La vendita di Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, è giunta al rush finale. Domani a mezzanotte scadono i nuovi termini per presentare le offerte vincolanti dopo il rinvio che c’è stato a fine novembre. Stavolta però niente dilazioni. Il rinvio da fine novembre al 10 gennaio venne effettuato per dar modo ai potenziali acquirenti di strutturare meglio la loro offerta.
È una fase molto delicata quella che comincia da dopodomani. Non si conoscerà ovviamente nell’immediatezza quale gruppo ha presentato l’offerta ritenuta migliore per AdI perché i commissari Fiori, Quaranta e Tabarelli, espressione del Governo, dovranno fare una serie di valutazioni. In ogni caso, se ci sarà un’offerta ritenuta congrua economicamente e valida industrialmente, non ci dovrebbero essere problemi - viene riferito - altrimenti se ciò non ci fosse, si dovranno fare altre valutazioni. Da rilevare che a fronte di offerte per l’intero gruppo, il discorso non si chiude subito poiché è prevista un’ulteriore fase di negoziazione con gli investitori privati con la finalità di giungere ad un loro rilancio.
Il bando di gara lanciato a fine luglio dai commissari Fiori, Quaranta e Tabarelli privilegia la vendita di Acciaierie in blocco unico, ma tuttavia non esclude la cessione per pezzi se non dovessero arrivare per l’insieme offerte ritenute soddisfacenti. Da tenere presente che allo stato, salvo che non si manifestino altri compratori, solo tre offerenti su quindici puntano all’intero gruppo di Acciaierie. E in quest’ultimo nucleo quelli che appaiono meglio piazzati sono Vulcan Steel dall’India e Baku Steel dall’Azerbaijan. C’è poi il fondo americano Bedrock, che si è fatto vivo mesi fa, ha partecipato alla data room aziendale per la conoscenza dei dati di AdI, ed è il fondo che ha acquisito l’azienda siderurgica canadese Stelco, l’ha risanata e rilanciata e poi l’ha venduta nei mesi scorso agli americani di Cleveland Cliff. Il nome di Stelco è stato anche inserito tra i soggetti potenzialmente orientati a prendersi tutta l’ex Ilva.
Tolti i gruppi che puntano all’intero corpo di AdI - i cui principali stabilimenti sono a Taranto, Genova, Novi Ligure e Racconigi - i restanti dodici, tra cui Marcegaglia, vogliono solo singoli asset e attività. C’è preoccupazione nei sindacati per il passaggio della vendita. In una relazione fatta prima dell’estate, i commissari hanno scritto che “in via di prima e larga approssimazione, il valore di cessione dell’azienda” può attestarsi attorno ad un miliardo e mezzo di euro, “inclusivo del valore di cessione del magazzino”. Ma ai sindacati più che l’offerta economica, interessa quella occupazionale e si teme che i potenziali compratori abbassino l’asticella.
Oggi Acciaierie ha circa 10mila addetti, di cui 8mila a Taranto. In cassa integrazione straordinaria sono circa 2.200-2.300 unità a Taranto, più qualche altro centinaio nel resto del gruppo. Va ricordato che quando a novembre 2018 subentrò ArcelorMittal, che vinse a giugno 2017 la gara lanciata dalla precedente gestione commissariale, Ilva aveva circa 13mila addetti, ma Arcelor offrì lavoro per 10mila poi portati a 10.700. Gli altri rimasero in Ilva in amministrazione straordinaria, in cassa integrazione, e lì sono rimasti, mai più ricollocati al lavoro, almeno sino ad oggi. E in questa situazione ci sono circa 1.600 persone.
Adesso il timore delle sigle metalmeccaniche e degli stessi lavoratori è che il nuovo acquirente prenda meno delle 10mila unità dell’organico, tanto più che l’ex Ilva dal 2027 dovrà avere i forni elettrici - anche perché la decarbonizzazione è una delle priorità richiamate nel bando di vendita - e l’elettrificazione della produzione già di per se significa meno occupati. Tutto questo sicuramente delinea un percorso in salita.
Per l’ex Ilva questa è la terza privatizzazione. La prima è avvenuta nel 1995 dall’Iri (Stato) al gruppo Riva, rimasto sino ai primi mesi del 2013 quando l’azienda è stata poi commissariata dal Governo. La seconda, in base all’esito di una gara internazionale, a giugno 2017, quando l’azienda è passata dai commissari pubblici alla multinazionale ArcelorMittal, con la quale in seguito si è alleata la società pubblica Invitalia dando così vita ad Acciaierie d’Italia, join venture rimasta in carica sino a febbraio scorso quando è poi subentrato un nuovo commissariamento. La terza privatizzazione è attesa quest’anno, col passaggio dai commissari ad un altro privato, quello che vincerà la gara in corso. Ma i tempi di conclusione dell’operazione non dovrebbero più essere a marzo prossimo, come inizialmente si pensava di poter fare, potrebbero slittare probabilmente di uno o due mesi.
I sindacati chiedono al Governo che lo Stato resti nella nuova Ilva che verrà. Cosa che il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha invece escluso, individuando nel ricorso al golden power lo strumento di controllo pubblico del futuro investitore. Da quando AdI è stata commissariata, l’azienda ha ottenuto 300 mln da Ilva in amministrazione straordinaria - la società che ha gestito la privatizzazione a Mittal e che tuttora è proprietaria degli impianti - 320 del prestito ponte autorizzato dalla commissione UE (portati col dl Milleproroghe a 420) e contrattato infine un prestito di 200 mln con Morgan Stanley di cui circa 50 già erogati.