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Domenica, 03 Novembre 2019 08:19

RIFLESSIONI/ Città vecchia, la resistenza abita qui: quei dettagli che diventano testimonianza In evidenza

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di Luisa Campatelli

Provate ad entrare in un luogo che pensate di conoscere come se fosse la prima volta, con la curiosità e lo stupore del forestiero che si avventura in una dimensione nuova spinto dal desiderio di coglierne ogni aspetto, lentamente, osservando anche la pietra più nascosta, lanciando occhiate nelle direzioni più disparate, soffermandosi sui dettagli, anche su quelli apparentemente insignificanti. 

E se quel luogo fosse la Città vecchia? Se provassimo a cogliere ciò che esprime andando oltre la  superficie, il già detto, l’ovvio? 

Come si sa, la parte antica di Taranto è un’isola posta tra due mari, uno piccolo che sembra un lago dove i fenicotteri vanno a svernare, l’altro grande che si apre alle promesse dell’orizzonte distinguendosi, al calar del sole, per la bellezza dei tramonti. A collegare i due mari ci sono, da una parte il famoso ponte girevole, dall’altra il ponte di pietra, meno considerato ma non per questo meno bello, con grandi pomi bruni che decorano la ringhiera.

Basterebbe questa premessa per capire che parlare della Città vecchia di Taranto significa descrivere un luogo fuori dal comune e non solo perché sorge su un’isola, tra due mari, con due ponti, un castello, due lungomari diversissimi tra loro, quello di via Cariati basso e immerso nei profumi del mercato del pesce, delle barche, con le case rosicchiate, i panni stesi, l’acqua immobile e quello di Corso Vittorio Emanuele II, alto, affacciato sul mare aperto, con il suo costante traffico di barche a vela e petroliere, dove se sei fortunato puoi incontrare i delfini. No, non solo per questo. C’è altro, qualcosa di simbolico e di tremendamente attuale che ha a che fare con l’essenza di questo luogo. Un’essenza che non va cercata solo nelle cose note ed evidenti, di cui in tanti scrivono, alternando la retorica del degrado e la litania sulla fatiscenza di alcuni angoli all’enfatizzazione di altri, da visitare una volta all’anno e poi dimenticare.

Ci sarebbe da abbattere qui, ricostruire là, bonificare, togliere, aggiungere, ognuno ha sciorinato la sua ricetta. Ma le ricette vanno messe in pratica per capire se funzionano. E a me basta essere raggiunta dalle note musicali che arrivano dall’Istituto Paisiello o imbattermi in un gruppo di studenti universitari o sedermi in uno dei caffè con i tavolini piccoli e i vasi di fiori freschi appesi al muro, o ancora sbirciare nella cucina a vista di un ristorante o incrociare un passante in via Duomo che sorridendomi esclama“la giornalista!”, per sentire che qui, tra queste strade, c’è la rappresentazione esatta del concetto di resistenza. Resistenza all’indifferenza, alla speculazione, al pregiudizio, alla resa. Resistenza a chi passa senza fermarsi.

Se dovessi darle un volto, sceglierei quello grassoccio di un pescatore che vende cozze, ostriche e ricci, giù alla discesa Vasto, indossando forse inconsapevolmente o forse no, una maglietta rossa del gruppo musicale punk rock “CCCP-Fedeli alla linea”, nato a Berlino e cresciuto in Emilia Romagna, che cantava cose tipo “sezionatori d’anime giocano con i bisturi, maggioranze boriose cercano furbi e stupidi, sobillano i malvagi aizzano i violenti”, “lasciami qui,  lasciami stare, lasciami così, non dire una parola che non sia d'amore, per me, per la mia vita che  è tutto quello che ho”.

Giornalista1

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