di Lucia Pulpo
Sabato 5 Luglio, il “Taranto Pride” attraverserà le strade della città dei due mari, riempiendole d’energia folgorante in direzione “ostinata e contraria” verso il cambiamento utopico del rispetto e dell’uguaglianza delle persone. Tutt3 le persone.
Ne parliamo con l’organizzatore, Luigi Pignatelli, presidente della Hermes Academy e del Comitato Territoriale e provinciale Arcigay Taranto
Quando sento parlare di Pride, due sono le parole ricorrenti: festa e lotta. Per te, cos’è il “Pride”?
Per me il Pride è entrambe le cose, ma anche molto di più. È memoria, è resistenza, è speranza, è possibilità di incontrarsi, di riconoscersi, di respirare a pieni polmoni in una società che troppo spesso ci vuole nascostз, discretз, silenziatз. Il pride è visibilità, è indecoroso, è rumoroso. È uno spazio politico e poetico, dove possiamo esistere senza chiedere il permesso, dove possiamo mostrare le nostre ferite ma anche la nostra gioia, le nostre fragilità e le nostre forze.
Per me il Pride è un grido collettivo, colorato e radicale. È un momento in cui ci riappropriamo dello spazio pubblico, dei nostri corpi, delle nostre storie. Il Pride è festa e lotta?
È sicuramente una festa, sì, ma una festa che nasce da un’urgenza, da una ferita aperta, da decenni di esclusione, violenza, invisibilità. Il Pride è lotta perché ci ricorda che i nostri diritti non sono mai stati regalati: sono stati conquistati, uno a uno, con fatica, sudore, sangue. Il Pride è anche memoria delle persone che ci hanno preceduto, che hanno pagato un prezzo altissimo per permetterci di essere qui, oggi. E non possiamo dimenticarlo. Ma per me è anche cura. Cura delle nostre relazioni, delle nostre identità plurime, delle soggettività che ogni giorno devono negoziare la propria esistenza in contesti ostili. È comunità. È anche un modo per dire: “ci siamo”, nonostante tutto, e non torneremo più nell’ombra. Ecco perché il Pride non è mai solo per noi, ma è anche per chi non può esserci, per chi ha paura, per chi è ancora nel silenzio. È per le nuove generazioni, perché abbiano strumenti migliori dei nostri. È un’utopia in cammino.
Questa non è la prima edizione che organizzi a Taranto. Cos’è cambiato dall’inizio e cosa deve ancora cambiare?
Nel 2016, anno della primo storico Pride a Taranto, c’era molta diffidenza, sia all’interno della comunità LGBTQIA+ che nel tessuto cittadino. Si trattava del terzo Puglia Pride, che a partire dal 2014, ogni anno attraversava un diverso capoluogo di provincia. Abbiamo dovuto spiegare, coinvolgere, decostruire stereotipi, costruire fiducia passo dopo passo. Ricordo ancora le prime assemblee in cui eravamo in poche persone, spesso stanche, spesso scoraggiate, ma piene di voglia di cambiare le cose.
Dall’inizio sono cambiate tantissime cose: la consapevolezza collettiva è cresciuta, la rete si è allargata, abbiamo trovato nuove parole per raccontarci e nuovi corpi che si sono uniti alla nostra lotta. Oggi il Taranto Pride è diventato un appuntamento atteso, riconosciuto, anche dai media, dalle scuole, da alcune istituzioni, da quelle persone che prima ci ignoravano o temevano. Abbiamo portato in piazza migliaia di storie, corpi, voci, creato alleanze con movimenti ecologisti, transfemministi, antirazzisti. Abbiamo dato visibilità a chi non l’aveva mai avuta. Ma c’è ancora tanta strada da fare, c’è ancora tanto da cambiare: nelle istituzioni, nelle scuole, nei servizi sanitari, nella cultura dominante che continua a marginalizzare chi non si conforma. Serve più ascolto, più rappresentanza, più coraggio. Serve più continuità durante l’anno, servono più spazi fisici per incontrarci, più supporto economico, più riconoscimento politico. E serve un cambiamento culturale profondo: uscire dalla logica dell’emergenza, della tolleranza concessa, e passare ad un’idea di diritti piena, strutturale, permanente. Soprattutto, serve che le nostre battaglie non vengano strumentalizzate, svuotate o usate solo per fare immagine.
A Taranto, c’è anche lo “Human Pride”, perché questa scissione?
La presenza di più eventi “paralleli” è una realtà che racconta anche le fatiche del nostro territorio nel fare sintesi e nel riconoscere la pluralità dei percorsi. La scissione non è stata una scelta nostra, non è nata da divergenze ideologiche profonde (come avvenuto ad esempio a Lecce o a Napoli, altre città attraversate da più pride), ma da modi diversi di concepire l’attivismo ed il lavoro di rete. Nel Gennaio 2024 ci è stato detto: «Vogliamo organizzare la nuova edizione del Pride, ma dovete resettare tutto ciò che è stato deciso nelle assemblee precedenti e ricominciare da 0!» Abbiamo risposto: «Ci sono in ballo dei fondi già stanziati, parliamone!» e dopo qualche settimana abbiamo visto sui social che avevano costituito un collettivo senza di noi. Piena libertà! Viva la pluralità di voci e visioni. Sta di fatto, però, che né nel 2024 né nel 2025 la nostra adesione è stata presa in considerazione. Abbiamo partecipato alle due edizioni dello Human Pride con piacere come singole soggettività.
Ad ogni modo, la visibilità non può essere neutra, e prendere posizione fa parte del nostro modo di essere comunità. Personalmente, credo molto nel valore del dialogo e nell’importanza di superare le divisioni, anche quando sono scomode o dolorose. Da un anno e mezzo cerchiamo di creare un gemellaggio. Sarebbe stupendo se nel 2026, a dieci anni dal primo pride a Taranto, il nuovo collettivo e noi del Taranto Pride Net organizzassimo un unico grande pride, unendo le forze.
Il nostro percorso, quello del Taranto Pride che dal 2016 contribuisco ad organizzare con una rete ampia e plurale, è sempre stato aperto, orizzontale, intersezionale. Non escludiamo nessunə. Anzi, invitiamo costantemente ad unire le forze. Per questo mi dispiace che si siano create delle fratture, ma continuo a sperare che possano essere ricucite. L’unità nella diversità è una ricchezza, non un limite. E quando si parla di diritti umani, dovrebbe esserci una sola direzione: avanti, insieme.
Il Taranto Pride non è solo la parata del 5 Luglio. Cos’è?
Proprio così: il Taranto Pride non è solo la parata del 5 Luglio. È un percorso lungo un anno intero, fatto di assemblee, workshop, azioni di sensibilizzazione, arte, formazione e attivismo nei quartieri, nelle scuole, nei centri sociali. È un laboratorio politico e culturale che cerca di portare un cambiamento reale, dal basso. Il Taranto Pride è un processo. È un percorso lungo e complesso, che inizia mesi prima della parata e non finisce certo con essa. È un laboratorio permanente di attivismo e formazione. In questi anni abbiamo portato nelle scuole incontri sull’educazione alle differenze, abbiamo attivato laboratori artistici, assemblee cittadine, presentazioni di libri, performance teatrali e momenti di ascolto nei quartieri. Abbiamo creato ponti tra le generazioni e tra i territori. Ogni edizione ha un tema, un messaggio politico preciso, che costruiamo insieme, giorno dopo giorno, con le associazioni, con le realtà locali, con chi ci raggiunge anche da fuori. È una pratica di cittadinanza attiva che parte dal basso e si nutre di relazioni. Anche le persone che non possono partecipare alla parata spesso ci seguono e si sentono parte di qualcosa di più grande. Perché il Pride, per noi, è comunità che si prende cura della propria libertà, ma anche della libertà altrui.
L’edizione di quest’anno vi vede solidali con quanto succede a Gaza, ma anche molto attenti al Disability Pride. Questo rientra nel vostro senso di giustizia sociale o cos’altro? Che speranze nutrite verso un cambiamento per un mondo migliore?
Quest’anno, così come lo scorso anno, abbiamo scelto di schierarci apertamente a fianco del popolo palestinese, ma anche, come dal 2016, accanto a chi vive discriminazioni per via della propria disabilità, della propria condizione economica, dell’origine, del colore della pelle.
Tutto quello che facciamo è guidato da un senso profondo di giustizia sociale. Per noi non ha senso lottare solo per i diritti LGBTQIA+ se non ci battiamo anche per quelli delle persone con disabilità, delle persone razzializzate, delle comunità migranti, delle persone povere, di chi subisce ogni tipo di esclusione o sopruso.
Perché il Pride non è completo se non è intersezionale. Non possiamo ignorare le connessioni tra le oppressioni e perché ci impegniamo nel costruire alleanze. Essere solidali con Gaza, oggi, è un atto politico ma anche profondamente umano. Non possiamo chiudere gli occhi davanti ai genocidi, ai crimini di guerra, al dolore che ci arriva ogni giorno. E lo stesso vale per chi, nella nostra stessa città, fatica a muoversi, ad accedere a servizi essenziali, ad essere rappresentatə.
Uno dei cardini del Taranto Pride, sin dal 2016, è la nostra richiesta di chiusura del mostro che ci uccide da decenni: l’impianto siderirgico.
Abbiamo il dovere morale di non abituarci all’ingiustizia. Continuiamo a credere che un altro mondo sia possibile, un mondo in cui ogni corpo sia libero e rispettato, ogni voce ascoltata, ogni vita tutelata. Un mondo in cui non ci sia bisogno di autorizzazioni per essere sé stessз. Un mondo in cui nessunə venga lasciato indietro. Il Pride è uno degli strumenti che abbiamo per costruire la nostra utopia. Questo è il nostro orizzonte. E continueremo a lottare, con ogni mezzo necessario, perché questo sogno diventi realtà.
Dopo quanto accaduto per il Pride a Budapest, consideri i diritti civili in affanno o più forti di prima?
Quanto è successo a Budapest ci ha scosso profondamente. Vedere uno Stato dell’Unione Europea vietare un Pride, militarizzare le strade, reprimere la visibilità queer in nome di una presunta sicurezza pubblica, è il segnale di un’Europa che sta arretrando. Non possiamo illuderci che i diritti civili siano ormai garantiti: sono fragili, instabili, e sotto attacco ovunque, anche nella nostra Italia. Eppure, c’è una forza che continua ad emergere: quella delle persone che resistono, che si organizzano, che non arretrano. Vedo i diritti civili come un campo di battaglia vivo. Non sono più forti di prima, forse. Ma nemmeno sconfitti. Ci sono nuove generazioni più consapevoli, più preparate, più determinate. E noi dobbiamo sostenerle, ascoltarle, camminare con loro. Dobbiamo moltiplicare gli sforzi, le voci, le presenze. Io non mi arrendo. Se Budapest ci chiama, Taranto risponde. Se un Pride viene fermato, cento devono nascere. Perché la nostra libertà non è negoziabile. E ogni Pride che resiste è un atto d’amore, verso noi stessз, verso il futuro.