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Giornale di Taranto - SACRI MISTERI - L'annuncio dell'arcivescovo Santoro: "Due progetti per rilanciare la città vecchia"
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Sabato, 04 Aprile 2015 12:24

SACRI MISTERI - L'annuncio dell'arcivescovo Santoro: "Due progetti per rilanciare la città vecchia" In evidenza

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di Pierpaolo D'AURIA

Per la città vecchia («Taranto vecchia è la testimonianza esistente di un popolo che, per necessità e per scarsa lungimiranza, ha lasciato depositare troppa cenere sulle braci della propria storia e della propria arte») mons. Filippo Santoro ha un doppio progetto: la riapertura del santuario della Madonna della Salute e l’apertura di un nuovo centro per senza fissa dimora e per svariate esigenze legate al mondo della povertà, dalla mensa alla barberia, agli ambulatori.

Un doppio progetto che l’arcivescovo di Taranto ha svelato venerdì sera, durante il rituale discorso pronunciato non appena le statue di Gesù morto e dell’Addolorata hanno fatto il loro ingresso in piazza Carmine, durante la processione dei  Sacri Misteri.

«La Madonna della Salute in una città come la nostra, aldilà del valore artistico che quella chiesa ha, - ha spiegato mons. Santoro - è un santuario che, nel titolo della sua patrona, ha una carica simbolica per Taranto che non ha bisogno di spiegazioni. Spero che parimenti all’apertura di quel tempio sia maturata ancora di più la nostra consapevolezza sul bene della salute e che si siano fatti passi concreti in quel senso perché possano concedere al popolo di questa terra giorni più sereni, si possa guardare al proprio futuro con minore apprensione».

L’attenzione alla città vecchia, «dove risiedo», deve necessariamente diventare il paradigma di una città che vuole svoltare. «Il riconciliarci con l’origine senza fuggire, il verificare gli errori passati imparando da essi per non ripeterli – ha sottolineato con forza mons. Santoro - è essenziale per una città che vuole andare avanti sentendo il valore della storia e l’importanza del tempo presente. Questo è un tempo decisivo, un’occasione che non possiamo perdere. È  il tempo della conversione e dell’azione. Tutti siamo chiamati a metterci in gioco, autorità e popolo, ciascuno con la sua responsabilità».

Insomma, c’è la necessità «di ridare un cuore  a Taranto» perché «c’è tanta gente che aspetta; c’è un popolo onesto che ha bisogno di segnali concreti per collaborare alla rinascita». Per questi motiva va emarginata «ogni forma di corruzione e di illegalità come anche di sconforto e di rassegnazione. Ho sempre ripetuto che siamo una città ferita ma ancora non agonizzante. Un’eccellenza come questa della Settimana Santa che si impone a livello nazionale ed oltre; sono però convinto che questa eccellenza deve essere molto meglio valorizzata perché nasce dalla fede e riunisce cultura, arte e storia. Come anche sono convinto che non utilizziamo appieno tutte le ricchezze che abbiamo che abbiamo qui in città ed in provincia  e che le dobbiamo far valere a livello regionale e nazionale, mettendoci insieme in un circolo virtuoso».

Anche per questi motivi l’arcivescovo ha accettato la richiesta dell’arciconfraternita del Carmine «a poter vivere in questo 2015 il passaggio dei misteri in Taranto vecchia. Innanzitutto 250 anni di una passione come quella dei confratelli del Carmine sono una ricchezza alla quale questa città deve essere grata. Questa tradizione conserva tutt’oggi una prerogativa importante, è viva, cioè capace di innovarsi, di creare cambiamento nella vita della gente. Non avrei tutta la stima che ho per le nostre Confraternite se non sapessi che sotto tanti di questi cappucci ci sono dei giovani, dei ragazzi. Quello che viviamo non è un corteo storico, è una processione di persone che si sforzano di credere. Questa processione nelle strade anguste della Taranto Vecchia, il passaggio sul ponte, e non di meno importanza la sosta nel Duomo Cattedrale è per me, insieme al pellegrinaggio notturno dell’Addolorata un segno eloquente, un riflettore puntato sul cuore cittadino che ha bisogno di essere ricostruito sotto tutti i profili».

E dopo il tema della salute, l’arcivescovo non poteva dimenticarsi, in questa occasione, del grande problema del lavoro «che ho anche trattato nel precetto pasquale all’Eni e all’Ilva. Ogni giorno – ha aggiunto - ho visite drammatiche di persone senza lavoro e, adesso, senza casa. Mi si stringe il cuore di fronte a tanto dolore e con la Caritas cerchiamo di rispondere per quanto possiamo alle varie richieste che abbiamo. Ma La nostra preghiera si allarga anche al mondo. Un mondo che bussa alla nostra porta e ci interpella come l’universo dei migranti che alle spalle hanno guerra e morte. Il Signore ci insegni a non liquidare in facili pregiudizi tanti nostri fratelli: nella città dei ponti non si alzino muri».

E la mente non poteva non andare ai recenti fatti che hanno sconvolto il Kenya con il massacro di tanti giovani trucidati «perché non conoscevano il Corano, perché si rifiutano di coinvolgersi in una guerra santa e desiderano conservare la loro fede, che parla di rispetto per tutti e di perdono. Tornando a noi – ha poi aggiunto l’arcivescovo -, ancora una volta voglio ricordare e pregare per i nostri due marò (ieri in piazza Carmmine c’era Massimiliano Latorre, ndr) e le loro famiglie; che questa estenuante vertenza sia risolta positivamente quanto prima possibile».

 

Nel giorno della passione del Signore mons. Santoro ha voluto toccare anche un’altra grave emergenza che sta affliggendo il territorio pugliese e che rischia di mettere in ginocchio il settore dell’olivicoltura. «Non possiamo – ha detto - non ricordare la passione dei nostri ulivi di Puglia, del nostro Salento. Che il flagello della Xylella non vinca e che i nostri amministratori nazionali e locali intervengano efficacemente per scongiurare l’agonia di queste piante che sono parte della nostra vita col mandorlo, con la vite e con il grano, frutto della terra e del nostro lavoro. Sappiamo che papa Francesco sta scrivendo una Enciclica sulla “custodia del creato” che il nostro cielo, l’aria, la terra ed il mare non siano più aggrediti dall’inquinamento e dal profitto di una economia che uccide. Che lo sviluppo, e quindi anche l’economia, - ha concluso mons. Santoro - sia a servizio della vita e del bene comune».