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Venerdì, 08 Agosto 2014 08:51

Tempa rossa, "altro che privilegiare il territorio, per Eni una scelta di pura convenienza" In evidenza

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Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Giancarlo Girardi su "Tempa rossa"

Momento delicatissimo per la nostra città, del suo rapporto con le fabbriche che ospitiamo sul nostro territorio da cinquanta anni, per il nostro futuro che non si vuole ancora più incerto e drammatico sotto troppi aspetti. Il rischio, sempre più concreto oggi, è di una frattura insanabile tra industrie e territorio, tra i cittadini ed i lavoratori che fanno parte della stessa comunità. Per alcuni, Confindustria oggi, siamo la “Città dei No” e si chiede al governo nazionale di fare presto, che, letto in termini chiari, significa liberarsi di lacci e laccioli esautorando anche i poteri delle amministrazioni locali, quindi i cittadini, dei propri diritti e doveri sul territorio ed avocare a se quello del “Fare” ad ogni costo con decreti leggi spesso incostituzionali. Quindi si chiedono appalti, non si sa quali ma ne vale il principio,  per sopravvivere. Si usa l’arma del ricatto verso i lavoratori e li si mette, a comando, in permesso retribuito per manifestare questa volta contro la città e due anni fa, con l’Ilva, contro la magistratura tarantina. Il presente  è, però, come sempre, figlio di un passato, nel nostro caso pieno di tanti errori commessi da una città per decenni assente, indifferente e rassegnata nella tutela del suo territorio e dei rappresentanti dei lavoratori incapaci di porre “dal di dentro” la grande questione derivante dall’inquinamento, della salute e della vita dei lavoratori. Il nostro insediamento industriale, dal 1960, ha fatto parte delle partecipazioni Statali che nel solco della Costituzione ha sempre operato, grazie anche al controllo ed alle rivendicazioni sindacali oltre che della politica, con il fine sociale dell’impresa, quindi nel rispetto delle  tutele economiche, sociali ed occupazionali verso i lavoratori e cittadini. Ciò ha portato benefici alla collettività ma anche i disastri ambientali ed umani per il nostro territorio decretando il fallimento di un modello economico e sociale basato sull’uso gratuito dei beni comuni dei cittadini, il nostro capitale umano e naturale. Oggi conviviamo con gli interessi delle multinazionali qui presenti con sole ricadute salariali sempre più contenute ed a rischio. Va detto con chiarezza che il mercato globalizzato non conosce patria né onore ma guarda solo al profitto ed alla convenienza per investire nei siti ovunque essi siano nel mondo. Non tollera alcun controllo pubblico e per superare ostacoli si fa leva sul ricatto derivante dallo spostarsi con “armi e bagagli” altrove lasciando macerie umane e materiali. Eni, questa multinazionale, quattro anni fa voleva impiantare una centrale elettrica spropositata per le sue necessità per poterne esportare, quindi vendere, con gli allora benefici di legge, gran parte della sua produzione. Spostando in avanti a data da destinarsi tale progetto ne ripropone un altro con Tempa Rossa non con lo scopo di privilegiare il nostro territorio ma di sceglierlo per pura convenienza rispetto ad altri in Puglia, Basilicata e Calabria, utilizzando in larga parte un collettore già esistente e determinando un sito di solo stoccaggio e smistamento navale. Ovviamente solo poche ricadute occupazionali legate unicamente ai due anni di installazione del terminale ma con un aumento delle emissioni fuggitive del 12% rispetto alle attuali. Si aumenta il rischio di incidenti rilevanti in assenza di un piano regolatore del porto, di potenziale versamento di petrolio. Sbagliano i governi che sinora si sono succeduti che continuano a parlare  di “petrolio italiano” “Acciaio italiano”, o prodotti di bandiera varia, nei fatti operano a favore di interessi internazionali e sono incapaci di fare applicare articoli fondamentali della Costituzione quali il 41 ed il 43, volti invece a tutelare la dignità, la vita e la salute dei cittadini attraverso i vincoli sociali dell’impresa.

Giornalista1

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