzo Salvatori, accompagnati all’organo da Graziano Semeraro e diretti da Fabio Anti nella doppia veste di controtenore. La lettura dei testi sacri è affidata all’attore Chicco Passaro.

di Ingrid Iaci

 

Sacro e Profano nella vita degli uomini: qual è la linea di demarcazione?

\"Viviamo in un\'epoca in cui tutto è stato desacralizzato, come se tutto venisse suonato un ottava sotto\", questo uno degli assunti dai quali Stefano Massini, ieri sera al teatro Fusco di Taranto, è partito per rappresentare il processo di \"desacralizzazione\" della vita umana ai tempi dei social. 

Ma se vogliamo capire a fondo l\'attrattività dei social sugli esseri umani, il potere che essi esercitano sugli uomini, occorre proprio partire dalle definizioni di \"sacro\" e di \"profano\". 

Pro- fanum nell\'antica Roma era tutto ciò che stava davanti al tempio, tutto ciò che veniva esibito e che poteva essere visto. Sacro, invece, era ciò che era custodito nel \"sacellum\" un luogo nascosto del tempio non accessibile a tutti. Va da sè che ciò che è sacro risulta riservato e quindi non visibile se non dopo aver fatto un percorso faticoso,  mentre ciò che è profano è immediato, gratuito e non comporta alcuno sforzo. 

Se quindi mostrare è meno faticoso di nascondere, o per meglio dire \"preservare\" le proprie emozioni, si capisce bene come una certa bulimia dell\'ostentazione diventa  una condizione dell\'esistenza, che porta, nella maggior parte dei casi, a far coincidere il vivere virtuale con quello reale.  

 

Un discorso perfetto per indurre a riflettere sull\'uso/abuso eccessivo dei social e al volersi mostrare a tutti i costi, ma soprattutto sul processo che ha portato al declassamento di tutte le attività umane a causa di questa incapacità di conservare ciò che di sacro, di nascosto, di assolutamente segreto vi è in ciascuno di noi.

Il confine del conservare la propria dimensione sacra, ossia quella più intima, sta proprio nella scelta personale di ciascuno di noi di rendere \"visibile\" o meno a tutti tutto ciò che di più intimo è presente nella nostra persona nella consapevolezza che mostrare equivale a svilire le nostre azioni e le nostre emozioni.

Inoltre ,\"la scelta di aprire o non aprire quella porta del nostro io\" ha spiegato Massini parafrasando Freud - al di là della quale si possono nascondere mostri terribili o grandi talenti, è una scelta continua del nostro vivere quotidiano.\"

E, inevitabilmente, ciascuna delle persone presenti in sala si sarà chiesta se abbia veramente aperto quella porta dell\'io e, nel caso lo avessero fatto, se avesse scoperto più demoni o talenti.

Per rappresentare al meglio questa sottile linea che divide il

Sacro dal Profano, Massini si avvale di grandi autori come Dostojevski, Wilde, Pasolini per compiere un viaggio che include anche episodi di cronaca dei nostri tempi, proprio nel tentativo di rendere accessibili concetti astratti e lontani come quelli del sacro e del profano ma che sono, invece, profondamente presenti nella nostra vita quotidiana, più di quanto si possa immaginare. 

Da cultore delle \"humanae litterae\" quale egli è, il drammaturgo fiorentino non poteva sottrarsi all\'elogio della \"parola\" e al potere evocativo intrinseco ad essa. \"Le cose esistono - ha spiegato - proprio perché attribuiamo ad esse un nome.\" Infatti una parola, nel solo atto di essere detta, rende una cosa immediatamente visualizzabile nella nostra mente. E far precedere un \"non\" non è sufficiente per negarne l\'esistenza in quanto la visualizzazione scatta già nel momento in cui essa viene pronunciata.

\"Il perimetro del sacro che sta dentro di te è, quindi, un confine fatto di parole” ha concluso lo scrittore che al termine del monologo, dopo aver ricevuto un lungo applauso dal pubblico, ha ricambiato  la generosità della platea con una lunga declamazione del passo finale del Paradiso di Dante.

Con \"L\'amor che move il sole e l\'altre stelle\" Stefano Massini ha quindi chiosato la serata, una scelta azzeccatissima per un festival che ha come mission proprio quella di preparare lo spirito al mistero pasquale.

Gli incassi dello spettacolo di Stefano Massini che fa parte del nutrito cartellone del Mysterium Festival, come ha spiegato il maestro Piero Romano, ideatore, fondatore e direttore artistico dell\'Orchestra della Magna Grecia, saranno devoluti in beneficenza in favore delle associazioni \"Abfo\" e \"Ali per volare\", entrambe impegnate ad aiutare bambini e i soggetti fragili nei momenti di particolare difficoltà.

 

 

É in tournée questa settimana in diversi teatri pugliesi, l’attore tarantino Brian Boccuni, in “Stanno sparando sulla nostra canzone”, una black story musicale di Giovanna Gra, con Veronica Pivetti e Cristian Ruiz. Ieri sera sold out a Nardò e applausi a scena aperta per il trio di performers che si esibiranno questa sera al Teatro Vignola di Polignano a Mare e giovedì 23 marzo al Politeama Italia di Bisceglie. Uno scoppiettante show ambientato nell’America degli anni Venti, che lega quel periodo ai giorni nostri attraverso una trascinante colonna sonora che va da David Bowie a Renato Zero. Uno spettacolo nel quale Brian Boccuni riesce ad esprimere le sue doti di artista eclettico e intenso, interpretando brani classici della musica internazionale con assoluta padronanza della scena.

Lu.Lo.

I viaggi più estremi, gli incontri più particolari, la bellezza di luoghi incantevoli in simbiosi con la natura. Tutto nell’incontro di sabato 25 marzo a “Porte dello Jonio”

 

Continua il percorso di diffusione della lettura e della cultura dell’associazione “Pablo Neruda” che sabato 25 marzo 2023 presenterà il pluripremiato scrittore tarantino Gaetano Appeso, autore di libri che, nella forma di diari, raccontano i suoi viaggi estremi, fatti quasi sempre in solitudine, in Paesi lontanissimi e bellissimi. Sabato prossimo  alle ore 18.30 nel Cortile del Pescatore presso Porte dello Jonio la giornalista Gabriella Ressa, vice Presidente di Neruda Associazione, dialogherà  con lo scrittore.  Ad organizzare l’incontro letterario l’Associazione “Pablo NERUDA” con il presidente  Saverio Sinopoli d’intesa con il direttore del Centro, Mauro Tatulli.

Sul mega schermo scorreranno  foto, video e ricordi di viaggi   nei vari continenti, dal  Sud America all’Asia, dalla Cina  all’Amazzonia. Le tematiche tante: dal cibo ai pericoli in luoghi così “estremi”, dai compagni di viaggio alle persone e comunità indigene.

Valentina Esposito e Sergio Tersigni leggeranno alcuni brani tratti dai libri di Appeso. La direzione artistica è come sempre di Francesco Marinaro.  

Gaetano Appeso, esploratore, è autore di quattro libri già best seller, editi dalla Casa editrice Antonio Dellisanti: “Mesoamerica”, “Tianchao”, “Email dall’Amazzonia”. Il suo ultimo libro “Asia Estrema” sta per essere pubblicato anche in lingua inglese.

I viaggi di Appeso sono molto particolari, un inno alla libertà e alla voglia di conoscere l’altro senza alcuna sovrastruttura. Il primo viaggio in solitario con sacco a pelo a zaino in spalla lo portò tra i monoliti di Stonehenge. Poi dall’Europa è passato alla foresta amazzonica, ritrovandosi a dormire all’interno di capanne di paglia accolto dalle tribù locali, a mangiare ratti per onorare la loro tavola e a soffrire per la mancanza di tutte le comodità a cui era abituato. Ma ormai lo spirito libero aveva impostato un nuovo modo di viaggiare. Zaino sempre pronto, c’è una cosa alla quale Appeso non rinuncia: è il suo  taccuino, il diario sul quale  segna ogni cosa, per poi riportarle nei suoi appunti di viaggio. Scritti senza giudizi e  preconcetti.

Premio Libro dell’Anno 2018, oggi l’Ufficiale della Marina Militare si divide tra Taranto, sua città d’origine e Roma. “ I miei viaggi sono poveri per scelta. Non metto piede in alberghi o ristoranti, preferisco il sacco a pelo e la cucina locale, per vivere la quotidianità e lo spirito del luogo visitato condividendo cibo, acqua e aria con gli abitanti del luogo”. Quando viaggia Appeso cerca di essere un viaggiatore leggero, rispettoso dell’ambiente, utilizzando mezzi pubblici o a emissioni zero (la bicicletta) per gli spostamenti locali, la borraccia invece delle bottiglie di plastica, un coltellino multifunzione che è anche forchetta. “Sono piccoli accorgimenti, ma mi regalano tanto: la sensazione di essere un tassello che compone il mosaico naturale che avvolge il nostro meraviglioso pianeta”.

Pierfrancesco Favino incontrerà il pubblico presente in sala in occasione del tour di presentazione del film L’ULTIMA NOTTE DI AMORE che toccherà moltissime città italiane.

Appuntamento Venerdì 17 Marzo, alle ore 20.40, al Savoia Cityplex Taranto.

 

Di Franco Amore si dice che è Amore di nome e di fatto. Di sé stesso lui racconta che per tutta la vita ha sempre cercato di essere una persona onesta, un poliziotto che in 35 anni di onorata carriera non ha mai sparato a un uomo. Queste sono infatti le parole che Franco ha scritto nel discorso che terrà all’indomani della sua ultima di notte in servizio. Ma quella notte sarà più lunga e difficile di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare. E metterà in pericolo tutto ciò che conta per lui: il lavoro da servitore dello Stato, il grande amore per la moglie Viviana, l’amicizia con il collega Dino, la sua stessa vita. In quella notte, tutto si annoda freneticamente fra le strade di una Milano in cui sembra non arrivare mai la luce.

 

Nel cast anche Linda Caridi, Antonio Gerardi, Francesco Di Leva.

 

Prodotto da Francesco Melzi D’eril, Gabriele Moratti, Marco Colombo

Marco Cohen, Benedetto Habib, Fabrizio Donvito, Daniel Campos Pavoncelli,

L’ultima Notte Di Amore è una produzione Indiana Production, Memo Films, Adler Entertainment e Vision Distribution, in collaborazione con SKY.

 

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