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Sabato, 25 Aprile 2015 17:06

25 Aprile/ Battafarano: "tornano, in forma diversa, i cupi fantasmi del passato" In evidenza

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IPubblichiamo di seguito l'ntervento ufficiale di Giovanni Battafarano Presidente ANPI Taranto in occasione della cerimonia per l'Anniversario della Liberazione.

“Nella Resistenza, le radici della libertà e della democrazia”

Autorità, Signore e Signori,

   “la lotta di Liberazione fu un movimento collettivo, somma di tante scelte individuali di donne e uomini comuni che si impegnarono per affermare i principi di libertà e indipendenza a fronte di sofferenze e, spesso, fino al sacrificio personale… la loro memoria è degna di essere trasmessa alle nuove generazioni, insieme ai valori e ai principi della Carta Costituzionale”. Così una Risoluzione approvata a larghissima maggioranza alla Camera dei Deputati lo scorso 17 marzo. Accanto alle forze alleate, che avevano risalito la penisola negli ultimi venti mesi, le brigate partigiane avevano combattuto con valore e inferto gravi colpi al regime fascista e all’occupante nazista. Il 25 aprile fu il giorno dell’insurrezione generale, che concludeva cinque anni di guerra e di inaudite sofferenze. Da tempo le basi del regime fascista si erano sgretolate. I facili entusiasmi che a Piazza Venezia il 10 giugno 1940 avevano salutato l’entrata in guerra dell’Italia erano stati ben presto sostituiti dal disincanto, dalle sconfitte militari, dai bombardamenti , dalle gravi ristrettezze economiche. Tra il 1943 e il 1944, caso unico in Europa,  scioperi imponenti si svolgono nelle città industriali del Nord. Il regime perde consensi tra gli operai e i ceti popolari. Anche a Taranto, dove pure l’adesione al regime era alta, si manifestò una forte avversione antifascista specie tra gli operai  dell’Arsenale e dei Cantieri navali. Il protagonismo dei lavoratori in sciopero si saldò naturalmente con l’azione delle brigate partigiane. Erano i partigiani di idee diverse:  le brigate Garibaldi e Matteotti della sinistra;  Giustizia e Libertà; le  Osoppo dei cattolici democratici; quelle dei badogliani e dei monarchici. Divisi sull’idea di futuro, essi, tuttavia erano uniti dalla volontà di liberare l’Italia. Le staffette partigiane, donne giovani e giovanissime, rischiavano la vita per portare messaggi e informazioni. Ricordiamo Nilde Iotti e Tina Anselmi, che svolsero un ruolo di primo piano nella democrazia repubblicana, e  Adele Ficarelli, staffetta partigiana a Modena e poi stimata dirigente politica nella Taranto democratica del dopoguerra. I militari del ricostituito esercito italiano combatterono con onore a fianco degli alleati; tanti sacrificarono la vita, ricordiamo tra tutti il generale Ferrante Gonzaga, tra i primi a cadere per mano nazista, e i martiri di Cefalonia; i 600mila internati militari italiani, che rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò e furono imprigionati nei campi di concentramento tedeschi, dai quali 200mila di loro non fecero più ritorno.

   Gli storici oggi valorizzano più che in passato la Resistenza civile non armata, senza della quale la stessa azione dei gruppi combattenti sarebbe stata meno efficace. Ricordiamo perciò i contadini che protessero  i partigiani; i sacerdoti cattolici che salvarono numerosi cittadini ebrei; i tanti che in modo diverso contribuirono alla liberazione dal fascismo. La Resistenza quindi è stata un grande moto di popolo, che non va mai ristretta a fini di parte. Analogamente, gli storici oggi rivalutano il contributo del Sud alla Resistenza. Già all’indomani dell’Armistizio, ci furono i primi scontri e purtroppo i primi eccidi. In Puglia, a Bitetto la mattina del 9 settembre un intero reparto di soldati italiani, che tentava di impedire soprusi nei confronti della popolazione civile, fu trucidato dai nazisti. Le stragi e i misfatti nazisti proseguirono a Castellaneta, Barletta, Spinazzola, Cerignola e poi a Matera e Rionero in Vulture. Fu l’inizio di una lunga scia di stragi, da Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema, a Boves e tante altre, che accompagnò la ritirata dei nazifascisti. Con le  Quattro Giornate, Napoli fu la prima città italiana a liberarsi dall’occupazione straniera. Tanti sono stati poi i partigiani e i militari meridionali che hanno combattuto al Nord e spesso hanno sacrificato la vita.

   Anche la nostra città ha dato il suo contributo prezioso alla Resistenza e alla guerra di Liberazione. Ricordiamo tra i protagonisti più noti Pietro Pandiani, il comandante Piero; il colonnello Ugo De Carolis, tarantino d’adozione,  trucidato alle Fosse Ardeatine; Giacomo Bonifazi e Osvaldo Simonetti, partigiani al Nord e successivamente presidenti ANPI Taranto. Ai caduti tarantini, è dedicata la lapide a Palazzo di Città affissa dalla Giunta Municipale il 25 aprile 1947. Se scorriamo i nomi, rintracciamo le loro storie: operai, artigiani, professionisti. Morti lontano dalle loro case, ma nel cuore dell’Italia.

      Dobbiamo guardare a quelle vicende con passione civile e rigore scientifico, valorizzare le luci, non rimuovere le ombre. Quest’anno la celebrazione del 25 aprile avviene in un clima più sereno. Gli atti e gli interventi del Presidente Mattarella,  nel solco di Ciampi e Napolitano, sono nel segno di una piena valorizzazione della Resistenza e della guerra di Liberazione. Oggi Mattarella è a Milano, nei giorni scorsi Il Presidente del Consiglio è stato a Marzabotto. Numerose trasmissioni televisive e vari servizi giornalistici  hanno fatto conoscere a tanti giovani quella grande epopea. Si sono sentiti meno gli araldi del revisionismo e coloro che vogliono equiparare partigiani e repubblichini. Come scriveva Italo Calvino, i caduti delle due parti erano uguali davanti alla morte, non davanti alla storia. Molto tuttavia occorre fare per arrivare ad una memoria, se non condivisa, almeno comune; molto occorre affinché il 25 aprile sia per gli italiani ciò che il 14 luglio è per i francesi e il 4 luglio e per gli americani: una festa nazionale, in cui il popolo si riconosce.

   Dalla Resistenza e dalla vittoria delle forze alleate, è nata la nuova Europa fondata sulla democrazia e la pace. Popoli che si erano combattuti per secoli si sono uniti per costruire un percorso di pace e di collaborazione; si sono dati Istituzioni comuni e moneta comune; i giovani della generazione Erasmus si sentono cittadini europei, oltre che francesi, spagnoli, italiani. Sarebbe errato tuttavia sottovalutare il profondo malessere provocato dalla crisi economica e dalle risposte ancora inadeguate alla stessa crisi. Né possiamo dimenticare  le guerre  sul suolo europeo  in questi decenni: dalle guerre balcaniche dei primi anni Novanta al conflitto ucraino di questi mesi. Tornano poi , in forma diversa, cupi fantasmi del passato. Dal folle neonazista norvegese Breivik, che uccide 77 ragazzi, che frequentano un campo scuola laburista, al ritorno dell’antisemitismo, con uccisioni e violenze contro le sinagoghe in vari paesi europei. O gli eccidi brutali compiuti da militanti dell’ISIS insediati nel cuore dell’Europa. Ritorna un tratto terribile di quegli anni: la guerra contro i civili, l’uso degli stessi come strumento di ricatto e intimidazione, così come avveniva nelle stragi naziste durante la guerra. Ritorna il fantasma del razzismo e dell’intolleranza. Occorre contrastare con decisione il califfato e le sue propaggini, ma sarebbe sbagliato cadere nell’avversione all’Islam e non cogliere che proprio i musulmani moderati sono il principale bersaglio dell’ISIS. Bene ha fatto il Presidente Hollande, all’indomani della strage di Charlie Hebdo, ad organizzare la manifestazione di Parigi con la partecipazione di numerosi capi di Stato e di Governo.  

    Celebrare oggi il Settantesimo della Liberazione non è solo il pur doveroso esercizio della memoria nei confronti delle generazioni che hanno liberato l’Italia e l’Europa dal fascismo e dal nazismo, ma significa anche voler attingere alle radici della Repubblica i valori morali e politici per difendere e consolidare la democrazia, nella consapevolezza che essa non è acquisita una volta per sempre.

  W il 25 aprile W l’Italia

Giornalista1

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