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Giornale di Taranto - TARANTO - Consegnata al Prefetto al termine della manifestazione la lettera che Confindustria ha scritto al Premier Renzi contenente le ragioni della protesta e le richieste più urgenti
Venerdì, 01 Agosto 2014 14:23

TARANTO - Consegnata al Prefetto al termine della manifestazione la lettera che Confindustria ha scritto al Premier Renzi contenente le ragioni della protesta e le richieste più urgenti In evidenza

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Egr. dott. Matteo Renzi

Presidente

Consiglio dei Ministri

 

                                                                                 

 

Taranto, 01/08/2014

prot. n. 120/14/Ga

 

Egregio Presidente,

nel momento in cui le scriviamo saremo già scesi in piazza, per la prima volta nella nostra storia, a manifestare contro i rischi di una desertificazione industriale che si fa sempre più visibile e incombente, a lottare per la salvaguardia delle nostre aziende, a invocare il rilancio degli investimenti e quindi dei progetti che riguardano il territorio di Taranto e della sua provincia.

Progetti che il nostro territorio puntualmente respinge attraverso focolai diffusi di presunto ambientalismo che, sulla scorta della nota vicenda Ilva e dei guasti evidenti che la stessa ha prodotto negli anni nell'ecosistema, si riaccendono ogni qual volta sul territorio si intravedono progetti di carattere industriale, al di là del loro reale impatto ambientale, della loro valenza, del loro ritorno economico ed occupazionale.

E' la prima volta che i nostri imprenditori, assieme ai loro dipendenti, scendono in piazza, si ritrovano a manifestare in corteo, quasi rischiano di bloccare la viabilità con i loro mezzi.

Non è nel Dna di Confindustria adottare forme di protesta di questo genere, ma Lei meglio di altri sa perfettamente quanto gli scenari possano cambiare nel giro di pochi mesi, quando a regolare le dinamiche in atto intervengono processi più grandi e imprevedibili. Nel nostro caso, nel caso del sistema Taranto, da sempre città a vocazione industriale, tali processi sono intervenuti, impetuosamente, nel giro degli ultimi due anni, e cioè da quando è letteralmente esplosa la vicenda Ilva, con le implicazioni che Lei ben conosce.

La città, già gravata da congiunture economiche certo non favorevoli, ha cominciato a ritorcersi contro se stessa, respingendo con forza e purtroppo senza soluzione di continuità tutte le opportunità di crescita ed i possibili scenari di sviluppo (e parliamo di sviluppo ecosostenibile) che nel tempo si sono presentati.

Occorre però, in questo senso, fare dei distinguo.

E' palese ed è comprensibile che una comunità che si vede minacciata da un pervicace inquinamento industriale metta i paletti, specialmente se poco informata o informata male.

Meno comprensibili sono gli atteggiamenti di sedicenti ambientalisti che fanno “muro”, adducendo motivazioni prive di fondamento. Irresponsabili sono, almeno in certi casi, le determinazioni degli enti locali – e parliamo del Comune di Taranto in primis – che si allineano pressochè ciecamente ad un sentire comune che vorrebbe Taranto vocata solo al turismo, ad attività allo stesso connesse o ad altri servizi ancora tutti da delineare e costruire. Ci piacerebbe che tutto questo avesse un senso, e che a tal senso corrispondessero delle reali progettualità che nella realtà purtroppo non esistono. Non esiste un modello economico territoriale nel quale i servizi si siano sviluppati senza la produzione manifatturiera. Laddove si è seguita tale strada, rinunciando alla diretta presenza industriale, si è faticosamente tornati indietro alla ricerca di assetti territoriali costruiti su una equilibrata integrazione tra servizi e produzione manifatturiera.In questi ultimi due anni, mentre il dibattito sul che fare ha proseguito il suo corso, noi imprenditori abbiamo cercato di mantenere in piedi le nostre aziende. Abbiamo cercato di limitare i danni, di utilizzare gli ammortizzatori per non usare la scure drastica dei licenziamenti, di pagare di tasca nostra piuttosto che aspettare che arrivassero pagamenti (come nel caso, che Lei conosce, delle imprese dell'indotto Ilva) che non sono mai arrivati, pur di tener salde le nostre realtà, grandi e piccole. Oggi non ce la facciamo più. Oggi ci sentiamo sconfitti non solo dalla crisi esogena ed endogena che ci investe, ma da un sistema che ci rigetta. Non sono bastati gli accorati appelli alle nostre istituzioni, le ragioni addotte perchè si rilanciassero gli investimenti che pure sono tutti lì, le tante parole, scritte e dette, affinchè si sfruttassero le risorse enormi – il Porto, l'Arsenale, l'Eni, la stessa siderurgia – di cui disponiamo.

Abbiamo ancora in piedi tutta la complessa partita delle bonifiche, parte delle quali, peraltro, già finanziate ed avviate, sono ancora al palo a causa della lunga vacatio commissariale.  E' urgente dar seguito agli interventi di messa in sicurezza e bonifica utilizzando le risorse stabilite a seguito del protocollo del 26/7/2012, recepito dalla legge 171/2012.

Abbiamo il progetto Tempa Rossa – 300 milioni di investimenti – che rischia di allontanarsi definitivamente andando ad approdare in contesti più favorevoli, e con esso è a rischio la permanenza della raffineria a Taranto.

Abbiamo un Arsenale storico e da sempre strategico per la Marina Militare italiana che, pur ritenuto fondamentale nel panorama nazionale, è da tempo privo delle  risorse e quindi delle prospettive essenziali che possano definitivamente rilanciarlo. E recenti sono, in questo senso, le notizie secondo le quali le unità navali da rottamare potrebbero essere spostate in altri siti, malgrado la Marina abbia la sua più grande base proprio a Taranto.

Abbiamo un Porto  potenzialmente competitivo, sul quale  “pendono”  ingenti investimenti di infrastrutturazione ancora solo sulla carta:  il rischio è che i ritardi accumulati per la realizzazione infrastrutturale lo rendano sempre meno competitivo per un mercato, quello del Mediterraneo, estremamente esigente ed in continua evoluzione, in linea con le esigenze dettate dal gigantismo marittimo.

Un caso da “sbloccacantieri”, come Lei ci insegna, che rischia di mettere in discussione la stessa presenza dell’operatore terminalista e compromettere in tal modo una vocazione logistica a lungo inseguita.

Un porto, va aggiunto, che rischia comunque di essere ulteriormente depotenziato e svuotato delle sue stesse funzioni qualora il progetto Tempa Rossa, e prima ancora l'Ilva, non dovessero, rispettivamente, partire e permanere sul territorio.

Sulla vicenda Ilva non ci soffermiamo perchè è fra tutte quella che Lei conosce più approfonditamente e sulla quale molteplici sono stati gli interventi governativi, a sostegno della siderurgia e di quello che lo stabilimento tarantino rappresenta per l'intero Paese.

Tuttavia, intravediamo ancora adesso una troppo sfumata definizione di quella che potrà essere la siderurgia, a Taranto, nei mesi e quindi negli anni a venire.

La siderurgia è Taranto, intere filiere del manufatturiero italiano dipendono dallo stabilimento tarantino. Vorremmo che dal Governo si tornasse ad affermare a chiare lettere la strategicità di questo stabilimento e quindi la necessità della sua permanenza sul nostro territorio, che non possono essere nuovamente messe in discussione dopo due anni di impegno profuso a tutti i livelli, di provvedimenti speciali, di decreti ad hoc.

C'è la situazione – particolarmente grave – legata alle aziende dell'indotto. Aziende che più di altre, stanno pagando, allo stremo delle loro forze e dopo mesi di reiterato mancato pagamento dei lavori svolti, in termini di riduzioni drastiche del loro personale e in più di qualche caso di chiusure , che diventeranno di massa da qui  – al massimo –ad un mese. Occorre, per queste aziende, lo sblocco immediato dei pagamenti dovuti dall'Ilva. E' urgente garantire loro le risorse dovute, che ora diventano essenziali per poter attestare, alla ripresa della pausa estiva, la loro reale continuità lavorativa.

La cultura del no, tuttavia, non si limita alla siderurgia, alla portualità, al settore energetico. Ha travolto, infatti, anche i processi di trasformazione urbana che riguardano il settore delle costruzioni e della diversificazione produttiva, affossati da una politica e da una burocrazia locale che da tempo ha scelto irresponsabilmente di non decidere e di non fare, di ritardare i processi di investimento e di non rispondere alle richieste di autorizzazione degli interventi.

Noi, come imprenditori e come cittadini, avvertiamo fortemente l'esigenza non già di sostituirci agli enti decisori ma di fare qualcosa di concreto per  un sistema industriale che perde vistosamente i suoi pezzi, e che da qui a qualche mese non sarà più in grado di rappresentare se stesso.

Se Taranto è questione prioritaria perché presenta nodi di rilevanza nazionale dalla cui soluzione passano processi strategici di politica industriale ed energetica del paese, allora occorre assumere ai più alti livelli quelle che sono le decisioni vitali per la città e che le istituzioni territoriali, nel loro irresponsabile vivere alla giornata, non hanno saputo ad oggi assumere.

Quello che Le chiediamo, pertanto, almeno per la realizzazione di quelle progettualità che maggiormente riteniamo strategiche e fondamentali per lo sblocco di un sistema “inceppato”, qual è il nostro, è di intervenire con poteri sostitutivi agli attuali, prevedendo all'occorrenza che il tavolo interministeriale già attivato per Taranto possa diventare da tecnico, qual è attualmente, un tavolo politico in cui si passa dal semplice ascolto e coordinamento all'adozione di quei provvedimenti  che il territorio da tempo invoca.

La situazione è molto grave e necessita di risposte urgenti.

In assenza di queste ultime, saremo costretti a misurarci con scelte drastiche e dolorose che invece vorremmo definitivamente accantonare a favore di una ripresa –  e lo auspichiamo fortemente  – ancora possibile.

 

                                                                                              - Vincenzo Cesareo -