“Se serviva ribadire al Governo quali erano le nostre posizioni prima dell’incontro dell’11 a Palazzo Chigi, é stata questa l’occasione”. Lo ha detto sull’ex Ilva Valerio D’Aló, segretario nazionale Fim Cisl, uscendo dall’incontro che dopo il presidio di protesta e il punto stampa delle tre sigle metalmeccaniche davanti alla Galleria Sordi, le sigle Fim, Fiom e Uilm hanno avuto nella sede della presidenza del Consiglio con Stefano Caldoro, consigliere della premier Giorgia Meloni per i rapporti con le parti sociali, presenti anche Carlo Deodato, segretario generale della presidenza, e Gaetano Caputi, capo di gabinetto della premier. “Abbiamo sottolineato come forse per la prima volta - rileva D’Aló - siamo arrivati a un incontro con il Governo con uno strappo dovuto al ministero del Lavoro sulla cassa integrazione, uno strappo per noi assurdo visto la disponibilità dell’azienda e dei sindacati e anche di un sottosegretario di darci tutto il tempo per poterne discutere. Per noi - prosegue D’Alò - è arrivato il momento di tracciare una linea. Noi conosciamo un solo piano che é quello che é fatto dei commissari, avallato dal Governo, che prevede i tre forni a Taranto e uno a Genova e i quattro impianti di preriduzione per poterli rifornire. Su quel piano bisogna costruire le basi. È arrivato il momento in cui lo Stato, il Governo, inizi a capire che questi impianti così come sono messi, non sono appetibili per il mercato ma vanno rilanciati. Un forte intervento pubblico serve proprio a questo. Una società pubblico-privata, pubblica all’inizio, scelgano loro il come, ma che metta le risorse non solo più per il corrente ma per il rilancio di impianti che devono tornare a produrre. Unica strada per far tornare le persone al lavoro e dare una risposta anche a quelli di Ilva in as che attendono una ricollocazione”.
“L’incontro è stato utile, ci ha dato la possibilità di ribadire le richieste che in questi mesi noi abbiamo continuamente posto sul tavolo”, dichiara Guglielmo Gambardella, segretario nazionale Uilm, all’uscita dell’incontro con Caldoro a Palazzo Chigi. “Abbiamo fatto la fotografia della situazione aziendale e degli impianti che é drammatica - aggiunge Gambardella - siamo con un solo altoforno in marcia, uno sequestrato, l’altro in attesa di interventi manutentivi. Stiamo correndo il rischio di fermare completamente il gruppo. C’è bisogno di intervenire subito e di intervenire su una cassa integrazione che ha visto un incremento del 50 per cento fatto in modo unilaterale dal ministero del Lavoro. E c’è soprattutto la necessità di apportare nuovi fondi. L’amministrazione straordinaria ha finito quelli che gli sono stati dati disponibili. Una situazione così drammatica non prevede la possibilità di perdere altro tempo. Il Governo - sostiene Gambardella - prenda atto dell’insuccesso delle gare per mettere sul mercato gli asset aziendali. Da qui si parte. E se non c’è nessun investitore industriale credibile, noi proponiamo una sola ricetta: la nazionalizzazione. Ma non per un fatto ideologico, ma perchè l’onere degli investimenti può arrivare sino a 10 miliardi. Solo il Governo può farsene carico. E anche se affiancato da un partner industriale, il Governo ci deve mettere la faccia”, osserva Gambardella.
Per Loris Scarpa, segretario nazionale Fiom Cgil, “l’incontro con Caldoro è cominciato male. Ogni volta noi dobbiamo raccontare la situazione. Mai che ci dicano loro qualcosa. Unica cosa che ci hanno confermato che l’11 ci sarà l’incontro. Abbiamo detto che se l’11 vengono a spiegarci di Bedrock, sanno già quale sarà la nostra risposta. Assolutamente non accetteremo questa discussione. Alla stessa stregua se vengono con un provvedimento tampone. Gli abbiamo già spiegato oggi che l’azienda è in condizioni di assoluta gravità. Sulla cassa integrazione abbiamo detto che lì si è proprio rotto quel filo di rapporto instaurato in questi due anni. Loro - afferma Scarpa - hanno deciso di rompere con il sindacato e mettere d’ufficio 4.450 persone in cassa integrazione. L’11 si mettano nelle condizioni di darci risposte operative concrete”. Infine, per Scarpa, “se l’acciaio è strategico ci può essere una soluzione a gestione pubblica e con partecipate pubbliche. Le normative europee vincolano Invitalia, vincolano Cassa Depositi e Prestiti, non vincolano sul fatto che non possa esserci un’azienda dell’acciaio a capitale pubblico”.
“Crediamo che la prima e più urgente responsabilità sia mettere subito in sicurezza i lavoratori e le loro famiglie, invertendo lo schema: le soluzioni per i lavoratori devono venire prima di tutto, non dopo gli interessi industriali o finanziari”. Lo dice sull’ex Ilva il sindacato Usb che ieri sera a Roma, pur non avendo aderito al presidio di protesta di Fim, Fiom e Uilm nelle vicinanze di Palazzo Chigi, ha tuttavia “scelto di presenziare con una delegazione di rappresentanza istituzionale e simbolica per rispetto verso la convocazione”.
“Usb - dice il sindacato - da anni sostiene una posizione chiara e coerente: la nazionalizzazione di Acciaierie d’Italia è l’unica via per salvaguardare l’occupazione, garantire una vera transizione industriale e ambientale, e restituire al Paese la sovranità su un settore strategico. Chiediamo che il prossimo incontro dell’11 novembre sia un tavolo davvero decisivo, con la presenza dei ministri competenti e con risposte concrete sulle nostre proposte: la tutela dei lavoratori, gli strumenti per accompagnare la transizione e i percorsi destinati ai lavoratori diretti, dell’appalto e di Ilva in amministrazione straordinaria”, sostiene Usb.

