Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator
Preferenze sui cookie
Giornale di Taranto - AMBIENTE SVENDUTO/ I giudici nelle motivazioni “nella gestione dei Riva modalità illegali con danni alla vita e all’integrità fisica”
Martedì, 29 Novembre 2022 15:51

AMBIENTE SVENDUTO/ I giudici nelle motivazioni “nella gestione dei Riva modalità illegali con danni alla vita e all’integrità fisica” In evidenza

Scritto da 
Vota questo articolo
(0 Voti)

 “I Riva e i loro sodali hanno posto in essere modalità gestionali illegali anche omettendo di adeguare lo stabilimento siderurgico ai sistemi minimi di ambientalizzazione e sicurezza per ovviare alle problematiche di cui avevano piena consapevolezza sin dal 1995”. Lo scrive la Corte d’Assise di Taranto (presidente Stefania D’Errico, giudice a latere Fulvia Misserini) nelle motivazioni, circa 3.800 pagine, della sentenza del processo Ambiente Svenduto conclusosi a fine maggio 2021 a Taranto e relativo al reato di disastro ambientale imputato alla gestione del gruppo Riva. Le motivazioni della sentenza, con pesanti condanne per Nicola e Fabio Riva, ex proprietari e gestori della fabbrica dell’acciaio, e una serie di dirigenti aziendali, sono state depositate oggi. I Riva, si legge nelle motivazioni, “hanno messo così in pericolo - concreto - la vita e l’integrità fisica dei lavoratori dello stesso stabilimento, la vita e l’integrità fisica degli abitanti del quartiere Tamburi, la vita e l’integrità fisica dei cittadini di Taranto”. 

 

- “Danni alla vita e all’integrità fisica - prosegue la Corte d’Assise nelle motivazioni - che purtroppo in molti casi si sono concretizzati: dagli omicidi colposi alla mortalità interna ed esterna per tumori, alla presenza di diossina nel latte materni”. “Modalità gestionali - scrive la Corte - che sono andate molto oltre quelle meramente industriali coinvolgendo a vari livelli tutte le autorità, locali e non, investite di poteri autorizzativi e/o di controllo nei confronti dello stabilimento stesso”. Il processo Ambiente Svenduto è nato dall’inchiesta che a luglio 2012 ha portato la Magistratura a sequestrare per gravi reati ambientali gli impianti dell’area a caldo del siderurgico di Taranto (parchi minerali, cokerie, altiforni e acciaierie), sequestro che permane tutt’oggi sia pure con la facoltà d’uso attribuita all’azienda, nel frattempo passata dalla gestione Riva a Ilva in amministrazione straordinaria (lo Stato) e da quest’ultima prima al privato ArcelorMittal da novembre 2018 e dal 2021 alla società pubblico-privata Acciaierie d’Italia (Mittal e Invitalia, col privato socio di maggioranza). Per gli impianti, la sentenza della Corte d’Assise di Taranto ha disposto la confisca, accogliendo la richiesta dei pm, confisca che scatterà solo se confermata in Cassazione. La frase pronunciata da Fabio Riva, ex proprietario e amministratore dell’Ilva, “qualche caso di tumore in più”, frase intercettata e inserita in un colloquio telefonico dell’industriale con un rappresentante aziendale, per la Corte d’Assise di Taranto “riassume meglio di ogni altro elemento di prova la volontarietà della condotta delittuosa posta in essere dagli imputati e anzi la consapevolezza degli effetto dell’inquinamento sulla salute della popolazione tarantina”.

Per la Corte, “la capacità di influenzare le istituzioni da parte dell’Ilva, facendo leva sul potere economico e contrattuale della grande impresa, ha reso per lungo tempo molto difficile l’accertamento dei crimini che si andavano perpetrando e, seppure non sono mancati accertamenti giudiziari passati in giudicato, che hanno offerto un preoccupante spaccato della grave situazione ambientale, per la prima volta con questo processo - argomenta la Corte d’Assise di Taranto - si è potuta cogliere una visione unitaria della gestione illecita dello stabilimento da parte della proprietà, dei vertici aziendali e dei responsabili delle varie aree e dei reparti che compongono questa realtà industriale di enormi proporzioni, nonchè dei soggetti estranei che a vario titolo vi hanno concorso”. “Il bilancio è agghiacciante” scrive la Corte. 

“La situazione emersa dal dibattimento - attualizzata al momento della decisione finale - evidenzia la mancata esecuzione del piano ambientale, sicchè deve dirsi concreto e attuale il pericolo di ulteriori conseguenze negative in termini di ambiente e salute”.

 

 “Al momento della decisione finale - scrive la Corte nelle motivazioni - solo una parte delle prescrizioni idonee d eliminare le situazioni di pericolo risultava realizzata, con la conseguenza che il dissequestro dell’area a caldo provocherebbe gravissime conseguenze a causa dei rischi rilevanti che l’impianto ancora presentava”. Secondo la Corte d’Assise, inoltre, “i lavori riguardanti il piano ambientale, ancora non eseguiti, afferiscono interventi importantissimi relativi ad aree dello stabilimento che dall’esame dei periti in sede di incidente probatorio sono risultate le più inquinanti”. La Corte cita alcuni impianti dove i lavori di risanamento devono essere completati e a proposito dell’agglomerato del siderurgico, dove vengono preparati i minerali per la carica degli altiforni, osserva che dalle linee dello stesso agglomerato “derivano le emissioni di diossina che provocavano e continuano a provocare danni incalcolabili alla salute dei lavoratori”.