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Giornale di Taranto - GRANDI MANOVRE/ Si rafforza l’ipotesi di Bernabé alla presidenza di ArcelorMittal
Martedì, 13 Aprile 2021 14:05

GRANDI MANOVRE/ Si rafforza l’ipotesi di Bernabé alla presidenza di ArcelorMittal In evidenza

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Si rafforza l’ipotesi della nomina di Franco Bernabé, già al vertice di Eni e Telecom, alla presidenza di ArcelorMittal e il Mef sta per sbloccare i 400 milioni per entrare nella società siderurgica. Il Governo accelera su ex Ilva e vuole superare uno stallo che dura ormai da troppo tempo. È l’accordo del 10 dicembre scorso che ha previsto, attraverso Invitalia, il coinvestimento dello Stato con un’operazione sul capitale da 400 milioni. A breve, e molto probabilmente senza aspettare il 13 maggio gli esiti del Consiglio di Stato circa una sentenza del Tar che ha confermato un’ordinanza del sindaco di Taranto sullo spegnimento impianti, il Governo Draghi sbloccherà quindi i 400 milioni. In questo modo lo Stato acquisirà il 50 per cento del controllo della governance aziendale, come previsto dall’intesa di dicembre, e nominerà i suoi rappresentanti nel nuovo cda. Che sarà di 6 consiglieri, 3 di parte pubblica e altrettanti di parte privata. Lo Stato esprimerà il presidente mentre ad ArcelorMittal toccherà l’amministratore delegato. La nomina di Bernabé è accreditata anche in ambienti sindacali nazionali. Nel cda, inoltre, dovrebbe entrare, per la componente pubblica, Stefano Cao, amministratore delegato uscente di Saipem. Lo Stato controllerà il 50 per cento di ArcelorMittal per un anno. Nel 2022, entro maggio, è poi prevista un’ulteriore operazione sul capitale, con altri 680 milioni di intervento pubblico, che porteranno lo Stato a controllare il 60 per cento di ArcelorMittal lasciando al privato il restante 40. Si invertiranno anche i ruoli gestionali nel senso che l’ad passerà allo Stato e non sarà più espresso dall’investitore privato. 

 

 L’intesa di dicembre scorso prevede, inoltre, che ArcelorMittal, oggi in fitto da Ilva in amministrazione straordinaria, proprietaria degli impianti, formalizzi definitivamente l’acquisto dei rami di azienda. A condizione che non vi siano più - ha preteso il privato - condizioni ostative (definite nell’intesa “sospensive”) tra cui i sequestri. 

L’ingresso dello Stato in ArcelorMittal, approvato in gennaio anche dall’Unione europea, doveva già avvenire da qualche mese, ma si è impattato con la crisi del Conte II. Il precedente Governo si è anche interrogato se versare i 400 milioni ad ArcelorMittal fosse, a crisi aperta, un atto di ordinaria amministrazione oppure no e per questo da passare al nuovo esecutivo. Alla fine, il dossier è stato girato al Governo Draghi e ai ministri Franco (Mef) e Giorgetti (Mise). L’attuale Governo non ha mai messo in discussione l’operazione dei 400 milioni. Anzi, ha rassicurato ArcelorMittal, che ai primi di marzo ha paventato il ricorso ad un arbitrato internazionale chiedendo gli interessi sulla somma e attribuendo a Invitalia il mancato adempimento. E ora il Governo si appresta a dar corso al versamento dei 400 milioni. Che non è una operazione finanziaria, ha detto più volte Giorgetti, ma deve invece costituire l’inizio di una vera svolta dell’azienda siderurgica: industriale, gestionale e ambientale. Tenendo insieme sia gli obiettivi della transizione ecologica, sia una visione d’insieme del settore siderurgico che ha altri poli, seppur più piccoli, oltre a Taranto.

 Nei colloqui che Giorgetti ha avuto con i sindacati e con le aziende dell’indotto, il titolare del Mise é stato chiaro: lo Stato deve entrare nella governance di ArcelorMittal perché solo così può controllarla dal di dentro, vedere in diretta la situazione e correggere la rotta della società. Coloro che hanno partecipato ai colloqui con Giorgetti, dicono ad AGI che è molto evidente dalle sue parole come il ministro dello Sviluppo economico non sia affatto soddisfatto di come vanno le cose e di come l’azienda venga gestita. Di qui la decisione di mettere manager di peso nel cda per avere sia un controllo “forte” da parte dello Stato, sia per controbilanciare il ruolo dell’ad Lucia Morselli la cui gestione, in meno di due anni dal suo arrivo, ha provocato (e provoca tuttora) strappi a catena. Non è un mistero che il conflitto tra ArcelorMittal e i sindacati abbia raggiunto punte esasperate. E non va assolutamente meglio col Comune di Taranto che da tempo ha messo all’indice l’azienda. 

 

 Domani a Taranto c’è uno sciopero, con presidio davanti alla direzione, del sindacato Usb, che giovedi sarà a Roma per manifestare sotto il ministero del Lavoro. Il 23 aprile, invece, toccherà ai sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm andare a Roma per manifestare sotto il Mise. 

Ampio lo spettro delle proteste sindacali: si va dal caso dell’operaio licenziato per il post sulla fiction “Svegliati amore mio” (diventato un caso nazionale con l’azienda che dichiara che il dipendente è stato licenziato non per la condivisione del post ma per i commenti denigratori e offensivi) all’assenza di interventi per la manutenzione e la sicurezza. Eppoi, si protesta per la cassa integrazione, che a Taranto resta elevata. Appena pochi giorni fa è scattata un’ennesima tranche di cassa Covid per un numero massimo di 8100 unità. Durerà 13 settimane. A Taranto, ArcelorMittal sta usando ininterrottamente la cassa integrazione da luglio 2019. Prima quella ordinaria per crisi di mercato, poi quella Covid. Quest’ultima ha avuto punte alte, anche con 4mila unità in cig, mentre attualmente si è intorno alle 3mila. “L’uso enorme della cig, il mancato versamento a Ilva dei canoni di fitto, i mancati o ritardati pagamenti all’indotto, hanno consentito all’ad Morselli di risparmiare, di migliorare i conti aziendali, di portare a Mittal un risultato economico positivo, ma hanno precipitato la fabbrica, le imprese esterne, il territorio e la sua economia, e questo lo abbiamo chiaramente detto al Governo” spiegano ad AGI i sindacati. A ciò si aggiunge il crollo produttivo: l’anno scorso poco più di 3 milioni di tonnellate di acciaio. Infine, alle insoddisfazioni palesate da Giorgetti, si aggiunge  il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che, a proposito dell’operaio licenziato, ha detto senza mezzi termini che i chiarimenti forniti dall’azienda sul perché del licenziamento non possono ritenersi esaustivi. In definitiva, un conflitto che cresce a dismisura e che investe vari ambiti. Adesso, con le nomine di Bernabé e Cao, lo Stato vuole far sentire la sua voce e non essere “spettatore” o, peggio, assente. Anche perché, sino a quando ArcelorMittal non li acquisterà, gli impianti siderurgici sono dello Stato attraverso Ilva in amministrazione straordinaria.